Affinità e divergenze tra la DAD e i concerti in streaming con il mio dito menomato sullo sfondo

Sto cominciando a guardare ai concerti in streaming come a una opportunità che andrebbe sfruttata da un punto di vista artistico, ahimè


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Poco più di un mese fa, il giorno di Natale, mi sono quasi decapitato l’indice della mano destra. No, non tutto il dito, solo la falangetta, rimasta incautamente incastrata dentro una porta, quella di camera mia, che si è chiusa violentemente a causa della corrente generata da tutte le finestre di casa lasciate aperte contemporaneamente. Una situazione piuttosto dolorosa, il dito si è aperto quasi in due, lasciando che uscisse una buona quantità di sangue, e anche piuttosto complicata da risolvere, perché di andare al pronto soccorso non ne ho voluto sapere, siamo in piena pandemia e era la mattina di Natale, ma da subito mi è stato evidente che erano necessari dei punti per rimettere insieme i lembi di carne e pelle e anche per fermare il sangue. Così, pragmatico che non sono altro, nonostante fosse zona rossa e nonostante stessi appunto abbondantemente sanguinando, mi sono vestito, sono uscito di casa e mi sono messo alla ricerca di una farmacia aperta.

A Natale di farmacie aperte, specie se sei in zona rossa, ce ne sono davvero poche, ma ci sono anche poche macchine, neanche una manciata, per cui tempo qualche minuto e mi sono ritrovato unico cliente dentro la farmacia che si trova esattamente dietro la scuola che frequentano i miei gemelli, lì a comprare garza, cerotto e gli steri-strip, cioè quelle strisce di cerotto che dovrebbero fungere da punti, di solito utilizzati laddove non si vuole lasciare il segno di una cicatrice, penso al viso. Sono tornato a casa, mi sono disinfetta e ho praticato quella che è stata una sorta di fasciatura alla Rambo, mia suocera a provare a darmi una mano. La mia preoccupazione, più del dolore che è andato avanti tutto il giorno e anche per i giorni successivi, il dito a pulsare come se ci stessi dando dei colpi forti col martello, era più che altro rivolta al lavoro, la mia preoccupazione era: come avrei potuto scrivere in assenza dell’indice della mano destra?

Scrivo molto, e anche molto velocemente, magari lo avrete immaginato leggendo i miei fluviali capitoli, l’idea di doverlo fare con un dito fasciato, e non un dito qualsiasi, non un mignolo, ma proprio l’indice della mano destra, mi sembrava un handicap insuperabile.

Nei fatti, dopo pochi minuti che faticavo a prendere il via, ho iniziato a scrivere esattamente come faccio di solito, solo che della mano destra ho preso a usare solo il medio e il pollice. Dopo qualche giorno, per altro, ho ripreso a fare tutto quel che facevo, e fortuna che sono ambidestro, un mancino non riconosciuto da piccolo, suppongo, per cui la ferita è stata assai meno penalizzante di quanto avrebbe potuto essere.

Oggi, a distanza di oltre un mese, ho ancora il dito menomato, anche se da settimane non lo fascio più, si vede una sorta di callo rosso che mi sorge al centro della falangetta, nel lato opposto all’unghia, e un evidente ematoma che sorge sotto l’unghia stessa, al punto che dubito tornerà mai come prima, ma ci sono abituato, ci convivo, è diventato parte di me.

Potrei star qui a partire con una elegia delle cicatrici, lasciando che la mente, la vostra, non la mia, si appoggi sul pensiero che di cicatrici dell’anima io stia parlando, di quei cambiamenti, a volte cambiamenti violenti, strappi, ferite, che stravolgono le nostre vite, a volte le rendono agonizzanti, ma dalle quali finiamo per guarire, cicatrici, appunto, sulle quali passare anche con tenerezza le mani, le mani dell’anima, se è di anima che stiamo parlando, ricordando quel che era e non ritornerà più, guardando ai noi stessi di prima come affetto, e ai noi stessi di oggi, noi e le nostre cicatrici, con orgoglio e compiacenza, ma io stavo solamente parlando del mio dito rimasto incastrato dentro la porta, maledetta corrente, e di come mi sia presto abituato a non utilizzarlo.

Andiamo oltre. Esattamente una settimana fa la faccenda dei dati sbagliati inviati dalla Regione Lombardia all’ISS è diventata parte dell’immaginario collettivo, con tanto di risate finte a fare da sottofondo, risate finte che però suonano agghiaccianti e sconcertanti come quelle che ancora si trovano sotto le puntate dei Robinson, ora che tutti sappiamo che mostro fosse nei fatti Bill Cosby.

Sapete tutti come è andata la vicenda, per quanto il fumo di Londra che ormai circonda qualsiasi cosa riguardi la sanità in Lombardia lasci sempre sospeso un certo grado di dubbio e incredulità, la Regione ha inviato a Roma i dati relativi alle prime due settimane di gennaio, questo un paio di giorni dopo che il presidente Fontana aveva annunciato l’imminente ritorno in zona rossa. Neanche il tempo di averli inviati e di essere tornati in zona rossa che lui, il presidente Fontana, ha iniziato a parlare di punizione, di volontà di attaccare la Lombardia, dicendo che in realtà noi si era in zona gialla. Nel mentre la Moratti, da poco subentrata all’assessorato al Welfare della regione al posto dello stanchino Gallera, ha ben pensato di dire che avrebbe ben visto che i vaccini fossero assegnati non solo in base al numero degli abitanti, ma al Pil e all’indice di produttività delle regioni, tanto per farci capire cosa significhi, di fatto, cadere dalla padella alla brace.

La faccio breve, alla fine a Roma arrivano i veri dati, che di colpo passano da quindicimila a cinquemila contagi giornalieri. Fontana dice che è colpa di Speranza, Speranza dice che è colpa di Fontana. Alla fine i dati vengono ricontati e la Lombardia, esattamente una settimana fa, viene dichiarata in zona arancione, poco importa che per un errore, non si sa esattamente di chi, per una intera settimana siano rimasti chiusi esercizi commerciali, ristoranti, bar e quant’altro.

Nel quant’altro rientrano anche le scuole superiori e seconda e terza media, è noto, fatto che nell’ultima settimana ha visto mezza Italia attraversata da manifestazioni da parte di studenti e anche professori. Manifestazioni che ci erano state in parte già raccontate, tutti abbiamo visto le scene dei ragazzi che studiavano davanti alle scuole chiuse, o che provavano a forzare i cancelli per occupare pacificamente i cortili, solo che nessuno si era premurato di dirci che in buona parte quelle manifestazioni non erano per un semplice ritorno a scuola, ma per un ritorno a scuola solo in caso di nuovi protocolli di sicurezza.

Le nuove manifestazioni, infatti, avvenute a scuole riaperte, ormai un paio di settimane fa, erano di protesta per la riapertura, non certo per invocare qualcosa che nei fatti era già avvenuta, e a quel punto si è scoperto che ci avevano venduto per Toma Roma. Che ci sia una piccola elite che passa il tempo a evocare disastri per gli adolescenti, signora mia, e facciamoli tornare a scuola, signora mia, chi se ne frega dei disagi, tanto noi siamo elite e i nostri figli vanno a scuola vicino casa in piena sicurezza, è ormai evidente, ma non è di loro che mi voglio occupare, se posso tendo a non occuparmi di chi non avendo nulla da fare pontifica, tanto più se pontifica sulla pelle degli altri.

Parliamo di scuole chiuse, scuole aperte, DAD e ripartenze, allora.

Perché che le scuole siano rimaste chiuse è ovviamente uno scempio, una macchia che spero non venga dimenticata quando tutto questo sarà finalmente archiviato, prova provata dell’incapacità di un governo di gestire una emergenza, figlia dell’incapacità di gestire anche l’ordinarietà, ma aprirle per aprirle, senza una ratio, non è che sia esattamente la migliore strada da percorrere. Anzi.

Lo so, sono di parte, ho due figli adolescenti e tendo a ragionare a partire da loro, ma proprio perché ho due figli adolescenti, e per anagrafe ho anche amici che in linea di massima hanno figli della medesima età, credo di poter parlare con una buona prospettiva, sapendo più che ipotizzando.

Ho voluto appositamente aspettare la prima settimana di rientro per poter dire la mia, senza essere accusato di allarmismi o di disfattismo.

Ho letto di tutto in questi mesi, e ho anche visto di tutto. Ho sentito parlare di disagio adolescenziale, di danni irreversibili per una generazione, di aumento di consumo di alcol e droghe come di innalzamento del tasso di suicidi, il tutto quasi sempre toccato con la stessa accuratezza con cui si parla di qualsiasi argomento qualsiasi giorno, oggi parlo di suicidi, domani di inaugurazione della nuova sede della FCA a Melfi.

Personalmente penso che danni ce ne siano stati, ma sarei un po’ meno catastrofista nel guardare ai giovanissimi, che come tutti i giovanissimi hanno una capacità di adattarsi alle contingenze, le medesime che l’uomo ha sempre avuto dal tempo dei tempi. Non voglio star qui a ipotizzare paragoni tra questa generazione e il mio indice della mano destra, ma sta lì a buon uso di chi vorrà cimentarcisi.

Ho molto lamentato l’inefficienza della DAD durante il primo lock down, con riferimento specifico alle elementari, e continuo a pensare che per i più piccoli la DAD, mio figlio Francesco ne ha usufruito per due settimane, nel momento in cui a novembre la sua classe è stata messa in quarantena fiduciaria, non sia neanche vagamente paragonabile alla scuola in presenza. Con questo, ovviamente, non intendo dire che la scuola in presenza sia l’Eldorado mentre la DAD sia l’inferno, penso che spesso anche la scuola in presenza sia fallace e malfatta, ma almeno i bambini non devono star lì a cercare di capire cosa sta dicendo qualcuno dentro un device, per altro costringendo i genitori a star loro a fianco, spesso mentre stanno lavorando in smart working.

Non voglio neanche iniziare il discorso di quanto la DAD avrebbe acuito le differenze tra agiati e disagiati, parlo di classi sociale e di agio economico, perché pensare che la scuola in presenza non evidenzi alla stessa maniera disparità tra agiati e disagiati è non saper leggere neanche uno straccio minimo di realtà, si pensi solo a chi frequenta che scuole, parlo di nomi e anche di tipi di scuole. Sostenere che i figli dei più abbienti che frequentano i licei del centro abbiano le stesse opportunità dei meno abbienti che se va bene frequentano le professionali, poste non a caso in periferia, la dice lunga sulla lucidità di certi commentatori.

Comunque, per le superiori la DAD ha funzionato decisamente meglio, certo tenendo conto che siamo in emergenza pandemica, permettendo con tutti i distinguo del caso a un numero abbastanza alto di studenti di proseguire nella didattica, seppur con la fatica che avere poca rete o device, magari in case piccole e affollate, ha comportato. Ripeto, non che la scuola in presenza avrebbe annullato quei disagi, in termini di possibilità di studio a casa, poi, e anche in possibilità di usufruire di tutti quei servizi che intorno alla scuola ruotano.

Certo, è totalmente mancata la socialità, su questo quasi tutti hanno concordato, ma visto che la socialità è quella che poi è stata sempre indicata come il punto debole del rientro a scuola, sbagliando totalmente il bersaglio, il problema è evidentemente nei trasporti oltre che nelle strutture scolastiche spesso sprovviste di termosifoni, il fatto che si tenda a demonizzare la cosiddetta movida e a evocare un ritorno alla socialità dei ragazzi fa davvero ridere. Io credo che ovviamente i giovani abbiano diritto alla socialità, come e più degli altri, ma credo anche che se la socialità comporta il rischio di ammassarsi nei mezzi, con conseguente rischio contagio che poi arriverà nelle famiglie, beh, direi che il problema neanche ce lo dovremmo porre.

Certo, lo si potrebbe dire anche di fabbriche e uffici, lo si dovrebbe dire, e io da subito ho sostenuto e sostengo che chi potrebbe non lavorare in presenza e lo fa, perché non vuole stare a casa, attenzione, non vuole, non non può, perché ha i figli che disturbano, o per mille altri motivi, sbaglia, e sbaglia soprattutto chi non ha legiferato in maniera chiara a riguardo. Parlare di lock down quando una porzione rilevante di persone è dovuta (non per tutti è stata una scelta) andare in aziende e fabbriche, è dire qualcosa che non risponde al vero. Non a caso le zone più colpite nella prima ondata sono quelle di una delle zone più industrializzate di Italia, fabbriche lasciate a aperte che sono diventati focolai che poi hanno fatto sì che diventassero focolai anche le case dei lavoratori.

Nei fatti le scuole, ci hanno detto, sono luoghi sicuri, e stando al tasso di contagio è vero. Chi è stato messo in quarantena fiduciaria, una quantità impressionante di classi, tre dei miei quattro figli, nonostante due dei quattro siano andati a scuola solo un mese, e la quarta non l’ha fatta solo per un errore dell’ATS, che ha sbagliato a conteggiare i giorni di quarantena, complice un weekend, non ha poi contratto il virus. Il problema è che nell’andare a scuola il rischio è alto, visto che i mezzi sono strapieni, i miei figli non mancano di mandarmi video tipo carro merci, e le aule troppo piccole nelle quali si ritrovano, in quelle grandi, ahiloro, non ci sono i termosifoni, non permettono nessun tipo di distanziamento. Per non dire che, siccome il genio ha portato chi avrebbe dovuto provvedere all’organizzazione a pensare a uno scaglionamento negli orari, c’è la faccenda di chi si trova un giorno a andare a scuola tra le 10 e le 16, con pranzo quando potrà tornare a casa, perché in classe non si può mangiare, alcuni tornano a casa anche dopo un’ora dalla fine della scuola, abitando in altri comuni, andando poi l’indomani a fare scuola in didattica a distanza, poi andando a scuola in presenza in orario normale, poi ancora in didattica a distanza e via, di nuovo dalle 10 alle 16, non vorrai mica fare le solite cinque ore, dopo tutto il tempo passato a casa?, questo devono aver pensato.

Ora che questo programma scolastico sia meglio della DAD me lo devono spiegare con parole precise e circostanziate, perché io vedo ragazzi che poi non possono studiare bene, perché se pranzi alle 17 col cavolo che studi normalmente, così come professori che passano più tempo a lamentarsi che a spiegare le lezioni.

I miei figli, che hanno osservato le regole con dedizione totale, non uscendo se non quando era loro concesso, non vedendosi in casa con amici, passando le vacanze di Natale in casa con noi, sono caduti in uno stato di prostrazione ora, che sono tornati a scuola, ben più di quanto non fossero prima. E stando a sentire quel che emerge dalle loro chat di classe, la faccenda è piuttosto comune. Non che prima fossero tranquillissimi, ma avere paura di contagiarsi per dover andare a scuola in condizioni pietose, ventisette in una aula piccola, mia figlia, perché le aule grandi non hanno i termosifoni, in quegli orari folli mio figlio, li sta sottoponendo a uno stress supplettivo, perché già essere sotto pandemia da un anno a questa parte sicuramente non li ha aiutati, socialità o non socialità.

Dio non voglia che io a questo punto tiri fuori la faccenda dell’esame di maturità, mia figlia frequenta il quinto. Perché quello è un nodo che, in presenza di un Ministro non dico competente, ma anche solo normale, già da tempo sarebbe dovuto essere messo da parte definitivamente, come è ipotizzabile che si pensi a un esame di maturità dopo un anno e mezzo, tanto sarà passato dall’inizio di questo delirio a giugno, visto che già l’anno scorso, dopo solo tre, quattro mesi, si era optato per una tesina da presentare live?

Sono fermamente convinto che l’anno scorso la scuola fosse da fermare, nessuno era pronto a quel che è successo, per lavorare a un protocollo che rendesse possibile o la scuola in presenza sicura o una DAD un po’ meno farraginosa quest’anno. Così non è stato, ma tra il liberi tutti, poi vedremo che succede, e la DAD, non ho dubbi: DAD tutta la vita. L’uomo è sopravvissuto a di tutto, sopravviveranno anche loro, tanta grazia che ora esiste la rete, almeno non se ne sono semplicemente stati sul letto a aspettare che il pericolo passasse.

Ora, passare a parlare di come qualcuno abbia provato e stia provando a usare i concerti in streaming per ovviare alla momentanea mancanza di concerti in presenza mi verrebbe anche troppo facile. Magari anche aprendo alla deviazione laterale, se lo smart working finirà per sostituire parte del lavoro in ufficio, molte sono le realtà, specie quelle grandi, in cui si prospetta un turn over in presenza con buona parte del lavoro fatto da casa, perché non ipotizzare che anche i concerti diventino questa cosa qui, una parte in presenza e il resto da casa, o direttamente tutti da casa, tipo smart live?

Talmente facile che lo faccio, mica devo necessariamente star sempre qui a fare i salti mortali, no?

Sono tra quanti, mesi fa, ha asserito senza paura di smentita che mai avrei sostituito con i concerti in streaming i concerti reali. Ho fatto di più, ho implorato di nostri cantanti di smetterla addirittura di fare le dirette sui social, per evitare che poi la gente si abituasse a questo, facendo col live quanto era stato fatto con la musica incisa, una volta che ce l’hai gratis col cavolo che poi torni a pagare per averla. L’artista di fronte, la musica sparata a livelli di muro del suono dalle casse, la calca, il sudore, la gente che canta in coro, ci siamo capiti. Poi sono passati i mesi, ho visto tentativi, penso ai Gorillaz, penso a Dua Lipa, e uno potrebbe dire, e sticazzi, sono star internazionali con numeri incredibili, ma penso anche a eventi assai minori, avvenuti in nostri teatri di provincia, ho visto tentativi riusciti di provare a coniugare questa nuova forma, il live in streaming, con qualcosa di artistico, non quindi la semplice trasmissione di un concerto cui non possiamo evidentemente assistere dal vivo, ma il tentativo più o meno riuscito di spettacolarizzare una contingenza, di fare qualcosa che sia diverso e proprio perché diverso abbia dei punti di forza, non solo dei punti di debolezza. Mi ci sono quasi abituato. Poi sono passati altri mesi, ho ricordato con rimpianto quei rari eventi cui ho assistito dal vivo, questa estate, penso a Enzo Avitabile a Sarnano, all’interno di RisorgiMarche, o penso a Tosca nella mia Ancona, dentro AdriaticoMediterraneo, perché essere lì, seppur con mascherina e a distanza anche dai propri congiunti, le sedie inchiodate a terra, è sempre altra cosa, ma col passare del tempo l’idea di tornare a breve in un luogo molto affollato per assistere a un concerto è divenuta sempre meno affascinante, oltre che meno possibile. Mi sono iniziato a chiedere, certo non con insistenza, quando si tratta di domande tanto per ci si può concedere anche tempi rilassati, se avessi poi tutta questa urgenza di tornare a assistere a concerti, specie a concerti molto popolosi. Mi sono chiesto anche se, urgenza a parte, fosse possibile farlo lo avrei fatto. Come dire, ne avevo urgenza? E poi, ne avevo voglia? E sono giunto alla conclusione che questa cosa di stare in casa e usare i device per essere collegato al mondo esterno non era sempre e necessariamente un male. Forse sono diventato come uno di quegli adolescenti che tutti vogliono salvare dall’assenza di socialità, vallo a sapere, forse lo sono sempre stato, asociale sin da piccolo. Un po’ come successe ai tempi dell’arrivo dell’ebook, e so di aver tirato in ballo qualcosa non esattamente di grande successo, avrei potuto scegliere peggio solo se avessi citato il BlueRay, sto cominciando a guardare ai concerti in streaming, magari sarebbe il caso di trovare loro un nome diverso, perché come l’ebook non è solo un libro o addirittura un libro un concerto in streaming non è un concerto, sto cominciando a guardare ai concerti in streaming come a una opportunità che andrebbe sfruttata da un punto di vista artistico, lavorando appunto sulle differenze dello stare in uno studio con telecamere e regia invece che su un palco, e lavorando anche sulla possibilità di usare visual che non siano trasmessi alle spalle degli artisti sul palco, ma appunto direttamente in faccia a chi ascolta e guarda da casa, sapessi come a quest’ora starei investendo in questo settore, invece che a scrivere di diti incastrati nelle porte, DAD e ipotizzare che ne sarà della filiera dei concerti. Certo, al momento mi spiace per chi lavora nel settore, molto, alcuni sono anche miei amici, e per chi ha comprato biglietti che non sono stati resi a livello di soldi, ma semplicemente e barbaramente trasformati in voucher, ma credo che un ragionamento di questo tipo sia sensato tanto quanto, una volta che tutto questo sarà finito, o mentre tutto questo non è ancora finito e ci sta tenendo ancora in ostaggio, quello sul futuro della scuola, le classi pollaio, i mezzi di trasporto insufficienti, la DAD che è una pezza, a volte peggio del buco, invece che una risorsa.