Ho fatto anche cose buone (e belle), come il progetto Anatomia Femminile

Il progetto dedicato al cantautorato femminile festeggia dieci anni di vita, in alto i capezzoli, brindate con noi


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Un anno fa ero nella bolgia.

Un anno fa lo eravamo in tanti, nella bolgia, la bolgia per essere tale necessita la presenza di più persone, se no devi essere tipo Lucifero che dice: “il mio nome è Legione, perché siamo moltitudine”.

Un anno fa ero nella bolgia, e ero anche piuttosto contento di esserci. Esattamente un anno fa, infatti, eravamo a Sanremo, nel bel mezzo di Attico Monina, eravamo quindi a Sanremo a lavorare come pazzi, cinquantadue ore di diretta in cinque giorni, quasi ottanta ospiti, circa quaranta persone coinvolte in pianta stabile, io, Mattia Toccaceli, i The Loops, Rosa Bulfaro e i ragazzi del Team Mirò, i nostri preziosi fonici, i tecnici di RTL 102,5, l’Orchestra Do Moon di Giuliano Gabriele, Roberto e Federico di F31 coi loro collaboratori, Lilith Primavera e Giuditta Sin, le cantautrici del Festivalino, i tanti ospiti di varia estrazione, Franca e Massimiliano dell’Osteria di Rendola, i cantanti in gara al Festival, uffici stampa, collaboratori, personal, vicini dell’Attico in visita, amici vari di passaggio, conigli rossi in fuga nella notte compresi, da non confondere coi conigli verdi di Sangiorgi, Mara Maionchi e la Gialappa’s, con Laura Ghislandi e Gigio D’Ambrosio a distanza, come a distanza anche la redazione di OptiMagazine, perché la bolgia è avvenuta lì, a Attico Monina, ma è entrata anche nelle vostre case, tramite OptiMagazine e OMTV.it, insomma, una vera bolgia.

Per altro, confesso, se mai dovessi immaginarmi una bolgia infernale, di quelle che animano le immortali pagine di Dante, o i quadri di Hieronymus Bosch, me le immaginerei abbastanza simile a quanto andava di scena in Attico Monina, tendo a avere una certa predilezione empatica per i poveri diavoli, una predilezione addirittura per chi si trova nella parte sbagliata della strada, quindi mai dovesse capitarmi di mettere in scena una bolgia, sarebbe una bolgia fantastica, festosa, ultrapop, lo affermo con perentorietà, non potrei mai rinunciare a un partner in crime come Mattia Toccaceli, alle performance a alto tasso di piccantezza e di consapevolezza pop di Lilith Primavera e Giuditta Sin, alle canzoni fresche e contemporanee dei ragazzi del Team Mirò, Crania ha appena sfornato il suo secondo singolo, A fondo, qui trovate il video , due mesi fa era uscito Stomachion, vi consiglio di recuperarlo, ha una scrittura davvero interessante, e un modo di interpretare le sue canzoni all’altezza della sua penna, cosa non sempre facile, e poi Mileven, Bellitto, Chiarae, Simone Tuccio, del suo Giovane per sempre ve ne avevo parlato nel primo lock down, le mirabolanti presenze sceniche e musicali delle cantautrici del Festivalino di Anatomia Femminile, tutte decisamente sopra la media delle uscite musicali nazionali, tutte dotate di grande talento, gli strumenti antichi e dai nomi improbabili dell’Orchestra Do Moon, con ogni giorno ospiti dagli strumenti ancora più improbabili, l’etnicità che si fa scoperta e nuova conoscenza, la gigantesca macchina fotografica in pellicole 60×60 degli F31, pensate a una “polaroid” di un metro per un metro, fari sparati come dentro uno stadio, una camera oscura messa in piedi nel mio bagno, i piatti incredibili di Franca e Massimiliano, le zampogne di Spedino Moffa a fianco della sensualità sbattuta in faccia come niente fosse dei Volosumarte, due nomi a caso, le chiacchiere, le canzoni, le battute fatte dietro le quinte, quelle fatte in diretta con Pinuccio e Andrea di Striscia la Notizia, il delirio che non ha sosta, mai, ininterrotto.

Bosch levate, che qui si fa sul serio.

La parola assembramento, all’epoca, non esisteva. Nessuna la aveva sentita dire, se non parlando di eversione e ipotesi rivoluzionarie, e nessuno poteva neanche lontanamente immaginare che presto sarebbe entrata di forza nel nostro lessico familiare, quotidiano, cambiandoci forse per sempre.

Per altro, Attico Monina arrivava dopo un crescendo di impegni e appuntamenti, non dico fossimo allenati a quello, mai si arriva allenati a situazioni così deliranti e impegnative, ma sicuramente non si può dire che la vita fino a quel momento fosse stata statica e immobile, come invece appare ora.

Se penso a quella bolgia, ora, che passo parte delle giornate sul divano di casa, la discografia in panne, i live fermi a data da destinarsi, le ipotesi di viaggi, anche viaggi dentro l’Italia, fino a un anno fa scorrazzavo per lo stivale a tenere conferenze e workshop, oltre che, viva Dio, a fare gite e vacanze, anche solo per rivedere i miei genitori e i miei fratelli, sfumate, parte di un passato che sembra quasi impossibile da riportare in vita, roba tipo i revival o il modernariato, per intendersi, ecco, se penso a quella bolgia, lo confesso, mi prende lo scoramento, non dico la disperazione, ma quantomeno lo scoramento.

Se alla frenesia e all’iperattività, visioni e intuizioni che si fanno azione, eventi, occasioni, progetti in essere e in divenire, entusiasmo e delirio, si sostituisce l’apatia più totale, condita di pervasiva assenza di progettualità, non dico paresi permanente, ma immobilismo senza previsioni di stop a breve, beh, direi che lo scoramento ci sta tutto, è comprensibile, addirittura ovvio.

Siccome però non voglio perdere l’ormai quotidiana partita con l’apatia, non voglio citare la faccenda delle battaglie e della guerra, perché di guerra e battaglia contro me stesso, si tratterebbe, ma contro un me stesso che ha come alleate la contingenza, la pandemia e anche una notevole dose di sfiga, credo che non potendo contare su un presente presentabile, non potendo neanche fare affidamento su un futuro roseo, ma che dico roseo, neanche vagamente distante dal nero cupo e oscuro che siamo soliti associare alla fine dell’inferno di cui sopra, credo che la sola possibilità che mi resta per tenermi lucido e vivo sia guardarmi alle spalle, concentrarmi cioè sul passato, magari provando anche a fare un po’ di quell’ordine che non si fa contando proprio sul fatto che prima o poi si troverà quel tempo per farlo.

Ho fatto anche cose buone.

Tante cose buone.

E anche e soprattutto cose belle.

Bellissime.

Questo mi sento di dire. Ho fatto anche cose buone, facendo il verso a quella idiozia priva di ogni fondamento storico che solitamente sentiamo in bocca a fascistelli del tutto privi di cultura mentre provano a dirci che Mussolini ha nel suo carniere più virtù che vizi, le pensioni, le scuole, gli acquedotti, quella roba lì.

Io non sono Mussolini, anzi, il mio passare quotidiano dalle parti di Piazzale Loreto, lo dico senza pudori, mi procura sempre un certo piacere, e di cose buone ne ho fatte davvero, e ne ho fatte anche tante.

Non parlo del mio privato, figuriamoci, la bolgia, l’iperattività, Attico Monina, Sanremo 2020 non era certo riferito al mio privato, seppur Marina fosse lì, a Sanremo, almeno nei primi giorni, e abbia salvato la baracca nel momento della crisi, perché come spesso capita quando si mette in piedi qualcosa di ambizioso una crisi c’è stata, parlo di lavoro, di progetti, di visioni, di intuizioni, di eventi. Cose buone, ripeto, e belle.

Giorni fa ho fatto una lunga telefonata proprio con Mattia Toccaceli, colui col quale, negli ultimi anni, ho dato vita a buona parte delle cose buone di cui sopra, Attico Monina compreso.

Si parlava, con nostalgia e malinconia, di momenti particolarmente esilaranti avvenuti in occasione di diversi di questi progetti, roba spesso rimasta impigliata solo nella nostra memoria, invisibile a chi quei progetti ha seguito, visto, ascoltato, letto.

Come spesso faccio, magari ve ne siete accorti, quando parlo tendo a passare di palo in frasca, cambiando continuamente scenario, non sempre esplicitando a voce alta i motivi di questi miei assolutamente rigorosi passaggi logici. Cioè, dico una cosa, parlo di una cosa, nel mentre questa cosa mi fa venire in mente un’altra cosa, che sempre in mente, me ne fa venire tutta una serie, a quel punto eccomi a attaccare alla cosa di cui sto parlando l’ultima cosa che mi è venuta in mente, tutti i passaggi intermedi lì, nella mia testa. Mattia, come suppongo coloro che mi frequentano, la mia famiglia in testa, ma anche voi che mi leggete con una certa continuità, lo dico dando i benvenuti ai nuovi arrivati, sia chiaro, ci è abbastanza abituato. Non chiede, si limita a subire il mio modo di parlare, di scrivere, di pensare. Di più, mentre siamo lì a chiacchierare spesso procede così anche lui, non saprei dire se lo fa abitualmente anche in mia assenza, però. Così, mentre ricordavamo questo o quel momento esilarante, siamo arrivati a parlare di un certo personaggio che per qualche tempo abbiamo incontrato, per un progetto che, come buona parte dei progetti, non ha mai visto la luce. Chi fa il mio mestiere, e il mestiere di Mattia, ben sa come a fronte della quantità di progetti abortiti i progetti che poi vedono la luce sono una percentuale minima, risibile, al punto che spesso di quei progetti si perde in parte memoria, e a volte li si rimuovono proprio, come se non li si fosse mai pensati e progettati anche nei minimi dettagli. Parlando di quel personaggio bizzarro, davvero bizzarro, per intendersi, uno che, questo il ricordo che ci stava facendo ridere in quel preciso momento della nostra telefonata fiume, abbiamo rievocato un giorno in cui, ero in realtà presente solo io, il tizio si è sfilato le scarpe durante una riunione cui partecipavano sei o sette persone, per intendersi persone non amiche, gente che stava lì per lavoro, ecco, il tizio si è tolto le scarpe, si steso per terra, rannicchiandosi in posizione fetale, le mani giunte come in preghiera infilate sotto la faccia, a mo di cuscino, e si è messo a dormire. Non per ridere, intendiamoci, si è proprio messo a dormire, mentre noi, fingendo che tutto quello fosse normale, abbiamo continuato a parlare di non saprei dire che progetto in via di finalizzazione, e poi mai diventato altro che un progetto in via di finalizzazione. Rievocando quel momento, io e Mattia, ci siamo ricordati che il titolare del luogo nel quale tutto ciò è avvenuto, quello che ospitava la nostra riunione, a un certo punto era scomparso dai nostri radar, così, come ci era entrato, senza lasciare traccia. Mattia, a quel punto, ha detto che proprio pochi giorni prima gli era capitata sotto mano una chat nella quale si parlava di un nostro format, fatto col tipo, non quello che dormiva sul pavimento, quello che era titolare di quel pavimento. Un format già a buon punto, questo si dicevano Mattia e il tipo nella chat. Né io né Mattia, questo l’assurdo, ci ricordiamo di cosa si trattasse. Abbiamo anche provato a incrociare le informazioni, controllato altre chat, guardato nei folder dei nostri PC, negli hard disc, nella cronologia delle mail. Niente. Tutto svanito nei fumi della nostra memoria. Memoria nella quale permangono, invece, non saprei neanche dire quante “puntate pilota” di altri progetti, quanti video di presentazione di progetti interessantissimi, quanti power point colorati e cazzutissimi le cui presentazioni ci erano sembrate assolutamente andate a buon fine. Ne abbiamo piene gli hard disc, in effetti, e a rivederle non possiamo che compiacerci per le tante, tantissime trovate geniali che ci sono venute in mente negli anni. Tutta roba destinata, ovviamente, a rimanere lì, al massimo ogni tanto ce le possiamo condividere tra noi, o con chi a quei progetti ha lavorato, sempre che nel mentre non si siano rotti rapporti, succede, neanche troppo raramente.

Per dire, abbiamo fatto un format pazzesco con la collaborazione di una strepitosa superband di cantautrici, nell’occasione intente a suonare strumenti giocattolo, Ilaria Porceddu, Erica Mou e Gabriella Martinelli, format che aveva come ospiti e coprotagonisti Gigi D’Alessio e Enrico Ruggeri, loro a cantare in compagnia di queste tre perle mentre io me ne stavo a dormire in un letto con indosso orecchie in lattice da coniglio e i mie caratteristici occhialoni rosa, format mai uscito dai nostri computer. Oppure un altro che vedeva me legato al soffitto di una villa antica e cadente, una palla da sadomaso infilata in bocca mentre una Tamara Taylor in vesti di mistress mi maltrattava, anche questo rimasto lì, nel nulla. Ma a fronte di questi progetti abbiamo le tante interviste fatte alle QC Terme di Milano, quelle fatte per la serie A Pool Guy, un una bellissima piscina di un agriturismo dalle parti di Civitanova, nelle Marche, quelle a bordo del van nero a Sanremo 2017, il van con su scritto sulle fiancate Monina Against the Machine, quelle a tavola, vino Rosso Piceno e cucina marchigiana in tavola, al Sanremo 2018, abbiamo il Festivalino a Sanremo portato a Attico Monina, Casa Sanremo e sul palco Rai di Piazza Sirio Carli, a Sanremo 2019, quello di Attico Monina 2020, il Primo Maggio a Roma, nel 2018, fatto in collaborazione con iCompany, il format andato sui canali social di Optimagazine durante il primo lock down, #IoRestoACasaMonina, quaranta interviste con artisti di levatura nazionale, le centinaia di interviste in giro per l’Italia, davvero abbiamo perso il conto, e poi ci sono le iniziative che ho portato avanti da solo, le tre Anatomia Femminile, antologie di cantautrici, le prime due dedicate al corpo, l’ultima no, in totale settanta cantautrici coinvolte, l’album scritto e prodotto delle Bikinirama, con una campagna di lancio che ha coinvolto oltre cinquanta artisti da Max Pezzali a Caparezza, passando praticamente per chiunque, le canzoni scritte per altri, da Alice Paba a Marco Carena, il Festivalino al MEI, settembre 2018, il monologo “Cantami Godiva, contro i sentimenti per una rivalutazione del corpo” con Ilaria Porceddu e la partecipazione straordinaria di Patrizia Laquidara, Noemi e La Rappresentante di Lista, a Roma, presso Officina Pasolini, sempre con Ilaria Porceddu lo speech e esibizione canora dal titolo Venere senza pelliccia, al TedX di Matera 2018, il festival di cantautrici Femminile Plurale a Officina Pasolini, ideato da Tosca e da me e da me condotto con Cinzia Fiorato, Femminile Plurale in streaming, quest’anno, sui canali social di Officina Pasolini, le tante edizioni del Festivalino di Anatomia Femminile sulla mia pagina facebook, per la precisione quattro edizioni della versione ufficiale, 2017, 2018, 2019, 2020, l’edizione Off curata interamente da Adel Tirant, nel 2019, la Quarantine Edition, nella primavera scorsa, oltre quattrocentocinquanta video inediti per oltre trecentocinquanta artiste, gli worshop sulla Rockstarritudine tenuti in giro per l’Italia, gli webinar, le conferenze, le lezioni in Università, l’ultima a novembre, a parlare di corpo delle donne in musica, il crowdfunding Monina Sì vs Monina No, fatto con Musicraiser, quello Pop Babilonya, al momento in stand by, i reading fatti con artisti, prevalentemente artiste, penso a Cristina Donà, L’Aura, Malika Ayane, come gli interventi sul palco di grandi artisti quali Enzo Avitabile e Tosca, le partecipazione a giurie e comitati tecnici di premi e concorsi, dal Bianca D’Aponte, Dio non vedo l’ora si possa recuperare l’ultima edizione, al Lunezia, dove ho premiato Gigi D’Alessio, Tiromancino e Noemi, indicandoli come meritevoli di premi.

Mi fermo qui.

Mi sento già meglio, non perché io pensi che questa mole di iniziative torneranno di qui a breve, avrei potuto anche guardare ai miei ottanta libri, a breve ne usciranno altri due, alle opere teatrali scritte, ai programmi radio e tv, al film di cui sono autore, Vasco Non Stop Live 018-019 di Pepsy Romanoff, ai programmi fatti in radio con RTL 102,5, Monina Against the Machine, i tre Festival, quello con Pio e Amedeo, quello con Mara Maionchi, Alberto Salerno e Cristiano Malgioglio, quello con la Maionchi e la Gialappa’s Band, la mia rubrica L’Anticonformista, il programma The Shooter tenuto per Pop Economy, ventiquattro interviste a altrettanti artisti sul rapporto tra musica e economia, le migliaia di articoli, le inchieste finite anche in tv, passando da Dagospia, come quella sui conflitti di interesse di Baglioni e Salzano, Pinuccio a fare da cassa di risonanza a Striscia la Notizia, questo mio diario del lock down e chissà cos’altro, ma questo non voleva essere una trasposizione su questo diario del mio curriculum, ne un balsamo per la mia autostima ferita, quanto piuttosto un ragionare a voce alta su come, in fondo, la pandemia ci stia veramente cambiando radicalmente, su come, cioè, anche le anime più dinamiche, mi metto tra queste, al momento si trovino ferme a subire gli ordini severi dell’apatia.

Tutto questo che avete letto, questa marea di eventi e situazioni, oggi come oggi, sarebbero impensabili. Non ci si può vedere di persona, non ci si può assembrare in un luogo pubblico, teatri e palasport sono chiusi a data da destinarsi, Sanremo, se si farà, non sarà quello che conosciamo, un Attico Monina oggi sarebbe fonte di pericoli e probabilmente anche fonte di una denuncia, legittima. Progettare è diventato uno sport fine a se stesso, perché se prima era difficile realizzare idee anche complesse, ma alla fin fine di idee complesse si finiva per realizzarne molte, ora ci si può al limite lasciare andare a sogni a occhi aperti, sogni a occhi aperti che però tali rimangono, anche perché nel mentre l’apatia ha acuito l’insonnia, sogni e basta non se ne fanno davvero più.

Allora credo sia necessario, parlo per me, ovviamente, ma credo di poter incontrare il favore di buona parte di quanti mi leggono, anche di quelli che non mi leggono, a dirla tutta, credo sia necessario provare a ipotizzare davvero una ripartenza. Certo, tenendo conto di tutte le limitazioni che l’oggi ci impone, quelle dei vari DPCM, sicuramente, ma soprattutto quelle dettate dal buonsenso, oggi che mi sembra di ravvedere una certa faciloneria nell’affrontare la contingenza, faciloneria immagino figlia della crisi politica, ma anche della paura di una esplosione sociale che, dopo un anno, è evidentemente un problema ipotetico da non sottovalutare. Come dire, meglio stare attenti e cauti, così da poterci permettere il prima possibile di tornare a una vita non dico identica a quella precedente, ma con una socialità che si possa dire tale.

Guardandomi alle spalle, questo ho fatto con voi fin qui, due idee mi sembrano le più percorribili. Entrambe, ovviamente, partono da lì, da cose già fatte, già vissute, andate in giudicato.

La prima è forse figlia dei miei studi da storico, studi non portati a compimento, ho lasciato l’università, Storia Moderna a Bologna, a un solo esame dalla fine, la tesi già scritta e consegnata, potrei rendere pubblico il mio archivio, quello dei progetti realizzati ma anche dei format mai andati avanti, credo sia quasi un migliaio di video, solo il Festivalino ne conta quasi cinquecento, ma pensate ai podcast dei programmi radio, ai video dei programmi tv, agli articoli, un lavoro improbo, da fare provando a ordinarli seguendo un filo logico, fornendo quindi una sorta di biblioteca pubblica che non sia strettamente legata alla mia pagina Facebook, al momento solo scrigno che contiene questo piccolo tesoro.

La seconda, invece, guarda sì dietro, ma puntando decisamente in avanti, quest’anno cadono i dieci anni dalla pubblicazione della prima antologia Anatomia Femminile, e quindi cadono dieci anni che il mio guardare al cantautorato femminile è diventato parte preponderante del mio essere uno scrittore e critico musicale, buona parte delle iniziative che avete su letto partono esattamente da qui.

Dieci anni sono tanti, gli incontri fatti nel mentre tantissimi, alcuni finiti per essere vere e proprie amicizie, altri scaturiti in collaborazioni ormai consolidate, Anatomia Femminile è diventato a suo modo un brand molto più forte e efficace di chi lo ha partorito, io, forse addirittura destinato a rimanere dopo di me, credo che celebrarlo sarebbe più doveroso che necessario, e credo anche celebrarlo sia però necessario, perché qualcosa di positivo, questo tempo, ce lo deve pur regalare.

Come? Beh, una cosa alla volta. Le cose buone, come le cose belle, necessitano di concentrazione e ispirazione, tutte cose che l’apatia sicuramente non agevola. Il tempo di pensarci un po’, confrontandomi con loro, le cantautrici, e sarà mia premura dirvi cosa sarà questa celebrazione, dove sarà, e come sarà. Per ora iniziate a preparare i fuochi di artificio e i coriandoli, se servirà anche le carte di credito, Anatomia Femminile festeggia dieci anni di vita, e chissà quanti altri ne ha davanti, in alto i capezzoli, brindate con noi.