Nella mia wish list del 2021 ci sarà sicuramente Riccardo Cocciante

Auspico che per il nuovo anno Cocciante venga giustamente celebrato per tutta la sua produzione musicale, non solo per Margherita e Notre Dame


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In genere quando si è all’inizio di un qualcosa, un viaggio, un nuovo progetto, un anno, sì, anche un anno, si tende a fare una breve lista di cosa ci si aspetta, o degli obiettivi che si intende raggiungere. Non lo dico da appassionato di liste, non lo sono mai stato e non penso di diventarlo adesso, alle soglie dei cinquantadue anni, sto dicendo una cosa consueta, comune, quasi ovvia.

Normale, quindi, affrontando un nuovo anno, e per di più un nuovo anno che arriva dopo un anno anomalo come quello appena trascorso, una sorta di buco nero nelle nostre esistenze, star qui a pensare a cosa si vorrebbe fare nel 2021, o almeno cosa si spera di poter fare, che risultati si vorrebbe non dico raggiungere ma almeno sfiorare.

Non volendo però lasciarmi andare a una visione del mondo, o almeno della mia porzione di mondo, troppo ottimistica, perché per dirla con il Fossati de L’abito della sposa, “ho paura delle buone notizie, perché è peggio di come si dice, anche il fuoco di Babilonia fu dimenticato così”, vorrei ora provare a buttare giù un piccolo promemoria di cosa mi piacerebbe riuscire a fare nei prossimi mesi, professionalmente.

Non quindi belle frasi quali “tornare a abbracciare chi incontro” o “riprendere a viaggiare”, quelle rientrano nell’imponderabile categoria del “grazie al cazzo”, parlo proprio di aspetti del mio lavoro che vorrei approfondire, sui quali vorrei soffermarmi.

Uno potrebbe a questo punto chiedersi perché io lo voglia fare qui, pubblicamente, dando a miei personali viaggi mentali, in alcuni casi, o più semplicemente progetti in via di sviluppo il grado di notizie, e in quel caso, non se ne esce, quell’uno sarebbe capitato da queste parti per la prima volta, questo è un diario, certo un diario che essendo il mio diario ruota intorno alla musica, io sono uno scrittore e critico musicale, ma è pur sempre un diario, se non parto da me da chi dovrei mai partire?, e poi, nello specifico, e qui toccherebbe essere altri da me per poter affrontare la cosa, è il mio diario, e io parlo di me anche quando la forma scelta per farlo, il format scelto per farlo, non presupporrebbe di suo il mio continuo tirarmi in ballo, o almeno il mio continuo tirare in ballo il me stesso che ho deciso di far vivere in quello che scrivo, non vi è dato sapere se corrisponda in tutto e per tutto al me stesso reale o sia frutto di una mia libera licenza poetica, un mio traviare la realtà a fini narrativi, per motivi legati a quel che intendo dire o anche solo per mera vanità e egocentrismo, io che sono l’autore ma anche un personaggio, voce narrante che abita le storie che racconta, addirittura, triplice ruolo, quindi, autore, personaggio e voce narrante, perché che io poi sia me stesso anche nel reale ambito nel quale il me stesso scritto si muove è un dato di fatto, e anche qui, vai a sapere se quel me stesso che si muove nel mondo della musica sia reale o non sia un personaggio, una posa, quello coi capelli lunghi e gli occhiali rosa, quello con la mazza da baseball e in costume e la pancia prominente che fa interviste alle terme, una costante ambiguità che alberga anche in queste mie parole, certo, nel caso di questo diario, ulteriormente infittita dalla costante presenza del resto della mia famiglia, mia moglie Marina, i nostri quattro figli, ma anche i miei genitori ultraottantenni, lontani, i miei fratelli i miei amici di oggi, penso a Gianni Biondillo, più volte evocato in questo diario, come quelli la cui amicizia mi accompagna sin da quando ero piccolo, uno spaccato, vero o presunto, della mia esistenza che, da un punto di vista narrativo, rende il me stesso che finisce dentro le mie parole, quello che incontrate in queste mie pagine di diario, dotato di una terza dimensione, stare qui a dirvelo complica in effetti le cose, svelando in parte un trucco e al contempo incrinando quel patto tra scrittore e lettore, ma tant’è, uno potrebbe a questo punto chiedersi perché io voglia fare qui, pubblicamente, questa sorta di piano programmatico di quel che il 2021 sarà per me professionalmente, piano programmatico che in realtà è più una lista dei desideri, perché i progetti già in corso d’essere, quelli a cui sto già fisicamente lavorando, imminenti o meno che siano, quindi con un grado maggiore o minore di vedere poi la luce, il mio lavoro consiste per una buona porzione del tempo nel progettare lavori che poi restano lì, impigliati in quel non-luogo che si chiama “idee”, beh, quei progetti già in corso d’essere, ovviamente, non ve li svelerò, non solo o non tanto per una forma di scaramanzia che non credo mi appartenga, ma che dopo un anno come il 2020 che così tanto ha assottigliato la distanza tra credenza e realtà, tra scientificità e magia, forse sarebbe anche il caso di iniziare a farlo, quanto piuttosto perché in un mondo che si nutre sì di idee, ma anche molto di input e di energie che su quelle idee devono essere spese, e per energie intendo ovviamente non solo energie fisiche e mentali, ma anche soldi sonanti, essendo io un indipendente, un outsider, senza una macchina produttiva potente alle spalle pronta a assecondare ogni mia  intuizione, a volte giuste a volte sbagliate, le mie intuizioni, nel mondo delle idee funziona così, starmene qui a regalare idee a chi invece energie da spendere ne ha a profusione sarebbe più che troppo generoso troppo stupido.

Quindi vorrei provare a dirvi, il cuore in mano come certe immagini sacre della Madonna, o di certi santi che trovano particolare seguito nel sud del mondo, cosa vorrei sviluppare, su cosa mi piacerebbe poter spendere il mio tempo, cosa vorrei approfondire, sapendo che altre cose sono già in lavorazione, quindi questa mia wish list anche con quello dovrà fare i conti, con il residuo del mio tempo, oltre che con tutta quella serie di incastri che un qualsiasi progetto necessita per poter passare dall’essere un’idea all’essere qualcosa di più.

Bene, o forse no, bene è un po’ troppo.

Benino.

Il 2020, per me, come per quasi tutti quelli che operano nel mondo della musica, più o meno esclusivamente, io scrivo e non solo di musica, ma è evidente che è alla musica che ho votato questa parte della mia vita, è stato un anno vuoto, fermo, pietrificato. Un anno di rimandi continui, date che sostituivano date che sostituivano date, finché una certa forma di rassegnata stanchezza non è subentrata, la rabbia che si tramuta in disillusione, il guardare avanti che slitta inesorabile verso un guardarsi attorno, un guardare altrove. Anche io, come molti, avevo progetti già a buon punto che sono stati messi in stand-by, workshop, programmi tv, roba che al momento è ancora lì, ma che è tornata a assumere le sembianze dell’embrione più che del nascituro, in alcuni casi addirittura quelle definitive dell’aborto. Con la consapevolezza, cinicamente mi tocca guardare a me con il distacco che un bravo narratore dovrebbe sempre avere nei confronti di un proprio personaggio, non confondete quello che poi arriva al lettore, l’empatia che il bravo narratore riesce a raggiungere, con la consapevolezza, quindi, che certe occasioni non torneranno perché non possono tornare, certi incastri sono possibili solo in una determinata sequenza di accadimenti, e anche l’anagrafe in questo ha un suo peso mica da ridere, sono un cinquantunenne che ovviamente non può spingere troppo sul suo lato giovanile, sarei ridicolo oltre che poco credibile.

Quindi da una parte ho alcuni progetti che potrei riprendere, provando a ricucire trame lasciate a metà, volendo anche oltre la metà, dall’altra ci sono spunti su cui neanche avevo messo davvero le mani, alcuni buoni, certo, altri davvero da inventare di sana pianta. Ma ci sono progetti che ho iniziato a imbastire, anche pubblicamente, anche qui, che in qualche modo pretendono una conclusione, si tratti di farli partire e diventare qualcosa di concreto o soffocarli nel sonno, una lapide a certificarne l’avvenuto decesso, fosse anche un decesso prematuro.

Esattamente due anni fa, per dire, ho presentato a Matera, all’interno del TedX organizzato da MariaPia Ebreo, uno speach dal titolo Venere senza pelliccia, in compagnia della cantautrice Ilaria Porceddu. Era il 14 dicembre 2018, una data che a leggerla ora sembra qualcosa da guardare come fosse un film in bianco e nero, tante e tante cose sono successe nel mezzo.

Due giorni prima, sempre in compagnia di Ilaria Porceddu, mia partner in crime, presso le Officine Pasolini di Roma, ospiti dell’amica Tosca, abbiamo portato in scena il monologo Cantami Godiva, contro i sentimenti per un ritorno del corpo, con la partecipazione di Noemi, Patrizia Laquidara e La Rappresentante di Lista, fratello maggiore proprio dello speach per il TedX. Questa duplice uscita pubblica era nelle mie intenzioni un deciso spostare la mia attenzione verso tematiche legate alla corporeità nella musica, con specifica attenzione per la musica al femminile. Non serve io stia ogni volta a fare il riassunto delle puntate precedenti, di cantautorato femminile mi occupo ormai da dieci anni, Anatomia Femminile, il Festivalino di Anatomia Femminile, il festival Femminile Plurale ideato proprio con Tosca, il libro Venere senza pelliccia che al mio TedX ha dato il titolo, le centinaia di articoli a riguardo. Ecco, il mio speach e il monologo presentato a Roma dovevano indicare un nuovo corso. Il 2019, in effetti, ha spostato su questo argomento parte dei miei scritti, ma soprattutto parte dei miei studi, questo è argomento assai poco trattato, sia a livello accademico che a livello di cultural studies, muovercisi in mezzo è da una parte spostarsi dentro una grande prateria inesplorata, spazi enormi e tante suggestioni, dall’altra sottoporsi a continui vicoli ciechi, un cielo coperto da nubi che ci concede poche indicazioni di orientamento, il pericolo di un assalto da parte dei banditi e dei predatori sempre costante. Comunque ho proseguito i miei studi, sviluppato idee, e il 2020 sarebbe dovuto essere l’anno di un ulteriore passo avanti. Passo avanti che, ovviamente, non è stato possibile. Tutto si è fermato. Immobilizzato. Pietrificato. Imbalsamato.

Ho proseguito a scrivere e studiare, accumulando materiali. Ho fatto anche uno webinar per l’Università degli Studi di Macerata, corso di Pedagogia, che di quello che avevo in mente è stato più un fare il punto che un guardare avanti, e soprattutto ho provato, spinto quasi dalla disperata necessità di fare una sorta di conta delle forze in campo, di lanciare il progetto Pop Babylonia, la creazione di una casa discografica tutta rivolta al femminile, nello specifico con un ritorno del tema del corpo posto al centro della scena, il tutto con l’intenzione di andare a presentare una nuova antologia della serie Anatomia Femminile alle Targhe Tenco, album a progetto, una partecipazione e magari una vittoria che avrebbe in qualche modo reso comune un lavoro fatto in solitaria in tutti questi anni. A supporto di questa idea ho lanciato un crowdfunding anomalo, stesso nome scelto, Pop Babylonia, nel quale andavo a mettere come premi miei libri inediti e la possibilità di collaborare con me, fatto che mi era stato sconsigliato dai miei partner, perché da che mondo è mondo è proprio la personalizzazione che si instaura nel rapporto tra chi lancia un crowdfunding e i raiser a muovere questi progetti, mentre in questo caso io ponevo l’attenzione su un progetto altro da me usando però mie opere e quindi rivolgendomi a ipotetici miei lettori o followers, per raggiungere l’obiettivo, dando vita a una sorta di schizofrenia. Nei fatti il crowdfunding è partito e si è subito iniziato a muovere anche benino, quando però è arrivato il secondo lock down. A quel punto ho deciso di fermare tutto, mettere il progetto in stand-by.

Non mi sembrava il caso di star lì a rompere le scatole chiedendo soldi in un nuovo momento di empasse, e d’altra parte non ho trovato nelle artiste cui il progetto era rivolto, quelle che sarebbero finite dentro la antologia o le antologie, e che erano già dentro uno dei primi, un libro dal titolo Cantami Godiva che raccoglieva i miei scritti editi e inediti sulla musica al femminile e tutti i miei studi a riguardo, quelli sul corpo compresi, quasi nessun tipo di supporto, evidentemente e legittimamente tutte prese dal vivere con altrettanta fatica questo periodo per tutti così oscuro, il 2020, anno pandemico.

Nel 2021, in qualche modo, questo progetto dovrà trovare una sua qualche conclusione, si tratti di farlo ripartire o di chiuderlo definitivamente.

Questo è ovviamente un discorso più ampio del semplice crowdfunding Pop Babylonia, riguarda anche l’idea di continuare o meno col mio Festivalino di Anatomia Femminile, nelle versioni virtuali sui social, abbiamo quasi toccato quota cinquecentocinquanta video inediti pubblicati nel corso di quattro anni e sei edizioni, alle edizioni 2017, 2018, 2019 e 2020 vanno aggiunte il Festivalino Off e quello Quarantine Edition, come di quelle fisiche, andati in scena per due anni di fila a Sanremo, in concomitanza col Festival, qui avete avuto modo di seguirlo, come su OMTV.it, all’interno del programma Attico Monina, come al MEI di Faenza, nel 2019.

Confesso che sono un po’ stanco, a riguardo, conscio che mettere le mie competenze e anche la mia indubbia visibilità al servizio di tante brave artiste altrimenti un po’ emarginate dal sistema musica, sia una sorta di dovere morale, anche una qualche forma espiatoria dell’essere diventato un personaggio più per la mia irriverenza e il mio affrontare con spirito eversivo il mainstream che per i contenuti alti di quel che faccio, sono pur sempre un intellettuale, ma d’altra parte i mulini a vento, per quanto li confondi con cavalieri da sconfiggere, sempre mulini a vento restano e una volta che li riconosci come tali perdono tutto il loro fascino donchicottesco.

Lo so che poi alla fine ci rimetterò su le mani, nonostante sia consapevole che questo Sanremo, se lo faranno davvero in versione Covid a marzo, sarà altro rispetto agli ultimi, finirò per organizzare qualcosa di femminile che ne faccia da controcanto, va da capire se fisicamente a Sanremo o virtualmente da casa, a Milano, a occhio propendo più per questa seconda ipotesi, e sicuramente con Tosca daremo vita a una terza edizione del nostro Femminile Plurale, ma onestamente l’entusiasmo sta venendo meno, di pari passo con la crescente convinzione che per quanto ci siano tentativi anche nobili di unire la scena, penso a Unisona Collettiva come al Because the Night organizzato da Marian Trapassi, difficilmente quella che era la mia idea di scena unita delle cantautrici vedrà mai la luce, anche perché al momento a fare da collante sono stato io, un uomo, fatto che per molte è stato legittimamente letto come una sorta di controsenso.

Probabilmente, quando la situazione diventerà meno cupa, riaccenderò il crowdfunding Pop Babylonia, e quella antologia proverò a farla, quella Targa le cantautrici se la meritano, così da metterci un punto definitivo, nel mentre alcuni editori si sono fatti vivi per chiedermi la possibilità di pubblicare quelli che ancora oggi sono i premi in palio per chi partecipa, fatto che solleverebbe me i miei partner da certe simpaticissime accusa di usare un crowdfunding per speculare e farmi pubblicità accampate da certi buffoncelli che da tempo provano a mangiare sul mio piatto, wannabes che nonostante tutto tali sono e tali restano, dubito che alla soglia degli ottanta libri pubblicati io necessiti di ciò per finire in libreria, così non è.

Cosa invece sicuramente voglio continuare a fare è dare una forma concreta ai miei studi sul corpo nell’immaginario, la poetica e le liriche delle cantautrici, italiane e internazionali, studio che ovviamente spazia oltre la musica, impatta negli stereotipi e scivola inesorabilmente in campi già ben definiti come la psicologia, la sociologia e i cultural studies.

Mia figlia Lucia, che per altro sta proprio su quei temi iniziando un suo percorso intellettuale e artistico, sta pensando seriamente di iscriversi alla facoltà di Psicologia, finito il liceo, e confesso che ho più volte vagheggiato l’idea di farlo anche io, visto mai che fosse la volta buona che mi laurei, il corso di studi in Storia Moderna lasciato a un solo esame dalla fine, con già la tesi scritta e consegnata?

Non so se proporrò un nuovo TedX a riguardo, ci sto pensando, né so se proverò a allargare il testo di Cantami Godiva, il monologo, provando a portarlo in giro, nel momento in cui l’idea di tornare in giro e andare per auditorium e teatri non rientrasse più nel campo delle ipotesi fantascientifiche, ma di sicuro da qualche parte quegli studi arriveranno. In un libro, certo, ma non mi dispiacerebbe anche in qualcosa di più accademico, del resto credo di essere a mio modo qualificato per poterne parlare, dopo oltre dieci anni di studi e pubblicazioni a riguardo.

Visto che questi mesi sono stati di clausura, e quel che è successo, poco ma qualcosa è successo, è avvenuto prevalentemente in remoto, in video, online, confesso di aver pensato più volte di prendere quella che era l’idea originaria di Anatomia Femminile, chiedere a cantautrici di talento di raccontare il corpo a partire da una singola parte per fornire così una sorta di mappa di quel che significhi oggi essere donna, in Italia e nel mondo, oltre che essere donna anche dentro un corpo, e trasporla online, unendo la forma video alla forma musicale, tanto quanto nel primo Anatomia Femminile le foto di Zoe Vincenti avevano accompagnato le ventitré canzoni. Chiaramente era più una intuizione che un’idea, seppur io sappia bene chi avrei coinvolto.

Sarebbe potuto essere un modo per esserci anche quando in realtà non ci siamo stati, fare teatro da casa, creare vita laddove nel mentre sembrava incombesse la morte.

Non è detto non lo faccia, l’idea sta sempre lì, e l’incontro con altre artiste, penso alla recente scoperta di Yoniro, che con la sua Bambina Bambolina sta portando avanti, attraverso una canzone che avrebbe le caratteristiche di suo per diventare una hit, l’arte a volte riesce a dire cose anche a chi non le vuole sentire, una personale battaglia proprio contro quegli stereotipi pensati da uomini che vorrebbero le donne solo in una certa maniera, seguitela sui social e capirete meglio di cosa sto parlando.

Come non è detto che prima o poi non riprenda un altro discorso che avevo iniziato a fare anni fa, forse troppo poco esplicito per essere anche solo decodificato.

Quando infatti anni fa ho cominciato a fare le mie interviste alle terme, le trovate ancora sul tubo e sui miei social, sottoponendomi a critiche anche feroci, a sfottò, visto il mio stare lì in costume non certo forte di un fisico statuario, intendevo usare il mio corpo come manifesto di accettazione della diversità, andando a scalfire parimenti gli stereotipi maschili, certo meno penalizzanti di quelli femminili, ma comunque imperanti. Volevo usare la mia pancia prominente, oggi diventata assai meno ingombrante non per questioni estetiche ma di salute, come piede di porco per scardinare un pensiero dominante, faccio un paragone ardito, come Lady Gaga ha fatto in maniera un pochino più glamour e meglio riuscita col suo discorso sulla “mostruosità”, anche lei a suon ci pelle esposta, di politicamente scorretto, di scandalose provocazioni.

A un certo punto quell’idea è andata in soffitta, come spesso mi capita, perché è venuta meno la partnership con le Terme di Milano, certo, ma anche perché quel discorso stava diventando ripetitivo, e in quanto sul punto di diventare un cliché anche poco efficace.

Giorni fa, complice un nuovo stereo arrivato in casa durante le feste natalizie, mi è capitato di riascoltare Un uomo felice, splendido lavoro uscito nel 1994 di Riccardo Cocciante considerato per ragioni che mi sfuggono un suo album minore. Un lavoro che, al pari di La grande avventura, per dire, è in grado non solo di tenere testa ai suo lavori di gioventù, ma anche di sovrastarli. Un album con canzoni molto belle, alcune inedite e altre recuperate dal suo repertorio, canzoni nelle quali la voce calda e unica del cantautore romano, nato a Saigon tocca sempre dire, incontra spesso l’arte di colleghe più o meno famose. A fianco di perle rare come Amore, con Mina, L’amore esiste ancora, con una giovane e strepitosa Tosca, cui prima o poi qualcuno dovrà riconoscere i gradi di regina della nostra canzone popolare, Io vivo per te, con la bravissima e sfortunatissima Scarlett, divenuta famosa in precedenza per aver duettato con Sciapli in Pregherei, brano vincitore del Festivalbar 1988, e poi vittima di un tremendo incidente, c’è una canzone che non manca mai di colpirmi. Si intitola Sulla mia pelle, brano già contenuto in Sincerità, del 1983, e in questa nuova versione a cantarla con Cocciante troviamo Mietta, in Un uomo felice presente anche nel brano E pensare che pensavo mi pensassi almeno un po’. Un brano di una sensualità fisica, il viaggio sul corpo dei due amanti impersonati da Cocciante e Mietta è tangibile, visibile, come già accadeva, in maniera forse più aulica, in Primavera, al punto che sembra di essere quasi dei voyuer che non si fanno remore a mettersi lì con loro. Dovessi mai pensare di raccontare il mio, di corpo, riprendendo quel filo del discorso lasciato sospeso quando ho smesso di fare le mie interviste alle terme, è proprio da questa canzone che vorrei partire.

Credo del resto che Cocciante andrebbe assolutamente riscoperto, da troppo tempo diventato più che altro quello di Margherita e Se stiamo insieme e poi di Notre Dame di Paris.

Canzoni quali Un buco nel cuore, per dire, ma anche tutte quelle contenute in La grande avventura, pensate a un gioiello come Cuore di Gesù, canzone che si avvale del testo di Lucio Dalla, che la canterà in DallaMorandi, e che descrive forse come nessun’altra nella nostra canzone l’adolescenza, ma anche ritratti di scene quotidiane come Il mio nome è Riccardo o La canzone di Francesco, sono patrimonio comune che meriterebbe di essere celebrato più di quanto nei fatti non accade.

Ecco, lo penso per la prima volta ora che lo sto scrivendo, potrei riprendere a raccontare anche il mio corpo proprio a partire da Sulla mia pelle. Paura, eh?