Odio L’Estate, il felice ritorno di Aldo Giovanni e Giacomo

Torna Massimo Venier alla regia. E con lui il trio ritrova la vena migliore. Lo spunto è da farsa, la convivenza forzata di tre famiglie in vacanza. Ma il racconto è agrodolce, più commedia sentimentale che film comico

Odio L’Estate

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Dopo la deriva senile di un film sbagliato come Fuga Da Reuma Park, Aldo Giovanni e Giacomo cambiano direzione con Odio L’Estate. Non compiono una rivoluzione, semmai tornano intelligentemente a quello che sanno fare meglio. A partire dalla ricomposizione della squadra con Massimo Venier, il regista di tutti i loro primi film col quale le strade si erano separate dai tempi di Tu La Conosci Claudia, ormai quindici anni fa.

Accanto a loro, per irrobustire la storia, due sceneggiatori accorti come Davide Lantieri (Il Colore Nascosto Delle Cose, Lasciati Andare) e Michele Pellegrini (la serie La Mafia Uccide Solo D’Estate, Troppa Grazia). I risultati si vedono. Lo spunto è da farsa: tre famiglie da Milano vanno in Puglia per le vacanze estive, scoprendo, colpa dell’agenzia turistica, di aver prenotato la stessa villetta al mare.

Ovviamente i tre nuclei familiari sono agli antipodi e così i capifamiglia. Aldo (Baglio) è pigro, ipocondriaco, con moglie (Maria Di Biase) e tre figli esuberanti e d’estrazione più piccolo borghese. Giovanni (Storti) è un tipo preciso fino alla noia, come non mancano di fargli notare moglie (Carlotta Natoli) e figlia. Giacomo (Poretti) è un dentista di successo, ossessionato dal lavoro, con moglie altoborghese nevrotica (Lucia Mascino) e figliastro in piena crisi di preadolescenza.

Grazie ai saggi consigli del maresciallo dell’isola (Michele Placido) si rassegnano alla coabitazione. Odio L’Estate però non indugia più di tanto sugli sviluppi comici offerti dalla convivenza forzata – con Giovanni che cerca di imporre pignolissime regole ampiamente disattese –, e preferisce invece scavare nelle dinamiche relazionali tra i personaggi, mescolando divertimento e malinconia. Questo perché, dietro tic e bizzarrie di ognuno, emergono anche fragilità: la serena indolenza di Aldo è legata a una non scontata consapevolezza dei risvolti dolorosi della vita, Giovanni sa che al ritorno dalle vacanze dovrà chiudere l’ormai fallimentare negozio di famiglia, il vincente Giacomo non sa come gestire l’età difficile di un figlio che fatica a riconoscerlo come padre.

Da sinistra: Maria Di Biase, Lucia Mascino e Carlotta Natoli

Le tre compagne non si limitano a fare da controcanto, ma sono caratteri femminili non macchiettistici, ognuna con un proprio spessore (su tutte Maria Di Biase). I personaggi sono sbozzati con cura, anche i piccoli ruoli come quello di Roberto Citran che, in una sola scena, regala al racconto un momento di sgradevolezza che stempera un certo eccesso di buonismo rasserenato di fondo.

Che resta, comunque, la cifra propria del trio, cui Odio L’Estate offre anche l’opportunità del viaggio tutto al maschile in cui Aldo Giovanni e Giacomo possono, pure affettuosamente autocitandosi, dare vita alle loro dinamiche comiche che ben conosciamo. C’è qualcosa di antico in questo film: lo spunto di partenza della convivenza viene addirittura, probabilmente senza volerlo, da una vecchissima farsa cavallo di battaglia di Totò, La Camera Fittata Per Tre, il maresciallo di Placido sa di pane amore e fantasia, il favolistico Massachusetts per Aldo è un po’ com’era Kansas City per Sordi-Nando Mericoni. E la commedia balneare è un sottogenere classico del nostro cinema, non solo vacanziero ma anche introspettivo, da La Spiaggia di Lattuada a L’Ombrellone di Risi.

In Odio L’Estate proprio la vacanza offre il destro a un racconto che slitta dalla frenesia metropolitana (Milano si vede appena) verso una parentesi sospesa rilassata, che regala ai personaggi l’occasione della scoperta e del confronto reciproco. È un tempo rallentato e ovattato, che si gode i vantaggi dell’improduttività e scopre il gusto delle piccole cose, da cui emerge una voglia di sentimenti (anche di sentimentalismo) e gentilezza. Una sensazione da cui lo spettatore si fa coinvolgere, per un divertimento venato di malinconia che offre un rinfrancante senso di familiarità. Più una commedia sentimentale che un film comico, con una virata finale agrodolce che evita le secche fasulle del feel good movie, di fronte alla quale resta l’ironia come dispositivo fondamentale di resistenza e approccio alla vita.