Juliet, Naked – Tutta un’altra musica, ancora una commedia sentimentale alla Nick Hornby (recensione)

Il film tratto da un romanzo del celebre scrittore racconta la storia di una coppia della provincia inglese il cui lui vive nella venerazione di un cantante americano scomparso dalle scene da decenni. All’improvviso l’artista appare nelle loro vite. Sconvolgendole.

Juliet, Naked

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Juliet, Naked è accompagnata da un titolo, Tutta un’altra musica, che è quello della versione italiana del romanzo di Nick Hornby da cui il film è tratto. E siamo indiscutibilmente ben dentro un universo alla Hornby, un autore che, dall’enorme successo di Alta fedeltà in poi, ha conosciuto molte traduzioni cinematografiche dei suoi libri. Che hanno sempre quest’aria di commedie sentimentali un po’ più evolute ed oneste delle quasi sempre fasulle rom-com americane, capaci di inoculare nel racconto una sfumatura dolceamara che sa, se non proprio di vita vera, di vita credibile o possibile.

I personaggi sono dimessi e quotidiani, talora segnati da sconfitte più o meno pesanti, che nell’improvviso incontrarsi sono costretti a meditare su sé stessi e rimettersi in discussione, per capire se la vita possa offrire una seconda occasione. Di solito, l’insieme è condito da un finale ottimistico, supportato da musiche calibratissime che non sono un tappeto di sottofondo e invece il corrispettivo sonoro del carattere e delle emozioni dei protagonisti.

Juliet, Naked non fa eccezione. Annie (Rose Byrne) e Duncan (Chris O’Dowd) sono una coppia immalinconita dal tran tran d’una relazione in piedi da quindici anni. Nella cittadina marittima inglese in cui vivono, lei gestisce un piccolo museo, con la sgradevole sensazione di essersi persa quasi tutta la vita, lui è un docente universitario che vive nella venerazione per Tucker Crowe, un musicista americano misteriosamente scomparso da venticinque anni. La sua insana ossessione lo porta a trascurare Annie, preferendo rintanarsi come un adolescente nella sua cameretta ad ascoltare trasognato le canzoni di Tucker.

La scoperta di un demo acustico del suo unico album di successo avrà delle conseguenze decisive, portando alla rottura della coppia e alla comparsa in scena di Tucker (Ethan Hawke). Il quale non ha niente del guru o dell’artista maledetto: piuttosto è un cinquantenne un po’ malmesso che ha disseminato per il mondo troppi figli, troppe storie e troppe sconfitte. Quello tra Tucker e Annie, in particolare, diventa l’incontro tra due mondi che, sebbene apparentemente agli antipodi, condividono ansie e sensazioni di fallimento assai simili.

In Juliet, Naked agli antipodi per certi versi sono anche gli sguardi del romanzo british di Hornby e quello della regia americana di Jesse Peretz, che soprattutto nell’abbozzo dei personaggi secondari – le gag degli amori improbabili della sorella lesbica di Annie – tendono alla tipizzazione facile da rom-com. Non aiuta una trama ondivaga e frammentaria, decisamente irrisolta. La cifra migliore del film è nella malinconia che aleggia sul terzetto dei protagonisti. Ethan Hawke domina la scena con lo stile svagato e sottotono del rocker in pensione anticipata, fascinoso e stazzonato, e si esibisce anche come cantante in tutti i (molti, troppi) brani della colonna sonora.

Al di là della vicenda romantica che inevitabilmente sboccia tra lui e Annie, il momento più sincero di Juliet, Naked è il confronto tra Tucker e Duncan. Il fan che vive nel suo mito insensato è costretto a misurare la distanza che c’è tra la leggenda che si è costruito e l’uomo reale Tucker, che non dà alcuna importanza alle sue canzoni. Soprattutto, Duncan è obbligato attraverso questa dolorosa presa di coscienza a capire quanto la sua vita sia lontana dall’immagine di sé che si è fabbricato, e quanto ingannevoli fossero tutte quelle cose a cui ha creduto di credere per tanti anni pur di andare avanti. E da qui si capisce la differenza tra una commedia romantica e una commedia alla Nick Hornby.