Riscoprire Eduardo De Crescenzo, tra bici che impennano e pin-up

In assenza di mare Anconetano mi accontenterò di ascoltare la musica di De Crescenzo perché a volte basta chiudere gli occhi per trovarsi tra salsedine e onde


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Io non ho ricordi. Cioè, ne ho, ma sono spesso ricostruzioni che mi sono fatto di quel che è realmente avvenuto, rielaborazioni, spesso piuttosto narrative. Lo so che la cosa sembra incredibile, anche in virtù del fatto che passo la stragrande maggioranza del tempo in cui scrivo a parlare di ricordi, del passato, del mio passato, ma non ho praticamente ricordi. E non ho affatto memoria. Ho studiato Storia Moderna, all’università, ben consapevole di avere un serio problema a ricordare date e nomi, ma nei fatti non è certo sapere a memoria date e nomi quel che si richiede a chi studia storia, e ho poi scelto un lavoro nel quale la memoria sarebbe di suo necessaria, ma avendo pochi mega di memoria a disposizione tendo a concederli tutti a fatti importanti, il resto lo rimuovo, contando sulla fantasia. Quel che non mi ricordo so dove andarlo a cercare, fortunatamente, parlando di lavoro. Diverso è nella vita.

Lo so, un bravo psicologo mi spiegherebbe che è tutta una faccenda di subconscio, o roba del genere, ma non ho alcuna fiducia nella psicologia, forse anche per questo. Non ricordo e non ho grande necessità di ricordare. Non ho biscottini che mi aprano a mondi, se proprio voglio affacciarmi da quelle parti scrivo, e spesso scrivo maneggiando le trame.

Mia madre, che mi legge assiduamente, lontana da me quattrocento e passa chilometri, spesso mi riprende, dicendomi che le cose non sono andate esattamente per come le ho raccontate. O meglio, mi riprendeva, fin quando non le ho spiegato che non è la precisione nella ricostruzione dei fatti che mi interessa, nel momento in cui mi guardo indietro. Non sono un cronista, non mi attengo alla realtà. Lei, suppongo, continuerà a pensare che io racconti cose diverse da come sono avvenute, ma suppongo che se le è andato bene avere un figlio che a cinquantuno anni porta ancora i capelli lunghi e fa un lavoro quasi impossibile da spiegare a chicchessia, non sarà certo quell’alto tasso di imprecisione cronachistica a poterla impensierire.

Non ricordo quasi nulla, quindi, ma parlo molto spesso di quel che è il mio passato.

A volte arrivo a pensare che la mia stessa città natale, presente praticamente in tutto quello che scrivo, i miei compagni di strada quando ero un ragazzo, i miei stessi familiari, diventano sotto la cura fantasiosa della mia penna, che penna poi ovviamente non è, scrivo come ormai tutti al computer, personaggi di una di quelle saghe sudamericane alla Gabriel Garcia Marquez, autore che per altro non mi è mai piaciuto e di cui ho apprezzato solo la scelta di diventare amico di Shakira.

In questa anomala fine di anno 2020, anomala perché tutto il 2020 è stato un anno assurdo, il più assurdo da che vivo e probabilmente anche da prima che io sia nato, almeno per quel che concerne il lasso di tempo che va dal dopoguerra a oggi, e anomala perché, di conseguenza, è il primo anno che mi vede trascorrere i giorni delle vacanze natalizie lontano proprio dalla mia città natale, Ancona, e dai miei, i miei genitori e le famiglie di mio fratello e mia sorella, nonché da quella porzione preziosa di miei amici di gioventù che continuo a frequentare, regalo di un’idea di amicizia solida, immarcescibile, in questa anomali fine di anno 2020 poter attingere a quel cesto residuo di ricordi è una assenza nell’assenza. Perché è evidente, maddalenine a parte, che vedere le vecchie foto di famiglia, incontrare per strada volti, ovviamente invecchiati come il mio, in molti casi peggio del mio, che ero abituato a vedere nel passato, quando cioè vivevo lì, risvegli in me barlumi di memoria, così come a risvegliarmeli è vedere quelle parti di città che l’incedere del tempo non ha mutato, poche, a dire il vero, strade, vicoli e palazzi, per dirla con Cocciante, che hanno resistito lì apposta per dirmi qualcosa, a volte penso ingenuamente.

Mentre suppongo starete pensando, ma questo oggi dove vuole andare a parare?, spero apprezzando almeno il fatto che io non abbia citato l’insopportabile mancanza del non poter vedere il mare, io che in una città di mare sono nato e cresciuto, io che per altro ho sempre guardato al potermi riaffacciare subito dopo le feste natalizie al mare, nella settimana del Festival di Sanremo, come un passaggio fondamentale per rendermi sopportabile i lunghi mesi che dividono quelle che comunemente sono le due vacanze di noi italiani, quelle natalizie e quelle estive, e quest’anno ho la percezione radicale e ferma che non ci sarà nessun passaggio di mezzo tra Natale e l’estate, nessuna incursione in quel di Sanremo, almeno da parte mia, ecco, mentre suppongo starete pensando, ma questo oggi dove vuole andare a parare?, io sono già andato dove avevo in mente di andare, incamminato a lunghe falcate verso quello che mi ero prefisso come tema del giorno: la memoria.

L’ho già detto più volte, e non che la faccenda sia questione centrale per la vita di qualcuno, ma tendo a essere assai poco impulsivo quando scrivo. A discapito di uno stile che potrebbe indurre a pensare a una sorta di scrittura intesa come flusso di coscienza ho quasi sempre ben presente che tipo di ingredienti mettere sul tavolo, e anche come utilizzarli, avendo a sua volta in mente che tipo di piatto voglio preparare.

Qualche volta, non è questo il caso, o meglio non è questo il caso fatta eccezione per le righe che state leggendo in questo momento, mi dilungo nel cercare di spiegare, passaggio per passaggio, cosa sto facendo. Non è un vezzo, anche se in questo preciso passaggio lo sto facendo anche per vezzeggiarmi, come di chi impenna con la bici poco avere imparato a farlo, e io non ho certo imparato a impennare da poco, non è un vezzo, tecnicamente si chiama meta-narrazione, c’è gente che ci ha fatto su studi, tesi di laurea, corsi universitari, non io, sia chiaro, era per dire che è argomento serio e dibattuto, non un vezzo, quindi, quanto piuttosto un modo per indicare altri piani di lettura, mentre si corre in bici su una ruota sola abbiamo una prospettiva diversa del mondo rispetto a quando lo vediamo camminando a piedi, e non sempre la lentezza è la modalità più adatta a vedere cose, prendete quel giochino che si faceva da piccoli di disegnare su una risma di fogli un omino che camminava, a ogni pagina l’omino si spostava impercettibilmente, una gamba, l’altra, di nuovo una gamba, di nuovo l’altra, spostandosi sullo spazio del foglio, verso l’interno, che se uno vedeva quelle pagine con calma, una alla volta, avrebbe visto solo un omino, per altro stilizzato, tipo la linea che animava i Carosello, quella delle pentole Lagostina, ma se avesse avuto premura di prendere la risma di fogli e far scorrere le pagine velocemente, come magari ci capita di fare in libreria, portando il naso vicino al libro, per sentire l’odore inconfondibile delle pagine dei libri, so che questo è un feticismo di noi cultori dei libri di carta, non troppo diverso da tutti gli altri feticismi, a proposito di libri e di feticismi non smetterò mai di consigliare la lettura di L’adorazione del piede della mia amica Berarda Del Vecchio, il titolo del libro è L’adorazione del piede, non L’adorazione del piede della mia amica Berarda Del Vecchio, la mia amica Berarda Del Vecchio è l’autrice del libro L’adorazione del piede, anche se forse un libro dal titolo L’adorazione del piede della mia amica Berarda Del Vecchio avrebbe avuto ulteriori chance editoriali, Berarda, pensaci, perché avrebbe indotto all’acquisto anche gente che magari non è particolarmente interessato ai piedi, alla loro adorazione e più in generale al concetto di feticismo, dei piedi o di altro, e magari a un libro dal titolo L’adorazione del piede non ci si avvicinerebbero di default anche per vergogna, per non essere scambiati dal libraio per uno che nella vita adora i piedi, un feticista, appunto, e vi giuro che il libro L’adorazione del piede non è affatto un libro rivolto ai feticisti, per questo ve lo consigliavo, e comunque Amazon permette l’anonimato, come promesso da certi siti per sex toys o dall’ingresso dei Motel per coppie alla ricerca di scappatelle sicure, in genere si trovano fuori dai centri abitati, magari nei pressi di grandi aziende, quando lavoravo in Mondadori ce n’era uno, il Motel Luna, dove andavano diversi dirigenti, massima riservatezza, nello specifico, significava ingresso in auto direttamente vicino alla stanza, anche se andando tutti lì, suppergiù, i dirigenti con amanti, immagino ci fosse poco da essere riservati, e comunque Berarda è una signora scrittrice e andrebbe letta per qualsiasi cosa scrive, peccato la vita l’abbia portato, almeno per ora, a fare altro, e quegli stessi che non comprerebbero un libro dal titolo L’adorazione del piede per vergogna o per mancanza di interesse al tema in questione, i piedi, appunto, potrebbero essere indotti a leggere un libro il cui titolo fosse L’adorazione del piede della mia amica Berarda Del Vecchio, pensando che si tratti di un romanzo, o che comunque abbia in sé un barlume di follia, perché mai uno dovrebbe essere interessato a leggere un libro che parla di quella particolarissima forma di adorazione che un ipotetico autore dovrebbe avere nei confronti dei piedi di una sua amica?, mia amica Berarda Del Vecchio che, ne sono convinto, essendo nei fatti una che ha nei confronti dei piedi una certa passione, una non si trova a scrivere un libro dal titolo L’adorazione del piede, così, perché non sapeva come spendere il proprio tempo, come uno non si trova a scrivere di una che ha scritto un libro che si intitola così, L’adorazione del piede, così, perché non sapeva come spendere il proprio tempo, del resto, lo fa, scrive un libro che si intitola La adorazione del piede, perché in effetti i piedi hanno per sé una certa fascinazione, io per altro l’ho conosciuta perché, dopo aver letto quel libro l’ho contattata sui social, parliamo degli anni Zero, i social erano appena arrivati e io e lei avevamo appena pubblicato un libro per la Rizzoli, Mi tengo le curve, lei, un romanzo neanche troppo vagamente autobiografico, Ultimo stadio, io, un reportage sul mondo delle curve che mi ha procurato parecchie soddisfazioni, una doppia paginata sul Corriere della Sera, oltre che una grande delusione e qualche casino, l’apprendere che il mondo di chi scrive di calcio è ancora più chiuso di quello di chi scrive di musica, la delusione, ricevere un numero piuttosto nutrito di minacce nonché una vera e propria imboscata durante la presentazione di un libro, libro che per altro con quello lì nulla aveva a che fare, a parte che ne ero sempre io l’autore, Cantami o diva, un libro reportage su quando accompagnai Malika Ayane al suo Sanremo del 2009, imboscata con un nutrito gruppo di ultras della squadra della mia città, ripeto, Ancona, che vennero al ridotto del Teatro delle Muse, dove la presentazione del libro Cantami o diva stava avvenendo, per minacciarmi di persona, reo, ai loro occhi, di aver infangato la memoria di alcuni loro colleghi, incapaci, loro, di capire che io avevo raccontato una parte della storia della curva anconetana avvenuta una ventina di anni prima, quando cioè io la frequentavo, e loro, tutti sulla trentina, non potevano essere oggetto del mio raccontare perché all’epoca erano poco più che bambini, l’analfabetismo misto all’uso spasmodico di sostanze stupefacenti non porta mai buoni frutti, comunque io e Berarda ci siamo conosciuti sui social dopo che io, letto il suo Mi tengo le curve, ero andato a recuperarmi L’adorazione del piede, decidendo che volevo conoscerla, quindi ai piedi e alla sua passione per i piedi sono molto affezionato anche per questo essere stati spinta per una delle più belle amicizie della mia vita, comunque, tornando al feticismo dei libri, e quindi tornando a quel lasciar correre veloci le pagine di un libro sotto il naso, per poterne assaporare il profumo, non è quello il motivo che ci induceva, da piccoli, a disegnare quegli omini stilizzati che camminavano lungo il bordo delle pagine, in una risma di fogli, quanto piuttosto il fatto che, andando a farli scorrere velocemente, guardandoli, si sarebbe vista la scena dell’omino stilizzato che cammina un passo dopo l’altro verso l’interno, velocemente tanto quanto velocemente facciamo scorrere le pagine, un po’ il medesimo principio che animava i cartoni animati, prima dell’invenzione del digitale, un frame alla volta, un frame alla volta visibili solo adottando una modalità molto veloce, altrimenti si vede solo l’omino stilizzato, quindi disegnato piuttosto elementarmente, male, che si muove impercettibilmente.

A volte andare veloci ci consente di vedere cose che non potremmo vedere altrimenti.

Ecco, quello che avete appena letto, sì, lo confesso, ero io che facevo le impennate con la bicicletta.

Un po’ anche senza motivo, se non perché so impennare con la bicicletta e mi andava di farlo davanti a tutti, come in effetti chiunque impari a impennare con la bici ambisce a fare, non è che uno impara a fare una cosa come impennare per altri motivi, credo.

Ma più che altro perché volevo spiegare una volta per tutta come quel che sembra un modo naturale di muoversi non è quasi mai un modo naturale di muoversi, le smorfie che certi personaggi fanno nelle serie tv, certe espressioni gergali che col tempo ci diventano familiari, tutto quel che vediamo e sentiamo è frutto di una scrittura, a sua volta frutto di un ragionamento. E comunque penso proprio di aver reso felice la mia amica Berarda Del Vecchio, il titolo del suo libro ripetuto non so neanche io esattamente quante volte, non ho voglia di tornare su e contarle, libro dal quale per altro Berarda non trae guadagni, lo dico nel caso qualcuno pensasse che sto facendo una bieca campagna promozionale atta a farle guadagnare soldi, perché il libro è edito da un editore, editore per il quale a mia volta ho pubblicato quattro libri, che ha biasimevolissima abitudine di non mandare le rendicontazioni ai suoi autori, ma vista una in tanti anni che quei libri sono usciti, e di conseguenza ha la biasimevole abitudine di non pagare i diritti dei medesimi, uno di quei quattro libri, nel mio caso, uno dei due di Berarda, il romanzo Sdraiami, anche quello assolutamente da leggere, sono anche stati tradotti all’estero, rispettivamente in spagnolo, il suo, in portoghese, il mio, primo libro al mondo su Lady Gaga, fatto che in entrambi i casi abbiamo scoperto grazie ai motori di ricerca, neanche si sono degnati di farcelo sapere, loro, gli editori, quindi Berarda non sarà stata contenta perché potrà contare magari su qualche diritto d’autore che potrebbe arrivarle da chi, spero incuriosito dal mio scrivere, andrà a leggersela, lo dico per voi, fatelo, quanto perché, da adoratrice dei piedi, immagino che averli sentiti citare, i suoi piedi, così tante volte, avrà avuto un moto di soddisfazione, leggendo il libro capirete che gli adoratori dei piedi non amano solo guardarli, ma anche mostrarli, ma non voglio spoilerare niente. Comunque, ripeto, L’adorazione del piede della mia amica Berarda Del Vecchio resta un grande titolo, tenete conto o amici scrittori che ne cercate uno per i vostri prossimi libri.

Comunque ero partito parlando di memoria, o di assenza indotta di memoria, indotta dalla natura, nel mio caso specifico e personale, e dalla contingenza, la pandemia mi tiene lontano dai luoghi che la mia memoria ha per location principale e che della memoria potrebbe essere in qualche modo salvavita, e poi sono passato a parlare di meta-narrazione, soffermandomi sui piedi, sulla loro adorazione e su una mia amica grande scrittrice, nonché splendente pin-up al momento a riposo (che è un po’ un controsenso, perché essere pin-up è una attitudine, non un mestiere, e se si è pin-up lo si è per sempre, come per i diamanti, solo che lo si può essere in sonno, come accade a certi terroristi che conducono una vita tranquilla, ordinaria, salvo poi ricevere una telefonata da un numero sconosciuto che di colpo, zac, li fa tornare a essere feroci macchine del terrore, chissà se queste mie parole spingeranno Berarda Del Vecchio, la mia amica Berarda Del Vecchio, a tornare a essere la pin-up appassionata del magico mondo di Betty Page e del reck’n’roll anni cinquanta, visto mai…).

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Lontano dal mio mare, lontano anche dalla mia amica Berarda Del Vecchio, lei vive a Stoccolma con la sua famiglia, e lontano ancora di più da una qualsiasi idea di pin-uppitudine, non tanto per questioni climatiche, le pin-up sono pin-up anche di inverno, quanto piuttosto per questo clima un filo malinconico e cupo che aleggia intorno a noi da mesi, voglio andare a tirare fuori dal cilindro un artista italiano che, a mio avviso, dovrebbe essere di nuovo al centro della ribalta, non fatemi di nuovo citare la faccenda del Sanremo con Gio Evan o altre facezie: Eduardo De Crescenzo.

Lungi da me giocarmi questo nome facendo leva sull’assonanza tra Ancona, la città che per la prima volta non mi ha visto presente durante le festività natalizie, e la sua canzone più famosa, quella Ancora a firma Claudio Mattone e Franco Migliacci che è, credo senza ombra di smentita, una delle più belle canzoni pop di tutti i tempi, complice una interpretazione magistrale del nostro al Festival di Sanremo 1981, a breve saranno quarant’anni, non ricordarlo sarebbe un atto vile e biasimevole. Se mi immaginate sul balcone di casa distorcendone il pezzo, come colto da un imprescindibile raptus di saudade, magari, non andate tanto lontani dal vero, ma non è questa la strada che voglio qui percorrere.

Potrei semmai buttare sul tavolo il jolly di un altro brano presentato sempre all’Ariston, L’odore del mare, nel 1987, brano che chiunque abbia anche solo vagamente amato il mare non può non sentire propria, Dio come è vero che l’odore del mare è il solo in grado di far passare la rabbia, e quell’incipit, “Se penso al mondo come a un’armonia, tutto è giusto sia così”, parole di quel Guido Morra che tanto bene ha fatto anche al fianco di Gianni Togni, ve ne parlavo giorni fa. L’odore del mare è contenuto in un album che si intitola Nudi, e qui il passaggio al mondo delle pin-up mi verrebbe anche troppo comodo, non mi piace vincere facile, lo sapete, sono troppo contorto per fare un gol a porta vuota, piuttosto mi stenderei in terra e proverei a spingerla dentro di testa, finendo per passare per uno scemo che vuole a tutti i costi fare il fenomeno, uno che impenna in bicicletta anche al parcheggio, da fermo.

Se oggi voglio parlare di Eduardo De Crescenzo è perché lo ritengo uno dei nostri più grandi artisti, immeritatamente messo in un angolo dal sistema negli ultimi anni. E comunque Nudi, nei fatti, sancisce in qualche modo uno snodo nella carriera di De Crescenzo, artista dotato di una vocalità unica in Italia, nonché di una capacità di utilizzarla altrettanto unica, una sorta di Billy Joel italiano, un po’ crooner un po’ swingatore, da questo momento in poi più orientato verso sonorità rivolte al sud del mondo, alcuni lavori come i successivi Cante Jondo, trainato dalla canzone presentata sempre a Sanremo E la musica va, e Danza danza in qualche modo certificheranno un suo essere diventato alfiere del genere world, fatto che più avanti lo vedrà ulteriormente approfondire certe sonorità fino a diventare a tutti gli effetti un interprete jazz, sorte per altro condivisa con un collega a sua volta un po’ uscito di scena come Nino Bonocore, come lui napoletano e come lui titolare di una delle nostre canzoni pop più belle di sempre, Scrivimi.

Brani come Quando l’amore se ne va, tratto dall’esordio Ancora, Mani, dal successivo Amico che voli, Dove c’è il mare, Il racconto della sera, scritta con Eugenio Bennato, e Come mi vuoi, una perla scritta da quel genio pop mai abbastanza osannato che risponde al nome di Mariella Nava, cantautrice che andrebbe assolutamente celebrata, al momento impegnata in un progetto con Rossana Casale e Grazia Di Michele, come le già citate Ancora e Nudi nudi sono perle della nostra musica leggera, recentemente reinterpretate dello stesso De Crescenzo secondo i suoi nuovi stilemi, quelli jazz.

Queste perle andrebbero esposte, come si fa coi tesori della regina nelle nazioni che hanno avuto o hanno una monarchia. Sarà mia premura farlo, un gioiello alla volta.

Non credo che il mondo, per citare proprio L’odore del mare, al momento sia una grande armonia. Anzi, penso che sia assolutamente dissonante, come scritto da uno sperimentatore o magari, semplicemente, interpretato da chi non ha saputo mettere bene lo spartito sul leggio. Ma penso davvero che in questi giorni confusi e anomali l’odore del mare potrebbe scacciare via quella rabbia che chiunque di noi sente montare dentro, ognuno per motivi personali che da una situazione globale di emergenza muovono i propri passi. In assenza di mare mi accontenterò di ascoltare la sua musica come balsamo, non nudo come De Crescenzo cantava in quello stesso album, non sono una pin-up, io, ma con l’anima nuda, perché a volte basta chiudere gli occhi e aprire cuore e orecchi per trovarsi lì, tra salsedine e sciabordio delle onde.