E poi arriva Samuele Bersani e impedisce al mondo di fare Harakiri

Ho ascoltato il nuovo album di Samuele Bersani e di colpo è come se tutto quanto di brutto abbiamo vissuto quest’anno, non fosse mai esistito


INTERAZIONI: 1349

Come in quella vecchia canzone di Elio e le Storie Tese, sono abitudinario. La mattina, quando mi alzo, faccio tendenzialmente sempre le stesse cose, nello stesso ordine, nello stesso tempo. Nello specifico, mi alzo, vado in cucina e preparo il caffè per me, mia moglie e mia figlia grande. Nel mentre, se è andata nella notte, svuoto la lavastoviglie, non prima di aver tirato su le tapparelle attento a non fare troppo rumore, ché i vicini del piano di sotto rompono sempre le palle che li svegliamo e loro sono in pensione e potrebbero dormire fino a tardi, hanno la camera da letto sotto la nostra cucina e sono gli unici anziani che non dormono poco e non se ne stanno in pizzo al letto come nella canzone I vecchi di Baglioni, credo. Poi, venuto su il caffè, lo verso nelle tazzine per mia moglie e mia figlia grande, lei nel mentre è in bagno che deve andare a scuola, e mi verso il corrispettivo di tre tazzine in una tazza, dove aggiungo un po’ di latte freddo. Ci inzuppo due biscotti secchi, bevo e vado verso il nostro bagno, quello che usiamo io e mia moglie. Prima passo dalla camera, dove prendo gli occhiali da lettura, pulisco le lenti e li appoggio sulla fronte, poi stacco lo smartphone dal caricatore, che ahimé lascio perennemente attaccato, non me ne voglia Greta, e vado in bagno. A questo punto, nel silenzio della casa dove ancora mia moglie e gli altri nostre tre figli dormono, cago. Sono abitudinario, ripeto, ho una sorta di gesti che seguo quotidianamente. Non con ossessione, se per un qualche motivo la routine viene spezzata non vado in sbattimento, in paranoia, né prevedo chissà quali catastrofi, ma tendenzialmente, potendo, seguo quei passi, uno alla volta, tutti quanti.

Mentre sto seduto sulla tazza del cesso, mi concedo in genere una decina di minuti, mi piace fare le cose con calma, mando le mail che nella notte mi sono venute in mente io debba mandare con urgenza, in genere sono mail nelle quali ricordo a qualcuno per cui ho fatto un lavoro che non mi ha ancora pagato, la dura vita del free lance, poi controllo i social. Dopo aver controllato i social mi sposto sui quotidiani nazionali, e chiudo con quelli musicali.

È stato così, per dire, controllando i social, che l’altro giorno ho scoperto che il porto della mia città natale, Ancona, era andato in fiamme nella notte, con conseguente nuvola tossica di fumo nero che ha invaso la città. L’ho letto su Facebook, e siccome ho letto un comunicato del Comune che diceva che le scuole e i parchi pubblici sarebbero rimasti chiusi, e che si invitava la cittadinanza a tenere le finestre chiuse, ho chiamato i miei genitori e mia suocera per avvisarli. Sono su Facebook, anche loro, ma immagino con meno assiduità di quanto non ci sia io.

L’incendio del capannone contenente non si è ancora capito bene che tipo di sostanze chimiche è finito su tutti i quotidiani e i Tg nazionali. In genere se Ancona finisce da quelle parti è sempre per qualcosa di tragico, un omicidio, una catastrofe ambientale, roba così. Quest’anno, per dire, c’era finita recentemente, a dire il vero per il tempo di uno sbadiglio, perché il 30 agosto, giorno nel quale per altro l’ho lasciata, la mia città, per tornare a Milano, c’è stata una grandinata tropicale che ha devastato mezza città, danni alle auto parcheggiate in strada, alle finestre, alberi caduti. La seconda catastrofe nel giro di un paio di settimane, ha fatto notare qualcuno, sempre sui social. Del resto questo 2020 non si sta facendo mancare nulla, non credo sia necessario sottolinearlo. Siamo partiti col rischio di un terzo conflitto bellico mondiale, Trump che minacciava di bombardare l’Iran, siamo incappati nella pandemia delle pandemie, perché checché la si continui a paragonare alla Spagnola o all’Asiatica, dai, non scherziamo, per noi questa è stata la vera prima grossa pandemia, quella che ci ha tenuti in casa due mesi e passa, e che ancora ci minaccia, abbiamo avuto conflitti razziali negli USA che hanno portato effetti anche da noi, omicidi cruenti, casi di sessismo e di inciviltà, alluvioni, mareggiate, incendi. Insomma, un bell’anno di merda.

Come in quella vecchia canzone di Elio e le Storie Tese, sono abitudinario. E stamattina, quando mi sono seduto sulla tazza del cesso, ho scoperto che è uscito il nuovo singolo di Samuele Bersani. So che in apparenza può sembrare irrituale parlare dell’uscita di un nuovo singolo di un cantautore confessando di averne appreso l’uscita stando seduti sulla tazza del cesso, ma è appunto apparenza, tocca che vi impegniate e proviate a andare oltre. Perché quando ho visto che alcuni miei contatti, la mia bolla social ha quantomeno un ottimo gusto musicale, uno non è che passa le giornate a bannare bimbiminkia e fan di Emma Marrone a caso, avevano condiviso il brano, pur rimanendo al mio posto, sempre quello, ho sussultato. Sapevo dell’uscita dell’album Cinema Samuele il prossimo 2 giugno, so che a questo lavoro ha lavorato Pietro Cantarelli, per altro autore di uno dei pochi validi motivi per non dichiarare del tutto apocalittico questo anno di merda, quell’Ho amato tutto che Tosca ci ha regalato a Sanremo e che ancora oggi rimane lì, in tutta la sua potente bellezza, so che ci ha fatto aspettare sette anni e passa, un tempo che, stando a quel che dice Daniel Ek, il CEO di Spotify, avrebbe dovuto vederlo uscire con circa quattrocento canzoni, una al mese, ma che invece gli saranno serviti, questo mi dicevo, per prendersi cura del proprio talento, oltre che della propria esistenza, e tirare fuori qualcosa al suo livello, e stiamo parlando di uno dei più grandi cantautori italiani viventi, uno dei pochi grandi cantautori italiani viventi, andiamo oltre.

Sapevo tutto questo, ma fino a questa mattina, seduto sulla tazza del cesso, nulla più sapevo di quanto la mia immaginazione, e un piccolo lacerto di testo apparso online, mi poteva lasciar intendere. Così, sempre i pantaloni appallottolati sulle caviglie, so che è una brutta immagine, ma la luce senza ombre abbaglia e basta, con le dovute ombre si manifesta per quel che è, luce appunto, ho fatto il mio primo incontro con Harakiri, questo il titolo del brano incaricato di introdurci al nuovo album di Samuele Bersani, e di colpo, so che sembra incredibile, è come se nulla di tutto quello che abbiamo vissuto quest’anno, tutto quanto di brutto vissuto quest’anno, fosse mai esistito. Non ero più seduto lì, sulla tazza del cesso del bagno, ma in un posto carico di poesia, quella poesia stralunata e malinconica che attraversa tutte le canzoni di Samuele Bersani, anche quelle più smaccatamente ironiche. Una canzone suonata, quella di Samuele, una canzone che ci racconta una storia, questo ha sempre fatto, bene come nessun altro, “il cielo si aprì a serramanico”, mi dite voi chi cazzo saprebbe oggi tirare fuori una frase come questa, solo una tra tante contenute nel testo, testo che comincia epicamente così “Stava facendosi harakiri, chiuso in cinema porno francese, ma dopo i primi tentativi, “non è il momento”, disse, poi si arrese agli sviluppi della trama, alla profondità dei dialoghi”, roba talmente evocativa e pulsante, da indurre alle lacrime un uomo di cinquantun’anni seduto sulla tazza del cesso, fidatevi.

Poi, è ovvio, siamo ancora dentro questo 2020 così tragico, le canzoni possono sublimare il male, il brutto, e curarci le ferite, non certo cancellarli, non prendetemi alla lettera, non ve l’ho mai proposto, ma non so, per me sapere che da qualche parte c’è, e c’è anche stato durante il lock down, le sirene delle ambulanze che tagliavano il silenzio assordante della città pietrificata, Samuele Bersani che prova a accarezzarci l’anima, la voce profonda, gli arrangiamenti suonati, Cristo santo, gli strumenti, l’armonia, non solo la melodia, l’armonia, mi è sembrata una cosa così bella da meritare una menzione d’onore, al punto da arrischiare di passare per insensibile per aver detto che una canzone può equilibrare le sorti di un anno funesto come questo. Harakiri è un gioiello, e come tutti i gioielli è destinato a rimanere nel tempo, ben oltre noi, il suo autore e tutto quello che i futuro ci riserverà. Già l’idea di un futuro, a questo punto, sembra plausibile, e fino a ieri non ci avrei scommesso più di tanto.

Mettiamola così, il mondo stava facendo harakiri, in un cinema porno francese, poi è arrivato Samuele e lo ha indotto a tornare sui suoi passi. Ripartiamo da qui.