Archiviamo la cazzata dell’uno vale uno, almeno nella musica

Gli artisti sono quindi unici e preziosi, almeno quelli che vi appassionano, che seguite, che amate


INTERAZIONI: 561

Credo che il valore che attribuiamo ai soldi sia piuttosto relativo. Se si è ricchi, in effetti, immagino, pur avendone evidentemente cura, è noto il detto che vuole che non ci sia nessuno come una persona estremamente ricca attenta all’uso che fa dei propri soldi, si tenderà a considerare una cifra in base al proprio patrimonio personale, esattamente come chi ricco non è, con la differenza che cento euro per chi è milionario sono una sciocchezza, mentre per chi ha poco o nulla possono sembrare un patrimonio incredibile. Tutto è relativo, non ho detto nulla di eccezionale, anzi, ho detto proprio un’ovvietà.

Idem per il tempo, anche se qui la faccenda è decisamente più complessa. Perché è vero che ognuno di noi dà al tempo un valore diverso, basandosi su quanto ne ha a disposizione, chi lavora con orari fissi, immagino, avrà più facilità a gestirlo rispetto a chi non ha orario, anche se poi entrano in campo gli impegni extralavorativi, l’età anagrafica, quanto tempo mi rimane?, a saperlo, la capacità o voglia di fare più cose alla volta. Anche qui, non sto dicendo nulla di nuovo, lo so.

Solo che credo sia impossibile non partire da qui per dire quel che sto per dire. Siccome soldi e tempo hanno valore diverso a seconda di chi deve spendere entrambi, ma hanno comunque una codifica generale, per quanto uno abbia tutto il tempo del mondo a disposizione, per dire, se per rifare i letti della camera ci impegnasse cinque ore verrebbe genericamente considerato un folle, o un bradipo, come se per comprare un qualsiasi litro di latte in un supermercato spendesse cinquanta euro, in quel caso uno sperperatore, direi che possiamo convenire, sia che siamo ricchi sfondati, sia che siamo gente che arriva alla fine del mese con estrema attenzione, nel dire che i soldi spesi per il biglietto di un concerto, quando i concerti ancora esistevano, si tenevano tutti i giorni, erano una consuetudine, non siano mai stati pochi, anche se quasi sempre li abbiamo considerati soldi ben spesi.

Quaranta, sessanta, cento euro per un concerto si potevano spendere, si potranno immagino di nuovo spendere, a partire dall’eccezionalità dell’evento a cui andiamo incontro, perché un concerto è un evento unico, ne puoi vedere anche dieci dello stesso artista di fila e saranno tutti diversi, il pubblico a fare la sua parte, l’umore dell’artista, le tante variabili a influire sulla resa della serata.

Potremmo dire, suppongo, la stessa cosa per eventi sportivi, da appassionato di calcio penso a certe partite eccezionali. Spendi soldi, sai che chi vai a guardare ne guadagna a secchiate, ma pensi che in fondo sia giusto così, perché sai che un artista, un cantante, un calciatore, non è una persona comune, e che guardare certi concerti o certe partite, semplifico, sia prendere parte a un momento unico.

Mi concentro sulla musica.

Credo che il motivo per cui, per dire, quando esce un nuovo lavoro di un artista, sono un uomo del Novecento, per nuovo lavoro tendo a intendere un album, e standomi particolarmente sul culo Spotify, intendo esce un cd nuovo di un determinato artista. Credo quindi che il motivo per cui quando esce un nuovo lavoro di un artista che stimiamo particolarmente sia quasi eccitati, anzi, siamo proprio eccitati, proviamo l’ansia dell’attesa, l’emozione dell’incontro, siamo disposti a fare sacrifici per ricavarci quel tempo da dedicare all’ascolto, fosse anche necessario fare i salti mortali, sta nell’eccezionalità, unicità e importanza che diamo, nel caso sulla fiducia, a quell’artista e alla sua opera.

Discorso che potrebbe essere estendibile immagino a certi prodotti, penso a certi videogiochi, a certi device tecnologici, ma non è il mio campo, e in me vive sempre il dubbio che lì giochi un suo ruolo anche il seguire le mode, quindi mi limito a parlare di musica.

Esce l’album di Tizio, corriamo a prenderlo, ci ritagliamo il tempo necessario, se esce a mezzanotte a mezzanotte e un minuto siamo lì, metaforicamente o fisicamente, e lo ascoltiamo con la rituale attenzione che siamo usi conferire ai momenti fondamentali della nostra vita da adulti.

Credo di averla portata a lungo a sufficienza, il concetto da cui volevo partire è chiaro: riteniamo gli artisti eccezionali per quello che sono capaci di fare, per le emozioni che ci trasmettono, per le loro opere, al punto che siamo capaci di tutto pur di farli entrare in qualche modo nelle nostre vite, ho evitato di parlare dei firmacopie, altro reperto storico al pari dei concerti, ringraziatemi, spendendo soldi e tempo, entrambi più o meno preziosi, per loro.

Mettiamo questo pensiero momentaneamente da parte.

Proviamo a fare tabula rasa, dimentichiamolo, per quanto possibile, andiamo in altra direzione. Non costringetemi a fare un intermezzo atto a questo, se non ne siete capaci fate una pausa, prendetevi un caffè e tornate, grazie.

Ripartiamo.

Io so’ io, voi nun siete un cazzo.

Fatti un bagno di umiltà.

Uno vale uno.

Caliamoci in questo nuovo ambiente, per quanto scomodo e poco confortevole.

Abbiamo seguito tutti, immagino, con più o meno interesse e coinvolgimento, tutta la questione delle consultazioni del premier, allora ancora premier con riserve e mandato, Mario Draghi, per formare un nuovo governo, quello che il Presidente Mattarella ha presagito e auspicato come un governo di alto profilo istituzionale, tecnico. Abbiamo quindi, sempre immagino, provato tutti un certo imbarazzo ascoltando certe dichiarazioni che vedevano personaggi dalla dubbia competenza, assolutamente non confortata da un curriculum di nessun rispetto, suggerire a Draghi un bagno di umiltà, dubitare sulle sue capacità e competenze, al punto da suggerirgli di studiarsi bene quanto fatto fin qui per poter ripartire almeno con delle basi solide.

Non sto facendo un discorso politico, attenzione, non mi interessa discutere di un contesto storico così miserevole come quello che stiamo vivendo, e sicuramente per quanto io disistimi la attuale classe politica nella sua interezza, certo con gradi di disistima che nel caso di alcuni, penso alla Lega, a Fratelli di Italia, ai 5 Stelle, scivola nel disprezzo feroce, non sono certo il tipo da avere il cuore che palpita per chi ha vissuto la propria vita professionale nel mondo della Finanza, Draghi appunto, dovessi mai trovarmi a scegliere da che parte stare, come cantava il Principe De Gregori, se “dalla parte di chi ruba nei supermercati, o di chi li ha costruiti rubando”, traslo, non esiterei neanche un secondo, calandomi il passamontagna sul viso. Solo che ci sono dei dati di fatto incontrovertibili, oggettivi. Se penso a Vito Crimi e penso a Mario Draghi, per dire, pur non considerando entrambi idonei a guidare un governo, uno perché del tutto incapace di intendere di volere, l’altro perché troppo coinvolto con Bruxelles e comunque perché frutto di una visione distorta che vuole che la competenza possa esulare dalla politica, in barba a quella cosetta chiamata democrazia e Repubblica rappresentativa, dimmi tu se deve essere un anarchico a difendere le istanze di una forma di governo che evidentemente non apprezza, non ho dubbi su chi sia il solo dei due capace di farlo, per dire, non mi farei curare a priori da Zangrillo, ho poca stima di chi si ostina a coprire Berlusconi rispetto ai suoi processi, ma stessi male tra lui e Travaglio non credo esiterei nello scegliere lui.

Però la rete, per certi versi, e quella illusoria cazzata che vuole la rete portatrice di una forma di democrazia globale, le informazioni possono circolare a dispetto delle lobby, la musica può circolare a dispetto delle major, tutti abbiamo modo di dire la nostra grazie ai social, tutti possiamo iniziare a fare politica, anche se abbiamo difficoltà a distinguere il piuttosto avversativo e soprattutto ci siamo formati all’università della strada, finendo per credere che facendoci un vaccino ci inoculino il 5G, un brindisi a base di piscio con Eleonora Brigliadori e ci passa la paura, ha fatto sì che il concetto che uno vale uno, sicuramente valido a livello generale, ogni essere umano è appunto un essere umano, diventasse una sorta di fondamento per tutto quel che concerne le nostre vite, in barba alla logica e al buonsenso.

Certo, la presunta democraticità della rete, in effetti, come la vasta prateria che si apriva verso il Far West per gli esploratori e i cercatori d’oro, è stata e ancora è una vera opportunità, negarlo sarebbe altrettanto folle. Solo che, proprio come succedeva nel Far West, la prateria può portarci poi nel Klondike a trovare l’oro come farci incappare nei banditi che assaltando la nostra diligenza ci uccideranno, direi che tutto va preso con le pinze e ponderato.

Non sempre la democrazia è sensata, in alcuni casi è proprio deleteria e da evitare come la peste, specie in quei campi in cui è previsto che ci sia qualcuno che parla e qualcuno che ascolta, qualcuno che scrive e qualcuno che legge, qualcuno che fa e qualcuno che usufruisce del fare di quel qualcuno.

Lascio da parte la politica, sempre che qualsiasi parola che uno pronunci, oggi, non sia riconducibile a essa, l’ho già fatto da qualche riga, del resto.

Torno a parlare chiaramente di musica.

Uno vale uno, dicevo?

No, uno non vale uno, quindi.

La rete è piena di musica, fatta da chiunque, e a volte questi chiunque, che ancora non conosciamo, si rivelano artisti di grande talento, meritevoli di una grande platea, fisica e metaforica. Ma è anche davvero pieno di monnezza, musica inascoltabile, roba non solo prescindibile, ma addirittura nociva. Non che le classifiche di vendita presentino un menu tanto meglio, intendiamoci, anzi, ma evidentemente rispondono al gusto diseducato ad hoc, da Spotify, dalle radio e tv, e proprio da questo costante abbassamento del gusto medio, lavoro certosino portato avanti negli anni, così da corrispondere alla perfezione alle aspettative di un pubblico di analfabeti funzionali, se siete quanti d’estate muovono il culo col reggaeton, per dire, o che si emozionano fino ai lucciconi per le ballad di Ultimo, beh, sappiate che sto parlando proprio di voi.

Il compito di chi si occupa di musica per mestiere, me, nel caso specifico, ma non solo io, sia chiaro, sta anche nello scremare, nell’intercettare il talento e porlo all’attenzione del pubblico, nel lasciare che chi è nell’ombra e merita di stare nell’ombra, nell’ombra rimanga. Anche qui, uno non vale uno, ci sono competenze, credibilità conquistata negli anni, le firme sono tali perché sono riconoscibili e riconosciute per quel che dicono, è un attimo che si perda il proprio peso, ma finché il peso c’è, c’è.

So di aver urtato la vostra sensibilità. Parecchio. Prima vi ho dato degli analfabeti funzionali, anche se nei fatti non era proprio analfabeti funzionali che volevo dire, intendevo più arretrati culturalmente di decenni, involuti, ecco, ora vi ho detto che io so’ io e voi nun siete un cazzo, in pratica.

Che urto di nervi!

Provate però a fare mente locale.

Siete fan di un artista, prendiamone uno che difficilmente vi starà sul culo, fatemi pensare… ecco, siete fan di Cristina D’Avena. Siamo stati tutti bambini, dai, perché mai dovreste star lì a storcere il naso. Anche non rientraste nel caso specifico, fate uno sforzo intellettivo, siete fan di Cristina D’Avena. Avete comprato il biglietto per un suo concerto, poniamo il caso, all’Alcatraz di Milano. La pandemia è finita, siamo tornati a vivere, un sogno. Voi avete comprato i biglietti di Cristina D’Avena, avete speso una cifra congrua, che so?, trentacinque euro. Metteteci l’aperitivo che avete fatto al posto della cena, diciamo che tra tutto vi è costato una cinquantina d’euro. Non andate ai concerti tutti i giorni, non son pochi soldi ma una volta ogni tanto si può fare. Al punto che per non arrivare tardi vi siete presi pure mezza giornata di stacco dal lavoro. Ok.

Arrivate all’Alcatraz, fate la fila all’ingresso, vi prendete una birra al bar, e anche se vi fa abbastanza schifo bere birra da boccali di plastica, Greta Thumberg dove sei?, ve la state sorseggiando con lo stesso piacere che dedicate alle cose particolarmente buone, perché una birra che bevete in compagnia dei vostri migliori amici in attesa di un concerto è in effetti qualcosa di unico, sì, siete in compagnia dei vostri migliori amici, dimenticavo. Tutto è perfetto. Poi si spengono le luci, tutti alzate la voce in un grido di gioia, la acclamate. Ma sul palco esce un trapper, per altro piuttosto atipico, perché invece di avere la faccia piena di tatuaggi e essere vestito come fosse uno che spaccia crack nella serie Atlanta, su Sky, ha un normalissimo paio di pantaloni presi da Oviesse, un maglioncino grigio e non sa evidentemente andare a tempo, oltre a avere una voce vagamente sgradevole, per la cronaca ha anche i capelli con la riga da una parte, non se ne vedevano del 1974, così.

Siete sbigottiti.

Pensate a uno scherzo, qualcosa ideato per sorprendervi. Vi immaginate che da un momento all’altro arrivi sul palco Cristina D’Avena e succeda qualcosa. Deve per forza essere così. Ma il tipo finita la prima canzone attacca la seconda, come niente fosse. Allora pensate che si tratti di un artista scelto, per motivi inspiegabili, come opening, inspiegabili anche perché dalla trap dei primi due brani è passato a fare una cover, cantata davvero male di Modugno, e ora sta intonando, sempre male, qualcosa che dovrebbe essere un brano country, nulla a che vedere con Memole o i Puffi.

Fate qualche fischio, per altro in ottima compagnia di quasi tutta la platea. Vi guardate intorno, e tutti sono sbigottiti. Arrivati alla sesta canzone, la sesta, qualcuno comincia a lanciare sul palco i boccali di plastica, vuoti, qualcuno, evidentemente più arrabbiato, li lancia pieni. Arriva la settima, la ottava, la nona canzone, il dubbio che non si tratti di un opening diventa certezza. Andate verso l’uscita, cercando qualcuno del locale. Lo trovate alla biglietteria. Siete con gli occhi fuori dalle orbite, perché proprio di fianco alla biglietteria c’è ancora la faccia di Cristina D’Avena sul manifesto, la data è quella di oggi. Chiedete ragioni di tutto questo, lo chiedete a voce molto alta, non tanto per superare il frastuono della musica, sempre che si possa chiamare così, quanto perché siete visibilmente alterati, ma la risposta che ricevete, se possibile, vi annichilisce. Il tipo, come se niente fosse, vi dice che quello che è sul palco è tale Sfintere, ovviamente non Cristina D’Avena, ma che uno vale uno, non capisce dove sia il problema. Anzi, no, scusate, non si chiama Sfintere, si chiama Andrea Solustri, vi dice, è un perito agrario di Paderno Dugnano, non ha mai fatto musica, è vero, e si sente, probabile che torni a esercitare la sua professione, ma ci teneva tanto a fare un concerto all’Alcatraz, chi siamo noi per negare a Andrea Solustri di realizzare il suo sogno?

Ho forse esagerato, abusando del concetto di paradosso e iperbole, e anche spostando il discorso talmente in là da rendermi un ritorno su un territorio ragionevole un po’ ostico, ma volevo fugare una volta per tutte l’idea che davvero uno non vale uno. Nessuno di voi, immagino, spenderebbe cinquanta euro per andare a vedere il concerto del primo che passa, specie se il primo che passa si rivela poi del tutto incapace di tenere un concerto. Lo aveste incontrato su Spotify, bestie che non siete altro che ascoltate musica in streaming, sareste skippati dopo pochi secondi, figuriamoci se avreste speso soldi sonanti e tempo più o meno prezioso per lui.

Gli artisti sono quindi unici e preziosi, almeno quelli che vi appassionano, che seguite, che amate. Quelli per i quali spendereste soldi e tempo, soldi e tempo che già avete speso in passato per loro. Sono talmente preziosi che se qualcuno, anche qualcuno competente, autorizzato a farlo, pagato per farlo, vi dovesse dire che quello per cui spendete soldi e tempo è in realtà immeritevole di tante attenzioni, le sue opere sono dozzinali, banali, roba di scarso valore, vi inalberate e arrivare all’hating, accusando ovviamente lui di praticarlo, lo dico a ragion veduta, come potrete ben immaginare. Facendo uno sforzo anche minimo sapete che la stessa passione, passione anche irrazionale, che muove voi può muovere qualcun altro per un altro artista, ma come succede per il tifo calcistico faticate a immedesimarvi, certo, salvo quando arriva un esterno a criticare, io, nel caso della musica, e quelli che fanno il mio mestiere, i celerini, nel caso del tifo, qualsiasi ultras sceglierebbe di allearsi con un avversario contro un celerino, non vi è dubbio, quindi sì, sapete bene che la vostra passione irrazionale è alla base di qualsiasi rapporto artista fan, pur convinti che il vostro sia un rapporto speciale perché il vostro artista è sicuramente più meritevole degli altri, forza Genoa e Samp merda. Anche su questo credo che possiamo tutti essere d’accordo.

Allora mi spiegate perché da gente genericamente ritenuta così eccezionale, unica, speciale, gente che fa emozionare, trova le parole e le note per cantare quello che noi non riusciremmo a spiegarci neanche prendendoci ore di tempo e tutte le parole che conosciamo, gente che accomuna per altro noi e altri coi quali in apparenza nulla avremmo a che spartire, vero caso di democrazia reale, che parte dai sentimenti e non dalla ragione, insomma, mi spiegate perché pretendiamo che un artista sia capace di fare qualcosa di così eccezionale eunico ma al tempo stesso sia una persona normale, tale e quale a noi?

Perché ogni qualvolta che leggiamo di una eccentricità di un artista, spesso di un artista che non è il nostro artista, ci innervosiamo, sbraitiamo, lo critichiamo duramente, lo denigriamo?

Perché non vorremmo mai un Andrea Solustri, il tipo di Paderno Dugnano che ha sostituito Cristina D’Avena nel mio viaggio allucinato qui sopra, ecco, non vorremmo mai un Andrea Solustri su un palco ma vorremmo che chiunque su un palco ci va a ragione, per il quale c’è gente, anche noi, disposta a spendere tempo e denaro, sia in fondo esattamente come Andrea Solustri da Paderno Dugnano, perito agrario incapace di fare arte?

Io da un artista mi aspetto arte, non comportamenti normali. Essere artisti comporta magari l’essere stronzi, maleducati, arroganti, sociopatici, scostanti? Amen. Non ci devo andare a fare le vacanze insieme, non mi ci devo andare a bere una birra dopocena, e a dirla tutta, non mi ci devo neanche fare un selfie o chiedergli di fare gli auguri a mia cugina con un vocale su Whatsapp.

Io preferisco Madonna che non guarda negli occhi chi la intervista, Bob Dylan che non si presenta a ritirare il Nobel e neanche risponde loro al telefono, togliendo il riferimento dalle sue note biografiche, Prince che usciva solo di notte, Michael Jackson che dormiva in una camera iperbarica, Ozzy Osbourne che addentava pipistrelli, in epoca pre-Covid, è ovvio, ma che poi hanno tirato fuori la musica che ben conosciamo, a chi è “normale”, gentile, educato e si fa tutte le mattine bagni di umiltà. Di un artista devo apprezzare l’arte, non il carattere. Non siete d’accordo con me? Che mi frega, io so’ io, voi…