Argento, Lamine, Anna e l’Appartamento e Iosonoaria. Non è un rebus, ma una ipotesi di futuro

Anche in questo capitolo vi parlo del meraviglioso mondo del cantautorato al femminile


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Essere appassionati di musica non è un mestiere.

Lo sono in tanti, magari non di tutta la musica, spesso le passioni sono peculiari, parcellizzanti, e lo sono in tanti che nella vita fanno altro, la musica non è il loro lavoro, è appunto la loro passione. Sarà capitato a tutti, prima o poi, di incappare, che so?, nel dentista appassionato di rockabilly, lo avete capito dalle basette a punta e dal ciuffo impomatato mentre lì, la bocca spalancata, sta sostituendo quella otturazione che vi è saltata mangiando del croccante, è bastato chiederglielo che non la finiva più di parlare di quando ha visto Chuck Berry al Summer Jamboree di Senigallia, e voi che avreste fatto di tutto perché quel supplizio, non il suo parlare quanto piuttosto il suo maneggiare dentro la vostra bocca, l’assistente che aspirava la vostra saliva con quella cannuccia malefica.

A me, per dire, è successo con il tecnico di Sky, subito prima che scattasse il primo lock down, quello di marzo, le mascherine ancora neanche ipotizzabili, al limite a citare quel nome sarebbero venute in mente quelle del carnevale in corso, un appassionato di rock, il tecnico in questione, mannaggia a me e a quando gli ho detto che avevo in dotazione temporanea la Noah Parafine che aveva usato Lou Reed nella parte finale della sua carriera. Si era incuriosito nel vedere nella mia libreria il libro dei suoi testi, Ho camminato nel fuoco, libro che anche lui possedeva e che io avevo all’epoca tradotto per la Mondadori, da lì a vantarmi dell’avere di là la mitica chitarra in alluminio ideata dall’architetto Ruatti era stato un attimo. Un’ora e passa, invece, il tempo che ho passato poi per togliermelo dalle scatole, avessi saputo che sarebbe stato una delle ultime persone non di famiglia a varcare la porta di casa mia gli avrei fatto vedere anche gli altri strumenti in casa, ho sette chitarre, un basso a cinque corde, un piano elettrico, toh, anche un ukulele, ma al momento liberarmi di lui era diventata una questione di vita o di morte.

È che la passione per la musica è, al pari delle altre passioni, totalizzante, incappi in quella particolare forma artistica che ti ammalia e non ci capisci più niente, diventi ossessivo, fanatico, infantile, infatuato.

Lo so bene io, ripeto, la musica è parte del mio lavoro, visto che di lavoro scrivo e sono un critico musicale, lo so bene io che spesso incappo negli appassionati di musica, gente che non ci pensa due volte a correggerti, nel momento in cui ravvisa un tuo errore, e fin qui ci sta, come a aggredirti, laddove venga a pensare che stai mancando di rispetto all’artista che amano, artista che, in virtù della loro passione, ai loro occhi è al pari di una divinità, non a caso ne possiedono reliquie, icone, immagini sacre, conoscono aneddoti che racchiudono vita e miracoli, ne recitano a memoria ai testi, come si fa generalmente con le preghiere.

Essere appassionati di musica non è un mestiere, ma quasi sempre per chi come me di mestiere scrive di musica la musica è una passione. Una coincidenza che spesso è la miccia che accende l’innesco, quella che da giovani ci ha spinto a studiare, che da grandi ci ha spinto a approfondire e accumulare materiali, e che da adulti quasi in età da pensione, lasciatemi esagerare, continua a farci andare avanti nonostante il settore sia in caduta libera, la concorrenza tanta e soprattutto la pecunia in circolo sempre meno, una coincidenza che però, se non si sta attenti, rischia di essere il nostro tallone di Achille.

Essere critici musicali, infatti, prevede una terzietà rispetto a quello di cui scriviamo, almeno se si aderisce alla corrente di pensiero che ha in Theodor Adorno il capostipite, che potrebbe cozzare con l’essere appassionati dell’artista o del genere musicale di cui si intende discettare.

Potremmo, in sostanza, perdere di lucidità, abbandonare quindi la china dell’oggettività e finire per parlare esattamente come un qualsiasi fan, certo, magari un fan che ha un vocabolario un po’ meno elementare e con uno stile più evoluto, ma poco cambia. La bellezza in musica è oggettiva, lo ripeterò allo sfinimento, guardare a essa partendo dal proprio gusto personale, che non è lo stesso che guardarvi tenendo conto del gusto oggettivo, è un errore nel quale quasi sempre incappano appunto i fan inferociti che si trasformano in haters, un critico musicale non si può permettere un simile scivolone. Chiaro, spesso quei fan, quegli haters, nella vita di tutti i giorni, lontano dai social, il luogo non-luogo di augeiana memoria nel quale hanno modo di interagire col critico musicale, me nello specifico, sono a loro volta professionisti in altri campi, potrebbero essere dottoresse, meccanici, cassiere, commercialisti, ciò non giustificherebbe però una simile caduta di stile.

Per questo, per dire, tendo a non occuparmi poi così spesso del genere e degli artisti grazie ai quali ho iniziato a avvicinarmi all’idea che la musica sarebbe potuta essere parte del mio mestiere, l’ambito nel quale avrei prevalentemente esercitato il mio talento di scrittore, perché so che se lo facessi finirei per essere poco obiettivo, accusa che per altro è quella che maggiormente mi viene mossa dai miei detrattori, i fan-haters di cui sopra.

Altrettanto chiaramente, chi ha avuto la sorte, vai a sapere se buona o cattiva, di leggermi nel tempo ben lo saprà, mi ritrovo spesso a scrivere di musica che apprezzo molto, musica alla quale però mi sono avvicinato nel momento in cui ho deciso che questo sarebbe stato il mio mestiere, e anche dopo che per altro il mondo nel quale volevo muovermi, quello della discografia e dell’editoria mi ha riconosciuto le competenze per poter fare della critica musicale il mio mestiere.

Essere appassionati di musica non è un mestiere, quindi, chi di mestiere si occupa di musica è generalmente un appassionato di musica, chi prova a occuparsi di musica seriamente tenta in tutti i modi di scindere la passione dal mestiere, non praticando il mestiere senza passione, intendiamoci, ma non lasciando che la passione offuschi la razionalità.

Bene.

Un genere al quale mi sono appassionato in corso d’opera, da dopo cioè che editori e discografici hanno cominciato a riconoscermi come un critico musicale, non è un genere musicale.

Quello che ho appena detto, per altro, è, come nel caso dell’essere poco obiettivi, è un aspetto piuttosto discusso ogni qualvolta io mi ritrovi a scrivere di questo genere che poi è un non-genere, chissà se Marc Augé ha postulato anche a riguardo, come per aeroporti e centri commerciali, non solo nello specifico da parte degli haters, ma anche di chi di quel genere che non è un genere fa parte in prima persona, ne è protagonista.

Ora, credo che star qui a menare il can per l’aia sia esercizio di stile queneauiano, sì, ma piuttosto inutile, perché titoli e sottotitoli tendono a svelare l’argomento di cui vado a parlare, e almeno in questo spero che mi riconoscerete il merito di sbattermene sempre altamente, se decido che l’argomento musicale citato nel titolo apparirà nella penultima riga di un pezzo che di righe ne conta duecento non mi convincerebbe a cambiare idea neanche l’Inquisitore Eimerich armato di ampolle piene di piombo fuso, sorte toccata a San Ciriaco, il santo patrono della mia città, visibile nella cripta della cattedrale a lui dedicata anche in virtù dell’opera imbalsamatrice che il piombo fuso ha inflitto al suo corpo.

Questo capitolo del mio diario del secondo lock down non intende parlare di critica musicale, anche se a ben vedere è di critica musicale che ha parlato fin qui, quanto piuttosto di cantautorato femminile. Avrete, anche stavolta, apprezzato che io, parlando di genere che in realtà non è un genere non abbia mai declinato i nomi al femminile, né tanto meno al maschile, provando a portare avanti l’ambiguità del non citare il cantautorato femminile, fatto che avrebbe interrotto il mio dissertare sul suo essere un genere musicale che non è un genere musicale, ambiguità che gioca sul fatto che il genere in questione non è tanto musicale quanto sessuale, il femminile appunto.

Ecco, in genere, scusate la ripetizione, del tutto voluta, quando parlo di cantautorato femminile mi viene detto che il cantautorato femminile non è un genere, perché il cantautorato è cantautorato e la caratteristica che tiene insieme coloro che fanno parte di chi pratica il cantautorato femminile è invece il genere sessuale. Tutto vero. Però, era ovvio che ci fosse un però, è pur vero che storicamente la critica, ahinoi, e la discografia, ahiloro, tende a emarginare le cantautrici nel momento in cui ragiona di cantautorato e soprattutto pensa al mercato, fatto che in qualche modo mi agevola nel considerare il cantautorato femminile come un genere a se stante rispetto al più generico cantautorato (a questo punto solo maschile), discorso che include un aspetto prettamente artistico. Perché l’essere tenute fuori dai canoni cantautorali, leggendo il bel testo del collega Paolo Talanca dal titolo Il canone dei cantautori italiani la cosa è ben evidente, e soprattutto l’essere tenute fuori dal mercato, intendendo con questo sia quello prettamente discografico, sempre che oggi abbia ancora un senso parlare di discografia, incapace di vedere alle donne fuori dalla categoria interpreti, ma anche radiofonico, ha permesso alle cantautrici di poter sviluppare un loro linguaggio originale, fuori appunto dai canoni e libero dai paletti stringenti della radiofonicità (ora anche della streammabiità).

Questo non implica che tutto ciò che finisca nel repertorio delle cantautrici sia di per sé interessante, figuriamoci, ci sono canzoni di una bruttezza abbacinante anche tra quelle proposte dalle cantautrici, ma resta il fatto che difficilmente troveremo l’originalità e la sperimentazione che troviamo nelle canzoni di artiste quali, faccio qualche nome ma potrei farne a decine, Irene Ghiotto, Micaela Tempesta, Mimosa Campironi, tra i colleghi maschi.

Il sospetto, ancora è troppo presto per poter trarre conclusioni definitive, è che questo essere tenute al margine ha indotto le artiste in questione a sviluppare un linguaggio cantautorale altro rispetto a quello generale, il cantautorato che appunto Talanca canonizza nei suoi libri, andando per altro a giocare su un aspetto, in alcuni casi, che per Talanca pare essere motivo del loro non essere parte di quel canone, una attenzione all’estetica contrapposta all’attenzione alla poetica, a mio modo di vedere  l’estetica è assolutamente complementare alla poetica. Ho tagliato con l’accetta concetti ben più complessi, mi perdonerà Paolo, ma andavo di fretta.

Non è infatti neanche questo quel di cui volevo parlarvi oggi, ormai sarete assuefatti o quantomeno rassegnati a questo mio divagare a zonzo prima di arrivare alla meta che mi ero fissato, meta che ai vostri occhi apparirà suppongo del tutto casuale.

Il fatto è che proprio mentre l’anno volgeva al termine sono uscite delle canzoni che mi premeva segnalarvi, e queste canzoni sono perfettamente ascrivibili al genere che tanto mi appassiona, il cantautorato femminile, un genere che alcuni non ritengono un genere musicale ma io sì, esattamente per i motivi di cui vi ho detto sopra, e proprio sul finire dell’anno, il 30 per la precisione, sono venuto a conoscenza dell’imminente ritorno sulle scene di una giovane artista che, al suo esordio, molto mi aveva colpito, fatto che ben mi fa pensare e che mi fa guardare al 2021 con un po’ meno di angoscia.

Prima in ordine di arrivo è Argento, con Mademoiselle, una canzone che potrebbe tradire un’età diversa da quella anagrafica, tanto è capace di richiamare sonorità e mood degli anni Ottanta, a tratti quasi new wave. Pugliese di Brindisi, Ilaria Passiatore, questo il nome di Argento, è artista che già si è messa in evidenza al Premio Bianca D’Aponte, premio che al cantautorato femminile è dedicato e che del cantautorato femminile è punto fermo di riferimento, la cantautrice si sta muovendo inseguendo una propria idea di canzone in bilico tra pop d’autore e cantautorato di respiro internazionale, penso alla sua Goccia come a Anche solo una volta, l’elettronica sempre centrale, voce limpida che la domina. Mademoiselle è una ventata d’aria fresca, assai più di quanto non siano riusciti a essere questa estate i vari tormentoni a base di reggaeton, tutti uguali a loro stessi, perché si può essere alti anche facendo muovere il culo a chi ascolta.

Seconda in ordine di arrivo, e ovviamente sto parlando di pubblicazione, non di classifiche di vendita o di meriti, è Lamine, anche lei passata al Bianca D’Aponte, e come Argento anche passata da Attico Monina all’ultimo Sanremo,  prima che ci si richiudesse tutti in casa causa Covid e subito dopo aver portato a casa il Premio De Andrè. Lamine ha deciso di pubblicare due singoli gemelli, editi in solo tre copie in vinile, tre 45 giri chicca per collezionisti. Lo stile di Lamine, giunta alla forma canzone dopo aver a lungo frequentato la recitazione,  è molto intenso, riconoscibile già al secondo ascolto, profondo nelle intenzioni e maturo nella scrittura. In questa occasione vengono messe in campo due modalità diverse di declinare queste caratteristiche, Lamine, primo brano scritto dalla cantautrice e addirittura scelto come nome d’arte, ne evidenzia l’anima intima e notturna, Non se ne va, altrettanto oscura, parte lentamente ma si apre a sonorità decisamente più mosse, l’elettronica in primo piano, la cassa dritta, una cifra tagliente che ben si addice al nome scelto per la propria carriera di cantautrice. Lamine è senza ombra di dubbio un nome che si sta mettendo in evidenzia nella scena indipendente, a riprova di quanto le cantautrici abbiano da dire e da dare alla musica italiana.

Terza proposta, anche lei passata da Attico Monina, è invece Anna e l’Appartamento. Se vi è capitato di assistere alla sua esibizione in quel di Sanremo ricorderete che l’incontro con Anastasia, questo il nome all’anagrafe della cantautrice veronese, è stato quantomeno bizzarro. Anna mi ha taggato in una sua storia su IG nella quale in qualche modo reclamava la mia attenzione, attenzione che le ho prestato. Da lì è venuto fuori che stava per pubblicare un nuovo singolo, Plastic Fantastic, singolo che mi ha fatto ascoltare in anteprima e che mi ha molto colpito proprio per quel grado di originalità e freschezza di cui parlavo prima. Da lì a invitarla a presentarlo all’Attico è stato un attimo. A quel singolo è seguito Fa freddo fuori, capace, se possibile, di evidenziare ulteriormente la capacità di questa artista di giocare tra suoni electropop e una voce potente di quelle che in genere siamo abituati a sentire o al servizio di un repertorio decisamente più scialbo o in possesso di artiste internazionali, un nome su tutte, Lady Gaga. Pop di altissima qualità, anche in questo caso, che ora si spoglia letteralmente di tutto e viene riproposto nudo e crudo nell’EP Anna Piano Caos, diventando qualcosa di assai diverso da prima, operazione che in genere si sono potuti permettere solo coloro che avevano già una carriera consolidata, ma che in barba alle logiche di mercato, ne abbiamo già parlato, punta direttamente al cuore degli ascoltatori, bellissima Anna nuda e cruda, ascoltare per credere.

Quindi Argento con Mademoiselle, Lamine con Lamine e Non se ne va, Anna e l’Appartamento con Anna Piano Caos, poi non dite che non vi voglio molto più bene di quanto non vi meritiate.

Ma come vi dicevo la bellezza ha evidentemente deciso di provare a lenire le tante ferite che gli ultimi mesi ci hanno inferto, perché casualmente, non saprei dire neanche perché, ho deciso che in questo capitolo avrei voluto parlare anche di un’artista che è uscita con un paio di singoli tre anni fa, e di cui da allora avevo perso le tracce. Una artista, quindi, che a differenza delle altre non conosco, non è stata parte del Festivalino di Anatomia Femminile, ma che avrei sicuramente ospitato in quei contesti, fosse capitato.

Una sorta di auspicio di ritorno, forse, o più semplicemente la segnalazione di qualcosa di bello che magari era andato perso, apparentemente perso per sempre. Parlo di Iosonoaria, artista che nel 2017 aveva partecipato a Sarà Sanremo, prodotta da quel geniaccio di Ferdinando Arnò con la canzone , dopo aver esordito solo pochi mesi prima con 100 sorrisi. Due brani electropop che evidenziavano una cifra elegante e quasi jazzy, una voce decisamente evocativa, evidentemente un po’ troppo poco nazionalpopolare per ambire a entrare in un cast, quello di Sanremo Giovani, poi dominato da Ultimo. Iosonoaria lasciava intuire una caratura di grande rilievo, una levità di scrittura, suoi i testi, che andava di pari passo con una vocalità decisamente centrata per quel pop alto, il tutto arricchito, come nel caso degli altri tre nomi di questa veloce e felice carrellata, da una estetica curata, a fuoco, perfetta. Volevo scrivere di lei, quindi, come a lasciare una domanda aperta: cosa stai facendo? Cosa sta facendo? Perché non canti?

Poi mi sono detto che il mondo dei social a qualcosa dovrebbero pur servire, non solo a pubblicare selfie e meme, così le ho scritto in DM su IG, Dio come sono giovane, e così sono venuto a scoprire che, dopo due anni passati in Perù a lavorare per l’Unesco, Iosonoaria è sul procinto di tornare con un nuovo progetto musicale, decisamente più orientato a rappresentare in musica questo percorso umano fatto nel sud del mondo. Proprio nei prossimi giorni ci sarà un suo primo singolo, cui seguiranno altre canzoni. La curiosità con cui la attendo è alta, così come la consapevolezza che la musica al femminile, il cantautorato femminile, il genere musicale che non è un genere musicale, potrebbe davvero salvare il mondo della musica, ascoltate Argento, Lamine, Anna e L’Appartamento e Iosonoaria per credere, potreste addirittura pensare di essere stati sputati per una volta in una scena capace di superare i confini non solo in quanto portatrice di bel canto, ma anche di qualcosa di innovativo e importante.