I bauli in Piazza Duomo come casse da morto

La protesta degli operatori dello spettacolo riguarda tutti noi. Se la catastrofe dovesse diventare definitiva la musica per come la conosciamo non ci sarà più

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Piazza duomo, a Milano, invasa da oltre mille bauli. Oltre mille lavoratori dello spettacolo, fonici, musicisti, tecnici di palco, delle luci, ingegneri del suono, impossibile nominarli tutti, vestiti di nero, non perché il nero sia cool, almeno in questo caso, ma perché da noi il nero è anche il colore del lutto, oltre che di certo rock, lì, dietro quei flight case, questo il nome preciso di quei bauli, a cristallizzare una situazione senza precedenti. Oltre sette mesi di fermo quasi totale per il comparto dello spettacolo, fermato da decreti del presidente che, diciamolo, hanno usato nei confronti del mondo dello spettacolo una rigidità assai più ferma di quanto non abbiano fatto con tutto il resto, niente concerti, niente eventi, niente spettacoli in piazza, niente spettacoli teatrali. O meglio, concerti e spettacoli ce ne possono essere, ma con numeri molti ridotti, molto molto ridotti. Ce ne sono stati e ce ne sono, almeno finché non arriveranno nuove restrizioni, brandite come spauracchio dai media incaricati, sembra, di tenerci tutti un pochino imballati nel terrore.

Una previsione di futuro prossimo, di qui l’idea di Bauli in piazza, di qui l’idea di occupare simbolicamente uno dei luoghi più belli e evocativi di quella che è a suo modo la capitale italiana della musica, a Milano ci sono le principali case discografiche, parlo di major, a Milano ci sono i principali network radiofonici, a Milano ci sono praticamente quasi tutti i promoter, un modo per dire, non dimenticatevi di noi, non abbandonateci a un destino fatto di fame e, metaforicamente, morte.

Tutto sacrosanto.

Tutto condivisibile, anche se i media tradizionali col cazzo che l’hanno condiviso.

Tutto da raccontare e raccontare, perché se la musica e lo spettacolo fanno parte della nostra vita, o ne facevano parte fino a qualche mese fa, se cioè tutto questo ha contribuito a farci star bene e a farci anche crescere culturalmente, lo si deve non solo agli artisti, quelli che ci mettono arte e faccia, ma a quanti lavorano dietro le quinte, sopra le quinte, a di fronte alle quinte, i famosi lavoratori dello spettacolo, gente al momento ferma al proprio destino.

Il mondo dello spettacolo è alla fame, questo il messaggio di Bauli in piazza, e confesso, fatemi un secondo alleggerire il discorso, a breve avrò modo di essere molto molto pesante, quando ho letto l’hashtag, prima di capire di che si trattasse, pensavo che la Bauli, l’azienda veneta di pandori, stesse in difficoltà, supponevo a priori sempre causa covid, e credevo ci fosse una di quelle iniziative social per sostenerla, come per la Rummo dopo la famosa alluvione. Invece non era Bauli, ma bauli, i flight case, appunto, quei contenitori neri con le rotelle dentro i quali si trova tutta l’attrezzatura che serve per i concerti e gli spettacoli, tutta tutta.

Proviamo allora a fare un attimo il punto della situazione. Di iscrivere, quindi, Bauli in piazza in un disegno più ampio, in una parola: contestualizziamo.

Quando siamo finiti tutti, o quasi, dentro casa, col lock down di marzo, diciamo qualche settimana dopo quella mossa, per intendersi a primavera inoltrata, quando era evidente che certi eventi di massa che si sarebbero dovuti tenere in grandi arene e stadi, AssoMusica ha sostanzialmente fatto un atto abbastanza discutibile. È AssoMusica, la associazione di categoria che rappresenta le aziende che operano nel mondo dello spettacolo, perché mai avrebbe dovuto o potuto fare qualcosa di non discutibile? Questa la vera domanda. Nei fatti loro hanno dichiarato la resa incondizionata. Hanno sostanzialmente detto che il mondo dello spettacolo, io mi occupo di musica, non di cinema o teatro, ma facciamo a capirsi, si sarebbe fermato in blocco, ci rivediamo nel 2021. Il che andava di pari passo con il decreto di Conte che prevedeva un voucher per tutti quei concerti che si sarebbero tenuti l’anno venturo, fatto che ha fatto incazzare non pochi spettatori, gente che nel 2019 ha speso anche fior di quattrini per biglietti che sarebbero diventati validi due anni dopo. La mossa di AssoMusica ha fatto incazzare a sua volta una parte dei suoi iscritti, i più piccoli, in prevalenza, gente che voleva comunque provare a organizzare eventi con le restrizioni del caso volute dal governo, restrizioni, va detto, molto più radicali di quelle previste per quasi tutto il resto. Così c’è stata una sorta di spaccatura, alcuni, penso a Barbaro di OTR, che ha portato durante l’estate i suoi artisti in giro per l’Italia, certo in momenti meno di massa del previsto, ma comunque c’era, che gridavano a una sorta di benigna rivolta interna al sistema, altri, le major dei live, che se ne stavano fermi a riprogrammare i grandi eventi per l’anno prossimo. Ci sono state eccezioni, noto è il caso di D’Alessandro e Galli che prima ha emesso voucher per i biglietti di Paul McCartney, che nel mentre ha però annullato la data, e in un secondo momento si è trovata a dover restituire il costo del biglietto a chi lo aveva comprato. Insomma, un bel casino.

Nel mentre è accaduto questo. Non sono praticamente usciti album, o ne sono usciti pochi, parlo di artisti mainstream. Perché? Semplice, prima del Covid succedeva questo. Tizio usciva con un album. Negli stessi giorni annunciava un tour negli stadi o nei palasport e a breve giro iniziavano le prevendite. Il tour era previsto l’anno successivo, ma l’uscita dell’album serviva appunto da volano per la prevendita. Tutto vagamente dopato, sia il fatto che ci fossero così tanti tour in palasport e stadi, sia il fatto che col giochino della prevendita si facesse cassa così tanto tempo prima, ma i grandi eventi prevedono un lavoro che parte da lontano, ormai questa era diventata la consuetudine.

Coi megaeventi del 2020 rimandati al 2021 è successo che quelli che sarebbero dovuti andare naturalmente in tour nel 2020, penso ai Negramaro, per fare un nome che da un po’ hanno saltato il giro, non sono usciti. Tirare fuori un album nel 2020, senza poter lanciare una prevendita di biglietti per il 2021 sembrava brutto, era come azzopparsi da soli. Così si è tergiversato e rimandato il tutto all’anno prossimo. Sono usciti i soliti rapper, gente che però a ben vedere funziona più in streaming che coi live, ma i grandi dischi non sono usciti. Almeno fino a ora. Fatto che per altro apre un ulteriore scenario: quando le major, anzi, per dirla col Bianconi del bellissimo Certi uomini “i morti della Warner, dell’Universal e della Sony”, rientreranno dei mega anticipi dati un pochino a vanvera a artisti quali Achille Lauro (dicono circa sei milioni di euro), Tommaso Paradiso (tre milioni) e Fabri Fibra (un paio di milioni)? Domanda che, come cantava Dylan, resta in balia del vento.

Perché adesso si profila questo scenario, e prima di descriverlo devo fare una deviazione sul percorso, ci sarete abituati.

Nel corso degli ultimi anni, diciamo degli ultimi cinque anni almeno, mi sono ritagliato il ruolo di quello che sta lì, vestito anche da giullare, direbbe uno dei miei amici a quattro zampe, a dire che “il re è nudo”. L’ho fatto evidenziando un sacco di storture, non fatemele tristemente elencare tutte, sono online, andatevele a cercare. Ho raccontato di un sistema marcio, di finti sold out, di conflitti di interessi, e tante altre cose. Sono stato a lungo Cassandra che annunciava la morte imminente. Poi sono passato a essere Plinio il Giovane che dice che è arrivata l’eruzione del Vesuvio e sono morti tutti. Potrei ora star qui a dire: “ve l’avevo detto”. Potrei anche aggiungere un “pappappero” di rito, perché negli anni questo mio star lì a fare il guastafeste mi ha procurato non poche rotture di coglioni, ostracismi, dispetti, censure, perdite di collaborazioni.

Solo che fare quello che ride sui cadaveri non è divertente, o almeno non lo è per me. Specie sui cadaveri di chi, a ben vedere, di quei meccanismi era ingranaggio e non motore, tantomeno mente.

Mi spiego. Quando il governo ha annunciato il blocco dei live e il provvedimento dei voucher, molti hanno applaudito, parlo di AssoMusica e delle major, perché, dicevano, era il solo modo per non spingere alla fame i lavoratori dello spettacolo. Così è iniziata una narrazione fatta di montatori di palco, tecnici delle luci, fonici, musicisti e via discorrendo. Peccato che, e a dire il vero era ovvio, a quei lavoratori dello spettacolo dei soldi dei biglietti tramutati in voucher non è arrivato una beata minchia, perché i lavoratori dello spettacolo vengono spesso pagati a giornata, perché nessuno ti paga oggi lo stipendio per qualcosa che farai tra un anno, e perché, più in generale, le major tendono a essere particolarmente affezionate ai proprio danari. Delicata su questo fronte la situazione degli artisti, perché alcuni di loro, quasi tutti, una parte dei soldi li avevano presi, perché ovviamente sono stati quelli bersagliati dalle proteste degli acquirenti dei medesimi biglietti, e perché più in generale in molti casi hanno letteralmente aperto il portafogli per sostenere i propri lavoratori, o organizzando live dai quali non traevano entrate, ci sono i casi di Red Canzian, di Max Gazzé e tanti altri, o pagando nel segreto del confessionale quello che le major non hanno pagato. Va anche detto che il problema era a monte, perché se le major avessero pagato oggi gli stipendi dell’anno prossimo, è evidente, poi il problema si sarebbe manifestato nuovamente nel 2021, con lavoratori dello spettacolo costretti a lavorare per uno stipendio già preso un anno prima. La soluzione sarebbe potuta essere un contributo serio da parte dello stato, e per contributo serio non si intende un bonus di 600 euro una tantum, ovviamente, per altro neanche previsto per tutti.

Un bel casino, ripeto. Che ora rischia di trasformarsi in una vera e propria carneficina. Perché non sta ancora circolando ufficialmente, ma vista la china che l’emergenza pandemica sta prendendo, non credo sia necessario citare il prolungamento dello stato d’emergenza, le nuove restrizioni, l’aumento dei casi, comincia a essere chiaro a molti, se non a tutti, che tutto ciò che è stato rimandato al 2021 rischia di saltare definitivamente. Mi spiego, e non si legga nessun compiacimento in queste parole, non c’è, anzi, c’è addoloramento sincero.

Organizzare un megatour negli stadi prevede un lavoro che parte da molto lontano, avete già letto di ciò quando parlavo di prevendite. Organizzare un megaevento, tirare quindi fuori bei soldi per allestire palchi, disegnare luci, lavorare al suono, ma anche arrangiare i brani, provarli e via discorrendo, è impensabile in queste condizioni. Chi si prenderebbe il rischio di spendere soldi che potrebbero svanire nel nulla, col rischio poi di dover comunque ridare indietro il costo del biglietto?

Sì, sto parlando di questo. Dell’annullamento dei tour previsti per il 2020 e slittati al 2021. Almeno di quelli grandi, di massa. Perché, faccio un esempio concreto, quelli piccoli e medi ci sono stati e continuano a esserci. Per dire, nelle ultime settimane al BlueNote di Milano ci sono stati quattro sold out di Matthew Lee e due di Sergio Caputo. Annullamento dei grandi eventi del 2020 slittati al 2021, quindi, perché pretendere che chi ha comprato biglietti nel 2019 se li veda slittare di un altro anno credo sia impensabile. Quindi un settore davvero allo sfascio, perché ovviamente succederà che chi può punterà su altro. L’uscita imprevista di nuovi album, penso a Tiziano Ferro e le sue cover (mossa strana, per altro, perché da quelle guadagneranno, poco, gli autori delle canzoni), ma anche a Baglioni, a Vasco che è tornato in studio nonostante avesse detto, a me nel libro che abbiamo firmato insieme, Vasco Non Stop, che non era più intenzionato a farne. Quello messo peggio, in tal senso, sembra Ultimo, che a differenza dei suoi colleghi impegnati in grandi eventi, non ha uno storico così importante, per intendersi, non riceve lauti assegni dalla SIAE, non ha accumulato ricchezze in precedenza, non ha fidelizzato così tanto il suo pubblico, a poco varrà, immagino, l’uscita a breve di un nuovo singolo, Supereroi, che darà il titolo al nuovo film di Paolo Genovese (scooooop), perché anche al cinema, al momento, non ci sta andando più nessuno.

Qualche programma televisivo, da Nek alla Mannoia sembra che gli artisti di casa Salzano punteranno in quella direzione con ancora maggiore vigore, tanto più che Orfeo è tornato a coprire un ruolo dirigenziale importante.

Dio solo sa cos’altro. Ma molti non faranno nulla. Non tireranno fuori nuovi album, perché non ci saranno tour da annunciare, non ci sarà modo di fare presentazioni e firmacopie, a parte quelli tristissimi con mascherine e plexiglass, non andranno in giro, imploderanno.

Non ci sarà neanche il Festival di Sanremo, per i medesimi motivi. Dove metteranno l’orchestra, con un palco così piccolo? Come gestiranno gli artisti, visto che il backstage dell’Ariston è un buco? Soprattutto, come pensano di poter gestire l’assenza di gente in giro per Sanremo, gli alberghi, i bar, i ristoranti, le strade? Si è già capito dalle parole di Amadeus e di Fiorello che quello è il destino, non prendiamoci (o prendeteci) per il culo. Senza Sanremo ci sarà tutta una serie di altri artisti che non faranno nulla, quelli che intorno alla kermesse abitualmente ruotano. Niente album. Niente tour. Niente di niente.

Di fronte a tutto questo il grido di dolore e l’invocazione di aiuto di Bauli in piazza prende un aspetto agghiacciante, più di quanto già non lo sarebbe stato. Perché se l’anno di fermo, praticamente già archiviato, dovesse davvero diventare almeno due, i tour internazionali sono saltati in molti casi, alcuni non sono stati neanche pensati, si pensi agli AC/DC, ma anche chi ha provato, anche in maniera furbetta, a tirare fuori date per tour nuovi, penso a Fiorella Mannoia, lei fuori a breve con un disco nuovo, ha visto un fermo di prevendite più che comprensibile ma senza precedenti. In sostanza nessuno oggi spende soldi per concerti che forse ci saranno tra mesi, non per mancanza di ottimismo, ma perché appena passato da un certo bruciore di culo.

Io credo, ma ovviamente il mio ruolo non è quello di dare risposte, quanto più di aprire dubbi e fare domande, che il governo dovrebbe prendere seriamente sul serio il mondo dello spettacolo. La SIAE vende i suoi palazzi, la FIMI parla di un presente radioso, ma è ormai evidente a tutti che Spotify e lo streaming sono un grande bluff, il fatto che i vari De Luca, Salzano, Trotta (no, Trotta è l’unico che da mesi sta provando a parlare a voce alta, ipotizzare soluzioni, aprire spiragli, indicare cul de sac) non abbiano già detto chiaramente cosa non succederà nel 2021 potrebbe sembrare solo un modo come un altro per rimandare a domani un problema che già oggi è piuttosto evidente, ma il fatto che esista questo problema non può essere affrontato con un semplice “cazzi loro, ci dovevano pensare prima”, è un problema che riguarda tutti, in modo particolare quelli che manifestavano dietro i bauli in piazza Duomo, riguarda anche chi, come me, scrive di musica, se non ci sono concerti non avrò concerti da raccontare, ma non è solo questo. Riguarda anche voi che leggete, perché se mai la catastrofe dovesse diventare definitiva probabilmente la musica per come la abbiamo conosciuta in vita nostra non ci sarà più e non sarebbe sicuramente una buona notizia.

Non lasciate da solo il mondo dello spettacolo, quindi, evitate che al posto di quei bauli, domani, ci siano delle casse da morto.