Ascoltate Be My Baby delle Ronettes, scoprirete l’orgasmo con le orecchie nei primi 9 secondi

Poi vi parlo anche del ministro Franceschini,di Verybello, di ItsArt, Ryan Adams, Phil Spector e della moralità e del genio che non vanno necessariamente d'accordo


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La Netlfix della cultura.

Oggi volevo iniziare il mio diario del lock down, arrivato ormai all’ottantunesimo capitolo, per quel che concerne il secondo lock down, perché se ci mettiamo anche il diario che ho tenuto da febbraio a giugno siamo a centoottantacinque capitoli, un numero di parole che rasenta la follia, oggi volevo iniziare il mio diario del lock down con qualcosa di decisamente buffo, che mettesse il buonumore, volevo un po’ di allegria fine a se stessa.

Ecco perché sono partito da lì, dalla Netflix della cultura ideata dal nostro Ministro delle Attività Culturali e il Turismo, con delega all’Università, Dario Franceschini, uno che, nel bel mezzo di una pandemia che ha praticamente azzerato qualsiasi attività del mondo dello spettacolo, musei, cinema, teatri, arene, tutto chiuso, una pandemia che ha portato alla fama un intero comparto economico, così, trattato con la bonaria spocchia da Conte e il suo governo, ricorderete tutti la famosa uscita sugli “amici artisti che ci fanno divertire e emozionare”, ma soprattutto avrete saputo, parlo a voi che di questo mondo non fate parte, che i famosi aiuti poi sono arrivati solo a una piccola porzione di chi di quel mondo fa parte, aiuti elargiti poi con la faccia di chi dentro di sé pensa, “certo, di lavorare non se ne parla proprio, eh?”, una pandemia che, se possibile, ha reso agonizzante un mondo che già prima non è che vivesse proprio in ottima salute, lo streaming che ha ucciso la discografia, i cinema sempre meno frequentati, i musei che devono ricorrere agli influencer neanche per tornare a essere frequentati, ma per tornare a far parlare di sé, Dario Franceschini, uno che nel bel mezzo di una pandemia che da un anno a questa parte ci tiene suoi prigionieri, in ostaggio nelle nostre case, anche se affacciandomi alla finestra tutto mi sembra fuorché la gente se ne stia dentro le proprie case, anche in zona rossa come siamo qui a Milano, Dario Franceschini, uno che nel bel mezzo di una pandemia come il Covid19 se ne esce con questa immane idiozia della Netflix della cultura, e non pago di averla partorita la accompagna anche con un nome e un logo, ItsArt e quell’obbrobrio con i colori della bandiera italiana e di un sole al tramonto che però potrebbe anche essere quello di un sugo al pomodoro annacquato, una roba che se la avesse fatta un privato o la avesse presentata un pubblicitario a un imprenditore privato, ci metto entrambe le mani sul fuoco, si sarebbe ritrovato nel giro di pochi secondi defenestrato, non prima di essere stato coperto di pece e piume e lasciato poi al pubblico ludibrio, non certo senza ragione.

Del resto, Dario Franceschini, sempre lui, è anche quello di VeryBello, e a questo punto dovremmo iniziare a prendere in considerazione l’idea che si stia bellamente prendendo gioco di noi, un Gabriele D’Annunzio che vola sulle nostre teste lanciando volantini strafottenti, perché la stessa persona non può pensare e promuovere due progetti come VeryBello e ItsArt senza che dietro ci sia un progetto comune, la Grande Truffa della Cultura, questa è la citazione della quasi omonima opera di Julian Temple e Malcolm McLaren, film che narrava l’epopea della band punk chiamata Sex Pistols, lo dico a beneficio del Ministro Dario Franceschini stesso, prima che dia mandato ai suoi legali per querelarmi per avergli dato del truffatore, lì, nel film, si narrava degli intenti situazionisti dello stesso McLaren nell’ordire il punk come fenomeno culturale e imprenditoriale, qui si tratta di una gigantesca beffa ordita ai nostri danni, anche qui, la parola danno è usata con sagace intento sarcastico, credo che qualsiasi giudice, per altro, di fronte all’esibizione dei nomi VeryBello e ItsArt scoppierebbe in una sonora risata, di quelle sguaiate, che ci fanno piangere, venire la tosse, e farsi venire la tosse oggi come oggi è anche un rischio sociale, sbuffare come a dire: “Ma che, davvero?”. Che poi verrebbe da chiedersi, se ItsArt farà per la cultura quello che VeryBello ha fatto per il turismo, e voglio ben dire che qualsiasi cosa che porti il nome VeryBello non avesse nessuna possibilità di essere altro che un clamoroso flop, se ItsArt farà per la cultura quello che VeryBello ha fatto per il turismo, credo sia davvero il caso che tutti noi che operiamo in questo settore diamo seguito ai tanti dubbi che, nel corso della nostra vita, ci sono piovuti addosso, dubbi forse anche legittimi, andando finalmente a cercarci un lavoro vero, normale, di quelli che se lo indichi a chi ti ha chiesto, domanda un filo indiscreta, “che lavoro fai?”, non ti costringe poi a dare tutta una serie di spiegazioni, fai un lavoro che tutti possono decifrare, il medico, il commesso, l’idraulico, la prostituta.

Io, a tal proposito, vivo da sempre in quella zona ambigua per cui fatico già a monte a spiegare cosa faccio, per dire nella Carta di Identità c’è scritto che sono un giornalista, e proprio pochi giorni fa vi spiegavo come io non lo sia e perché io non lo sia. Ho scelto di farci scrivere questo per comodità, perché se avessi dichiarato di essere uno scrittore, questo è il mio “core business”, avrei dato davvero il via a troppe domande cui non ho intenzione di rispondere più, sì, sono uno scrittore, ho pubblicato ottanta libri e nelle prossime settimane ne usciranno altri due, cosa devo fare per essere considerato uno scrittore anche da chi un libro magari non lo legge più da che ha smesso le scuole dell’obbligo, tatuarmene uno su tutto il corpo, tipo il Guy Pearce di Memento o il Bob De Niro di Cape Fear? Vagli poi a spiegare, a chiunque ti si pari davanti chiedendoti che lavoro fai, che scrivi anche per teatro, cinema, radio o tv, che in radio e tv ci fai pure dei programmi comparendo, presentando, mettendoci la faccia, che fai workshop, conferenze, webinar, ora fai i webinar che le conferenze in presenza sono impossibili da organizzare, che fai consulenze per aziende, che lavori con il sistema musica, sei anche un critico musicale, anzi, spesso dici di essere un critico musicale invece che uno scrittore, seppur tu ti ritenga più uno scrittore che un critico musicale, o quantomeno uno scrittore e critico musicale, ma dici di essere un critico musicale perché speri che il tuo interlocutore, quello che ti chiede, appunto, che lavoro fai, come se anche tu poi andassi in giro a chiedere agli altri che lavoro fanno, ecco, speri che il tuo dire che fai, anzi, che sei un critico musicale gli metta addosso quel minimo di senso di spaesamento, che lo confonda, lo metta anche in difficoltà, lui non sa cosa sia esattamente un critico musicale, ne ha vaga percezione, ma non pensava fosse magari un lavoro, e pensa che tu lavori con la musica classica, la sola anche oggi da considerare con serietà anche da parte di chi di musica classica altro non conosce che l’attacco della Nona di Beethoven, ma se gli chiedessi di scrivere Beethoven dovrebbe ricorrere a Google per farlo nella maniera giusta, dove diavolo si mette quell’acca?

Manco fosse Mahmood, e se gli chiedi cosa si intende per Nona, lui che probabilmente neanche sa che quello che ti ha buffamente appena fatto a voce, tatatatàn tatatatàn è in realtà l’attacco della Sinfonia n° 9 in Re minore per soli, coro e orchestra, detta la Nona, non saprebbe cosa dire, perché per fare il critico musicale conoscere anche la musica classica, se fai il critico musicale in ambito leggero, magari non è necessario, ma certo aiuta, e tu hai detto di essere un critico musicale, solo un critico musicale per essere lasciato in pace, ché non sapendo esattamente di cosa si tratta magari lui, il tuo interlocutore indiscreto si blocca, si ritira, entra in soggezione, mentre se tu gli avessi detto che sei uno scrittore, c’è da scommetterci su qualche soldo sapendo che sono soldi sicuri, che la scommessa la vinci di sicuro, lui ti direbbe che anche lui scrive, che ha scritto un romanzo, dei racconti, la sua biografia, e poco conto che lui, nella vita, faccia altro, e che l’altro che fa interessa poco pure a chi gli sta intorno, figuriamoci a un ipotetico lettore comune, lui lo ha scritto e basta, quindi è uno scrittore, come è cantante chiunque nella vita abbia cantato almeno una volta, anche sotto la doccia, e io questa cosa di cantare sotto la doccia non l’ho mai capita, che io sotto la doccia mi lavo, non canto, e dire che ho capelli lunghi, quindi lascio la testa fuori dal getto d’acqua, a meno che non sia estate o a meno che io non voglia lavarmi i capelli, e quindi potrei anche cantare, mentre uno che porta i capelli corti, per non dire dei pelati, e che quindi quando si fa la doccia tiene anche la testa sotto il getto d’acqua, mi chiedo, a volte, raramente, ché ho domande più urgenti da pormi, o quantomeno più interessanti, come diavolo faccia a cantare senza bere, e comunque lui, il tuo interlocutore indiscreto, quello che ti ammorba con le domande riguardo al tuo lavoro è uno scrittore, lui sì, anche se non ha mai pubblicato un libro, questo te lo dice nel momento in cui tu, un po’ incuriosito di sincera curiosità, un po’ incarognito e quindi nella precisa volontà di farti dire che lui, il tuo interlocutore indiscreto, i libri li scrive ma poi nessuno glieli pubblica, a volte magari se li pubblica da solo, ricorrendo a quegli editori a pagamento che ti stampano i libri e ti costringono a comprarteli, per venderli poi porta a porta a amici, parenti e conoscenti, o magari, non diamo per scontato che il tuo interlocutore indiscreto sia anche spilorcio, per regalarli ai tuoi amici, parenti e conoscenti, equiparandosi, l’editore a pagamento, a un semplice tipografo, ora ci sono anche tante possibilità online per farlo, se in rete puoi comprati i libri vuoi che non sia possibile anche stamparli?, e comunque tu preferisci sempre dire che sei un critico musicale proprio per non finire in quel cul de sac lì, nel sentirti dire da uno che nella vita fa altro che lui è come te, non perché tu ti senta poi diverso da lui, intendendo con diverso migliore, superiore a lui, ma per il semplice fatto che tu hai scelto di fare lo scrittore, partendo dal presupposto che per scegliere di farlo devi prima esserlo, sono uno scrittore e quindi faccio lo scrittore, il talento è il punto di partenza, la consapevolezza di averlo il secondo passaggio, il mestiere che rende quel talento proficuo il terzo, ecco, tu che hai seguito tutta questa trafila lo hai fatto, hai reso il tuo talento di scrittore un lavoro, lo hai fatto tanti anni fa, quando internet sembrava più una cosa fantascientifica che una parte fondamentale della tua esistenza, specie della tua esistenza in clausura, unico contatto col mondo esterno, anche unico contatto professionale, io come critico musicale opero praticamente solo in rete, ben lo sapete, tu hai scelto di fare lo scrittore, quindi di trasformare il tuo talento in lavoro anche per non dover avere gente con cui relazionarti, ché mica lo sapevi che poi sarebbero arrivati i social e i lettori ti avrebbero contattato per dirti cosa pensano del tuo lavoro, e anche del tuo mestiere, per segnalarti i tuoi refusi, uno per uno, per dirti che loro avrebbero fatto diversamente da te, non conta che te lo dicano perché hanno competenze per farlo, possono farlo e lo fanno, poi, è chiaro, ci sono anche quelli che ti adorano, letteralmente, quasi a livello di fanatismo, che se scoppia una polemica ti difendono a suon di “tu non lo conosci”, anche se loro non ti conoscono, ci sono i lettori fedeli, quelli appassionati, quelli che ti leggono e ti capiscono e te lo dicono, e sicuramente fa piacere, anche se tu che in fondo sei e sei sempre stato un asociale preferisci trincerarti dietro un lavoro difficile da decifrare, sono un critico musicale, pur di non sentirti poi porre la fatidica frase: ti andrebbe di leggere il mio libro?

Ora, a prescindere dal fatto che il particolare che io abbia scritto circa millequattrocento parole dentro una unica frase, e che sia passato agilmente dalla prima alla seconda persona, sempre giocando sull’ambiguità che a parlare ero io ma mettevo i miei pensieri in bocca a voi che leggete, sono uno scrittore e sono uno scrittore che gli editori pubblicano, non avrei bisogno di dimostrarlo facendo il gigione, ma mi piace farlo, la faccenda del sentirsi chiedere se mi va di leggere il libro, chiamiamolo così, di chiunque abbia scritto un libro senza che nessuno glielo abbia ancora pubblicato, quindi tecnicamente non un libro ma un testo, chiamiamo le cose col loro nome, e aver scritto “cose” all’interno di una frase in cui evoco che si utilizzino i giusti vocaboli quando già alle elementari ci viene spiegato che non si dovrebbe mai usare la parola cosa per indicare cose che abbiano un nome proprio è un vezzo, un gioco, un tic mostrato in pubblico per far vedere che so farlo e posso farlo e quindi lo faccio,  la faccenda del sentirsi chiedere se mi va di leggere il libro, chiamiamolo così, di chiunque abbia scritto un libro senza che nessuno glielo abbia ancora pubblicato, dicevo, e quell’ancora va letto come atto supremo di benevolenza nei confronti dell’umanità tutta, specie di quella grandissima porzione di umanità che ha il fatidico libro nel cassetto, perché se vi siete pubblicati un libro da soli le possibilità che vi noti poi un editore e vi ripubblichi coi crismi canonici dell’editoria, della serie ti faccio un contratto, ti faccio l’editing, la correzione di bozze, faccio il giro venditori, esci, ti promuovo, se non vendi vai al macero e non se ne parla più, la possibilità che un editore vi ripubblichi il libro che vi siete pubblicati da soli, ricorrendo a un editore a pagamento, che non è quindi un editore, o a una tipografia sono pari a zero, i singoli casi virtuosi non vanno presi a esempio, sarebbe come pensare che siccome John Holmes aveva trenta centimetri di pisello anche tu, giovane ragazzino che di colpo senti degli strani movimenti nelle mutande, tu giovane ragazzino che di notte ti bagni, pensando inizialmente di esserti pisciato addosso, anche se nel caso sarebbe una pipì appiccicosa e biancastra, con un odore strano, poi da qualche parte scoprirai che si tratta di polluzioni notturne, ecco è come se anche tu, ragazzino timido e impacciato, pensassi che il tuo piccolo pisellino, quello per via del quale tendi a non farti vedere nudo da nessuno, anche quando devi fare la doccia negli spogliatoi, dopo gli allentamenti, non fatemi citare Gino con Le Mutande, non è di lui che voglio parlarvi oggi, si parla di cultura, non di ignoranza estrema, è come se tu ragazzino timido pensassi che quel tuo pisellino, quello che ha fatto sì che ora tutti ti chiamino “il cinese”, a causa di questa leggenda mai confermata dalla scienza che vuole che i cinesi abbiano il pisello piccolo, ecco, è come se anche tu pensassi che di colpo, un giorno, anche tu potrai sfoderare trenta centimetri di nerchia, se ce l’aveva John Holmes perché non tu?, ecco, la faccenda del sentirsi chiedere se mi va di leggere il libro, chiamiamolo così, di chiunque abbia scritto un libro senza che nessuno glielo abbia ancora pubblicato è qualcosa che prima o poi qualcuno competente dovrebbe affrontare, con una tesi di laurea in antropologia, con un trattato di sociologia, forse anche con uno studio di psichiatria, perché questa immarcescibile volontà di mettersi in ridicolo andando a chiedere a qualcuno che evidentemente conosce la materia che voi avete trattato nei ritagli di tempo, un suo giudizio, è qualcosa che davvero non si spiega, andreste mai a chiedere a Valentina Nappi se le va di accoppiarsi con voi e poi di dirvi se siete stati o meno bravi, almeno al livello dei suoi colleghi del porno? No, ecco, magari questo non è l’esempio giusto, fate finta che io non lo abbia scritto.

I libri di quelli che, appena sanno che siete scrittori, vi chiedono se vi va di leggerli, dicevo, nonostante non siano proprio libri, quanto piuttosto testi che nessuno ha voluto pubblicare, stessa differenza che passa tra potenza e atto. Dello stesso parere, evidentemente, ma chi l’avrebbe mai detto, non deve essere il Ministro alle Attività Culturali e al Turismo, con delega all’Università, Dario Franceschini, uno che libri ne ha anche pubblicati, seppur lasciando sospeso il dubbio che in fin dei conti chi mai direbbe di no a pubblicare un libro a un Ministro?, pubblicano influencer e cuochi, comici e calciatori, perché non pubblicare anche un libro a Franceschini, no? È stato sempre lui, ribadisco, quello di VeryBello e di ItsArt a dichiarare, tempo fa, la sua precisa volontà di istituire la Biblioteca Nazionale dell’Inedito, questo quando, nel 2015, vestiva i panni di Ministro dei Beni Culturali. Avete letto bene, oh amici che ancora sghignazzate al pensiero della Netflix della Cultura, Franceschini è arrivato a sparare questa idiozia forte dell’aver nel tempo piazzato le altrettanto roboanti idiozie che rispondo al nome di VeryBello e della Biblioteca Nazionale dell’Inedito.

Ora, fermi tutti. So di essere stato particolarmente sgradevole nel parlare di chi scrive per passione e, scrivendo per passione, a un certo punto decide di finanziarsi la pubblicazione, diciamo la stampa, di un proprio scritto. Lo dico per onestà intellettuale e anche perché, numeri alla mano, so bene che sicuramente una bella porzione di quanti mi leggono rientreranno a pieno titolo nella categoria. Non volevo essere altezzoso, star qui forte del mio essere John Holmes, ottanta libri pubblicati, di fronte a voi, da qui in poi “i cinesi”, a proposito, vi saluta Valentina. Ma a parte la follia di pensare a una biblioteca che raccolga davvero tutti i libri rimasti nel cassetto, l’idea di Franceschini era quella di andare così a costituire una sorta di memoria collettiva degli italiani, solo pensare a come organizzare una biblioteca del genere, come renderla consultabile dall’esterno è roba che manderebbe fuori di testa anche un esperto di enigmistica, restano un paio di piccoli dettagli, primo, pensare, come Franceschini ha dichiarato, che scrivere sia “una terapia straordinaria, è un atto di grande creatività e libertà che tutti dovrebbero fare, al di là del talento o dell’essere o meno portati”, mi appare come qualcosa di un filo abnorme, confondere ciò che si appunta sul proprio diario con un libro da tenere in una biblioteca è come definire quadro da mettere in un museo i disegnini che facevamo sui margini dei quaderni mentre la professoressa di greco ci rompeva le scatole con le sue parafrasi per non dover ammettere lì, nel liceo cattolico cui eravamo iscritti che le poesie di Saffo erano in effetti dedicate a un’altra donna, la parola lesbica mai uscita dalla sua bocca, secondo, che un Ministro dei Beni Culturali, oggi Ministro delle Attività Culturali e Turismo, con delega all’Università, ritenga che il talento artistico sia prescindibile, al punto da incentivare a confrontarsi con una forma d’arte che poi deve fare i conti anche con l’editoria, mi sembra anche avvilente, come dire che il karaoke che si faceva in certi pub quando ancora i pub si potevano frequentare e si poteva star lì a sputacchiare impunemente dentro il microfono che un minuto prima era stato oggetto di sputacchi di un qualche sconosciuto e che dopo altri tre minuti sarebbe diventato oggetto di sputacchi di un altro sconosciuto ancora sia musica degna di finire in una qualche raccolta, scemi voi che andate al Conservatorio o che passate i migliori anni della vostra vita in sala prove invece che stare in giro a fare una beata fava. Questo per non dire del dettaglio che vuole solo quattro italiani su dieci a leggere almeno un libro all’anno, uno eh, non dieci, cento o più, ma avanti con gli inediti, non servirà mica leggere per poter scrivere libri degni di finire nella Biblioteca dell’Inedito di Franceschini?

Sono andato avanti forse per troppo tempo. No, non sto parlando genericamente della vita, col tipico fare di chi, superati i cinquanta, si guarda indietro, stila un veloce resoconto e si lascia andare ai rimpianti e ai rimorsi, intendevo oggi sono forse andato avanti per troppo tempo, senza ancora aver affrontato un argomento strettamente musicale, e affrontare un argomento strettamente musicale è il solo micropaletto che mi sono posto iniziando a scrivere questo diario, ormai quasi un anno fa, e Dio non voglia, non sarà certo la Netflix della Cultura, al secolo ItsArt a darmi modo di flaggare la casella argomento strettamente musicale, non potrei perdonarmelo. Allora, non avendo modo di farvi divertire più di così, per quanto io sia uno scrittore che ricorre spesso all’ironia, David Foster Wallace ha provato a farmi ravvedere, ma poi si è ammazzato, vanificando tutto, e abbia anche una certa familiarità con le battute una cosa come la Netflix della Cultura non potrà mai venirmi altrettanto bene, qui siamo di fronte al genio, archiviata qualche giorno fa la spinosa faccenda della distinzione tra arte e artista, con la faccenda della moralità a farla da padrona, Ryan Adams a fornirmi lo spunto, posso serenamente passare a Phil Spector, scomparso una settimana fa, e del quale sono riuscito a non scrivere neanche una riga fino a oggi, proprio per evitare di dover dire che a volte i geni sono tali nell’arte a discapito del loro essere uomini disprezzabili, forse anche per quel loro essere uomini da disprezzare, vallo a sapere, del resto ci sono uomini anche rispettabili come Franceschini che per contro hanno inanellato VeryBello, la Biblioteca Nazionale dell’Inedito e ItsArt, evidentemente genio e moralità non sono destinati a andare troppo d’accordo, Phil Spector, uno dei più grandi produttori musicali di tutti i tempi, il suo Wall of Sound è stato fondamentale per buona parte del pop a lui contemporaneo, parlo di John Lennon e Brian Wilson, Roy Orbison e Ike & Tina Turner, per non dire dei tanti gruppi musicali, le Ronnetes in testa, grande artista e uomo spregevole, assassino di Lana Clarckson, violento nella vita privata, misogeno e chi più ne ha più ne metta, chiudo dicendo che in impossibilità di farvi ridere posso però farvi godere, e quando dico godere intendo godere davvero, qualcosa di paragonabile a un orgasmo, la sola differenza è che passa dagli orecchi invece che da altre parti, e magari ci sarà una Linda Lovelace 2.0 che dalle orecchie fa passare gli orgasmi, confesso di non essere preparato a riguardo. Chiudo, quindi, invitandovi a ascoltare Be My Baby delle Ronettes, concentrandovi però nei primo otto secondi, forse addirittura nei primi quattro, con quell’attacco di batteria di Hal Blaine che, sfido chiunque a dimostrarmi il contrario, sono una prova provata dell’esistenza di Dio. Ascoltateli, quei pochi secondi, poi riascoltateli, e riascoltateli ancora. Biasimando Phil Spector per l’uomo orribile che è stato, e gioendo perché anche da un uomo così orribile sia stato possibile un miracolo come questi pochi secondi di attacco perfetto di una canzone che poi, converrete, anche nel suo seguito proprio male male non è.