Il 18 marzo 1977 usciva White Riot dei Clash, il singolo di debutto dopo la rivolta dei neri a Londra

Un anno dopo i disordini di Notting Hill Joe Strummer e soci vollero invitare l'uomo bianco a prendere esempio dal fratello nero


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I primi secondi di White Riot dei Clash erano scanditi dal conto dei quarti del chitarrista Mick Jones: “One, two, three, four!”, quattro numeri che poi diventavano un piatto tipicamente punk dal sapore di ribellione, rivoluzione e incitamento all’azione.

Con quattro numeri iniziò la leggenda di Joe Strummer e soci, il primo brano della band britannica che arrivava nello stesso anno in cui i Sex Pistols lanciarono Never Mind The Bollocks ma dai quali i quattro futuri firmatari di Rock The Casbah si discostavano già per rispondere a un’esigenza più street e meno distruttiva.

White Riot dei Clash, con quel titolo ambiguo, scatenò non poche polemiche – le stesse esplose per White America di Eminem – ma nel testo scritto da Joe Strummer non si parlava affatto di guerra razziale: il frontman, un po’ metaforico e un po’ semanticamente impegnato, voleva incitare l’uomo bianco a ribellarsi dal momento in cui il mondo dei neri aveva già fatto la sua rivoluzione.

La rivoluzione del 30 agosto 1976

In antefatto, infatti, c’era quel brutto episodio del 30 agosto 1976 quando i giamaicani londinesi si ribellarono alla repressione della polizia britannica che senza validi motivi li aveva manganellati durante un corteo.

Per la comunità giamaicana, composta soprattutto da immigrati, era l’ultimo giorno del Notting Hill Carnival, una parata che si teneva ogni anno per le strade della città. Mentre i giovani rasta si riversavano per le strade per il loro corteo un cordone di 1600 poliziotti li cingeva, in tenuta antisommossa, e già si respirava il presagio che qualcosa sarebbe accaduto.

Joe Strummer e Paul Simonon erano ancora dei signori nessuno, ma già respiravano punk e reggae nei frenetici DJ set del Roxy Club in cui il producer Don Letts aveva insegnato ai bianchi cosa fosse la musica in levare.

Quel pomeriggio, il 30 agosto 1976, scelgono di andare a Notting Hill per unirsi alla festa della comunità giamaicana, ma c’è tensione. Sì, c’è tensione perché i “neri” che abitano a Londra sono snervati dagli episodi di razzismo delle forze dell’ordine, che negli ultimi anni non hanno fatto altro che arrestare e malmenare inermi cittadini colpevoli di non essere bianchi.

Una violenza che quel pomeriggio si consumava di nuovo dalle bocche di alcuni agenti, che avevano preso di mira un rasta presente nel corteo con insulti gratuiti. Allo scontro verbale si unì presto quello fisico: gli agenti rincorsero il ragazzo e iniziarono a manganellarlo, ma tutti i presenti non rimasero ad assistere impassibili. Si creò un parapiglia e Joe Strummer e Paul Simonon videro tutto.

Videro soprattutto la voglia di ribellione della comunità nera, che con quei sassi e quei mattoni lanciati contro le camionette avevano scelto di dire basta alla repressione. “Dovremmo fare come loro”, disse Strummer a Simonon, “Noi bianchi continuiamo a fare i perfettini perché non vogliamo andare in galera”.

L’anno dopo uscì White Riot dei Clash, che nel frattempo erano diventati una band solida e con tante cose da dire. Il singolo di debutto divenne la traccia 4 del primo album, The Clash, uscito l’8 aprile 1977 e forte di perle di potenza come London’s Burning e I’m So Bored With The USA.

Il brano aveva la tipica velocità del canone punk con frasi ripetute, batteria frenetica e dinamiche che ricordavano i Ramones. Una semplicità che per il chitarrista Mick Jones divenne motivo di insofferenza qualche anno più tardi, tanto da scegliere di non suonarla più dal vivo.

Se poi quella di oggi è la ricorrenza di White Riot dei Clash come unico biglietto da visita della band di Joe Strummer, una menzione speciale va al b-side del singolo, quella 1977 in cui il testo stoccava pesantamente i luoghi comuni del rock di quegli anni: “No Elvis, no Beatles, no Rolling Stones in 1977”, perché il punk era proprio questo.

Dita medie sollevate al cielo – no, forse le dita erano a V – per dimostrare che i figli dei fiori avevano fallito, che la rivoluzione pacifica non aveva funzionato e che Peace And Love era stata soltanto una bella favola. White Riot dei Clash, un po’ come Anarchy In The UK dei Sex Pistols poneva fine all’illusione di un mondo che poteva cambiare con il semplice linguaggio intellettuale dell’amore.

Eppure tutto quell’amore non si era visto: Vietnam, segregazione razziale, muro di Berlino, assassinio di Kennedy e tante altre cose simpatiche che forse dovevano ancora far riflettere.

Questa era White Riot dei Clash: un inno all’azione dell’uomo bianco che solamente un anno prima aveva avuto una lezione dal fratello nero.