La reunion dei De Sfroos e l’album Manicomi

Mi sono collegato con Davide Van De Sfroos e Alessandro Frode durante la diretta di We Have a Dream


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Dopo 25 anni Van De Sfroos si è riunito al gruppo con cui aveva iniziato, i DE SFROOS.

Per l’occasione hanno ripubblicato, anche in vinile, lo storico album “Manicomi” che aveva decretato loro il primo successo. I brani affrontavano tematiche perfettamente adattabili ai tempi attuali, come il disagio psichico, la rivalsa dei diversi o la vendetta degli screditati.

Durante la mia diretta WE HAVE A DREAM del martedì sera, mi sono collegato con Davide Van De Sfroos e Alessandro Frode.

Nel video c’è sia l’intervista che una esibizione live in occasione della presentazione del disco.

Ecco il racconto che hanno scritto per raccontare questa reunion e l’album “Manicomi”

DE SFROOS

“Manicomi”

Le canzoni che compongono l’album “Manicomi” dei DE SFROOS, sono nate più di venticinque anni fa in modo abbastanza istintivo e libero, giocando con immagini legate a un territorio che offriva spunti di vario tipo e ad altre che invece possono essere considerate riflessioni naturali su tematiche che non hanno ancora avuto scadenza come ad esempio il passare del tempo, la guerra, il disagio psichico ecc…

I brani venivano composti nei luoghi più disparati, e forse era anche questa una caratteristica molto folk che conferiva ai testi una sensazione di freschezza e di divertimento nel concepimento stesso. Benché le due storiche sale prove si trovavano a Porlezza, la prima a casa di Alessandro e la seconda nel garage di Umberto Savolini, giornalista del Corriere del Ticino, eravamo abituati a cantare e costruire brani anche nei nostri appartamenti, prima o dopo cene abituali o semplici incontri, qualche volta sotto un albero nelle serate estive con un pubblico di anziani che sorrideva per via dell’uso del dialetto e che spesso interveniva creando spunti o correggendo parole.

Non mancarono nemmeno occasioni nelle quali alcuni pezzi nascevano direttamente sul palco durante le prove o addirittura in concerto.

Lo sguardo sui personaggi delle zone nelle quali vivevamo, stimolò la fantasia e ci fece creare figure in parte realistiche e in parte cinematografiche, ma con una regia sempre attenta a lasciare intatto lo stile che ci contraddistingueva, usando quel dialetto che per noi era stata una scelta naturale e quasi fisiologica, nel raccontare i luoghi che trattenevano quel suono da secoli. Era stata sicuramente una sfida entusiastica e coraggiosa che in molti vedevano come una limitazione o una stramberia, ma per noi era qualcosa di grande stimolo antropologico ed emotivo, in anticipo sui tempi nei quali si sarebbe parlato più DEL dialetto che IN dialetto.

Ecco così nel disco una discreta sfilata di figure che diventarono molto amate: ANNA che prese il fucile per denunciare con rabbia le violenze subite da chi in realtà avrebbe dovuto amarla….oppure LO SCONCIO…personaggio indifendibile per la sua vita grottesca e smodata, l’ultimo che vorresti incontrare….ma il primo e unico che interverrà per salvare una ragazza da alcuni malintenzionati…e poi ovviamente la ZIA LUISA che fregandosene della sua taglia extra large, si presenta in discoteca con gli anfibi e un appetito smisurato, creando un inno di liberazione per tutti coloro che magari non hanno delle caratteristiche fisiche allineate al trend prestabilito da qualcuno. Che dire poi di NONU ASPIS, che tanto appassionò Marco da fargli scegliere quel nome come nickname oltre a quello che già possedeva…ovvero Marcu De La Guasta. La canzone parla di un losco individuo, un eremita che per il suo aspetto e per il suo modo di vivere, non viene nemmeno avvicinato dalle persone, che ovviamente gli attribuiscono caratteristiche malvagie o pericolose, tanto da chiamarlo con il nome di un rettile velenoso, ma anche in questo caso sarà proprio lui a ritrovare e assistere un ragazzino disperso sulle montagne.

Si assiste come possiamo notare, alla rivalsa dei diversi e alla vendetta degli screditati che nascondono nel profondo una purezza istintiva, perduta dalla maggior parte dei loro detrattori o forse mai neppure avuta.

Ma i DE SFROOS facevano le prove e si incontravano, vivendo la loro storia, sul confine con la Svizzera e volevano in qualche modo celebrare quei periodi legati anche all’epopea dei contrabbandieri, tra storia molto reale e concreta ed esagerazioni mitologiche. Nacque quindi DE SFROOS che divenne un proprio inno di appartenenza a determinati luoghi e un rifiuto di perdere o dimenticare a tutti i costi alcune latitudini importanti della nostra storia. La canzone non conteneva una presa di posizione a favore di qualcuno o a sfavore di qualcun altro, nel far west locale di quei tempi, ma analizzava semmai gli stati d’animo di coloro che affrontavano il viaggio clandestino, mescolando atteggiamento guascone e un timore malcelato che si intrecciava ovviamente anche al grande sforzo su sentieri impossibili con un peso in spalla spaventoso. Era la storia del contrabbando e noi la cantavamo. Così come cantavamo anche l’idea di una FRONTIERA che spesso era dentro di noi e che si faceva fatica a comprendere e riconoscere, con il passare del tempo e delle situazioni geografiche, sociali e politiche.

Da un giro di mandolino di Lorenzo prese forma una canzone che rifletteva sul passare del tempo inesorabile, ma che divenne poi una delicata ballata sull’amore che tiene un basso profilo ma non mescolandosi alle cartoline di San Valentino, non cambia con il passare delle stagioni della vita. La struttura ritmica intessuta da Didi e Ale a sostegno del riff di mandolino, crearono un’alchimia che ancora oggi ci commuove e non solo perché siamo invecchiati. La canzone si intitola EL TEEMP e nel tempo resiste.

Non mancavano le baldanzose escursioni nel folk da combattimento o da osteria, l’odissea alcolica del protagonista di KAMELL ne è una testimonianza, la provocatoria DIAVUL invece a velocità sostenuta diventa abrasiva ancora una volta nei confronti di un mondo che spesso non riconosce veramente il cosiddetto diavolo, perché si lascia tradire dai particolari.

Ma se c’è un DIAVUL c’è anche una strana AVE MARIA di paese che si arrampica su ritmiche vagamente esotiche sfociando addirittura in un reggae in salsa nostrana, facendo da bilancia antropologica tra le leggende oscure del battello del diavolo e lo sguardo religioso o devozionale, con lo sguardo rivolto alla Madonna, sempre molto presente anche nella cultura popolare.

Le mie riflessioni sul problema del disagio psichico, nascevano da una vera e propria fissazione riguardo allo stato di chi si trovava in quel luogo lontano chiamato per comodità pazzia, ma che poi imparai a chiamare in tanti altri modi, avendo dovuto conoscerlo da vicino. Ascoltando oggi MANICOMI, il brano che dà il titolo al disco, mi rendo conto di avere trascritto esattamente quello che mi aveva colpito nelle mie visite abusive nel periodo crepuscolare del manicomio di San Martino a Como, prima della distribuzione dei vari ospiti nei C.R.T. del territorio.

POOR’ITALIA è l’amara considerazione su di un popolo che commisera la propria nazione, trasformandosi in una folla dove tutti diventano sceriffi, giudici, boia e opinionisti sterili…pronti a crocefiggere chi sbaglia, ma senza mai considerare la propria vita mediocre, scaltra e ipocrita…dire Povera Italia è facilissimo, ammettere che anche tu l’hai resa tale è molto più difficile.

Mi sembra ancora di vedere e sentire Marco, con una foga e un’irruenza impressionanti, aggredire il microfono nel lancio di SPARA GIUVANN…una canzone che parla di ragazzini soldato. Il ritmo ska combattivo e veloce all’inizio sembra quasi che ti sproni al combattimento, ma alla fine ti mette di fronte alla pazzia di tutto ciò che nel calderone della guerra si agita.

E se poi la FURMIGA venne scritta due ore prima di uno dei nostri primissimi concerti, sul mio balcone…mi colpisce sempre molto ricordare che LA CURIERA, che fu poi il tormentone assoluto, venne scritta due giorni prima di andare a Milano per la grande avventura della registrazione del disco.

Questo lavoro non è soltanto un album sul quale ognuno di noi ha messo qualcosa per come si sentiva in quel tempo, ma è anche una foto d’epoca su come tante cose pulsassero e si muovessero durante quel periodo.

Lo abbiamo tolto dall’armadio e lo abbiamo lucidato, rimasterizzato e ci siamo resi conto che non era soltanto nostro, ma anche di tante altre persone che hanno contribuito a rendere quei magici e insoliti giorni ciò che sono stati. E quindi rieccolo.

MANICOMI è tornato, perché i DE SFROOS sono tornati.

“Manicomi” contiene 15 brani rimasterizzati, presso gli studi della RSI Radiotelevisione svizzera, che ci faranno rivivere dopo 25 anni le storie dei celebri personaggi come Anna, Lo Sconcio, Zia Luisa, Nonu Aspis e tanti altri…

Immagini e storie di figure, in parte realistiche e in parte cinematografiche, che offrono ancora oggi importanti spunti di riflessione su delicate tematiche, quali ad esempio il trascorrere del tempo, la guerra, il disagio psichico, la rivalsa dei diversi, la vendetta degli screditati.

Nelle canzoni che compongono il disco emerge quello che era lo stile tipico dei De Sfroos, che si contraddistinguevano anche per l’uso naturale del dialetto come grande stimolo antropologico ed emotivo, per molti considerato invece come una sfida coraggiosa o una limitazione. L’obiettivo era far parlare più DEL DIALETTO che IN DIALETTO.

Il disco è dedicato a Marcu De La Guasta (Marco Pollini), uno degli storici componenti della band venuto a mancare nel 2017.

Oggi i De Sfroos sono: Davide Van De Sfroos (Davide Bernasconi), Alessandro Frode (Alessandro Giana), Didi Murahia (Arturo Bellotti) e Lorenzo Mc. Inagranda (Lorenzo Livraghi).

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