Il compleanno di Carlos Santana batte il numero 73, e in così tante primavere il chitarrista più autorevole del rock latino ha percorso tante strade. Lo abbiamo visto incendiare Woodstock il 16 agosto 1969, quando con Soul Sacrifice scrisse uno dei capitoli più importanti del rock psichedelico grazie a quell’assolo infinito.
Lo abbiamo visto distruggere i dancefloor con Corazon Espinado, quel featuring con Fernando Fher Olvera dei Manà e ancora oggi, Santana, fa decollare i sensi con Africa Speaks (2019), che non suona affatto come l’opera di un vecchio artista che cerca di riconciliarsi con se stesso.
Probabilmente Santana deve tutto al sangue artistico della sua famiglia: il padre José era un violinista mariachi e suo nonno Antonino suonava il corno francese. Certamente, però, quando non aveva ancora 20 anni e aiutava la famiglia facendo il lavapiatti aveva ben chiaro quale fosse il suo sogno: tra una spruzzata di detersivo e un grembiule sporco Carlos, già chitarrista autodidatta, visitava di nascosto il Bill Graham’s Filmore Auditorium dove si esibivano, tra gli altri, Muddy Waters e i Grateful Dead.
Nel 1966 entrò nella neonata formazione di Tom Frazier e iniziò la leggenda. Rampa di lancio fu quell’esibizione a Woodstock che oggi lo affianca, e con merito, a Jimi Hendrix e a tutti gli artisti che hanno scritto la storia della psichedelia.
La sua capacità è coniugare la sensualità e il calore latino con il rock e i suoi virtuosismi, e nonostante non sia sempre contemplato tra i migliori chitarristi del mondo resta un altissimo esempio di versatilità e sapienza.
Negli anni ha accarezzato il pop, il free jazz, il rock, la salsa e la fusion senza mai sbagliare un colpo. Lo ha fatto con Supernatural (1999), una sorta di corso di aggiornamento sulla sua carriera rivolto alle nuove generazioni.
Il compleanno di Carlos Santana è una festa del rock latino, proprio così, perché quando un artista riesce a sdoganare un genere circoscritto in un territorio allora è il caso di parlare di una leggenda.