Animali Notturni dei Fast Animals and Slow Kids è il rock italiano che pedala senza usare le mani (recensione)

La band perugina arriva alla sua prima esperienza con una major, ma non è questo il suo problema


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Più di vent’anni dopo la svolta pop-rock dei Litfiba e dopo il periodo d’oro dei sopravvalutati Timoria, “Animali Notturni” dei Fast Animals and Slow Kids arriva un po’ per ricordarci le origini del declino del rock italiano e un po’ per rispondere ai vetusti che credevano che la musica italiana del Diavolo fosse morta. Non lo è, e la band perugina ne ripropone i canoni in una veste tutta personale. Abbiamo scomodato i Litfiba e i Timoria perché gli anni ’90 erano tutti loro, e quando si parlava di rock italiano tutti facevano il nome di Ghigo Renzulli e Piero Pelù, ma anche di Francesco Renga e Omar Pedrini. Sì, c’era (e c’è ancora) Vasco Rossi, ma qui si parla di band.

La band maledetta di Firenze aveva abbandonato la bellezza della trilogia del potere per scegliere di parlarci di un “diablo” oggi, di un “proibito” che infettava la politica domani e di una misteriosa donna del deserto “che però, quell’arpeggio di Ghigo nell’intro, quanta roba”, mentre la voce potente di Renga era costretta a cantare Sangue Impazzito nel concept di “Viaggio Senza Vento” (1993) e a parlare di cybersex in “2020 Speedball” (1995). Per fortuna quei Timoria non ci sono più e Francesco Renga ha scelto di fare da sé. Non si può dire altrettanto dei Litfiba, che in quel ventennio fatto di “Terremoto” (1993), “Spirito” (1994) e “Mondi Sommersi” (1997) avevano parzialmente fatto ombra sulle loro origini new wave, corrente che li aveva resi portavoce di un’innovazione.

“Animali Notturni” dei Fast Animals and Slow Kids arriva nel 2019 e si fa notare per quel tocco di revival che non fa mai male. La chiacchiera che ha colpito maggiormente la band di Aimone Romizi è quella brutta storia di esser passati a una major: la loro nuova madre, infatti, è la Warner Music Italy e la produzione del disco è stata affidata a Matteo Cantaluppi (Bugo, Ex-Otago, Thegiornalisti), e il risultato è semplicemente un nuovo album dei Fast Animals and Slow Kids. Anticipato da Non Potrei MaiRadio Radio, l’album è “nuovo” in tutti i sensi: arriva a due anni da “Forse Non È La Felicità” (2017), arriva per la prima volta dai canali di una major e traccia una sottile linea di confine con le attitudini alternative-rock del passato, quando i suoni erano più sporchi e buttati lì.

“Animali Notturni” dei Fast Animals and Slow Kids ha una veste sonora più pulita e curata, ma ancora una volta ci confrontiamo con la potenza percussiva di Alessio Mingoli, tra i tanti protagonisti del nuovo lavoro. Proprio la batteria, infatti, apre la title-track, con bacchette che registrano il beat sulle meccaniche e picchiano sul rullante. «Ho paura che sia tardi, se la vita è un lampo io non l’ho visto», canta Aimone quando sottolinea il tempo che passa inesorabile ma che non può cancellare legami storici, ma è un tempo che interpreta il ruolo di una lama che può farci passare dal “non sentirci mai più soli” al “non sentirci mai più”. I beat del disco sono sempre frenetici, e Cinema è quel pretesto che ti fa trovare un attimo di condivisione, ma anche per parlare di cose importanti: «E se domani io e te pensassimo in grande per vivere?».

L’intro onirica de L’Urlo ci inganna, perché dopo pochi secondi scopriamo una canzone inquieta, e il concetto di Edvard Munch si traduce in una voce che rincorre una persona che ha scelto la distanza: «Per te, che hai sopportato la mia vita», da gridare a squarciagola come se avessimo a che fare con Jared Leto e i suoi 30 Seconds To Mars. Se la batteria della strofa imbriglia il groove in un ritmo nervoso e discordante, il ritornello spalanca le braccia e il cuore. Non Potrei Mai si sposta su quel colpo di coda del dolore quasi masochista che tutti proviamo alla fine di una relazione: «Ho ancora un cuore per te da farti consumare», e tutto cade sul morbido con accordi di settima+, anche quando Aimone si ribella al risentimento e cerca di risollevarsi dalla tristezza: «Non ci sei più, e in fondo è forse meglio adesso».

Dritto Al Cuore parla di sé già dal titolo: «Tornare indietro non significa sempre fallire», e di nuovo si rincorre una lontananza alla quale si dedica la propria confessione, la propria ammissione degli errori. Ascoltare Dritto Al Cuore è un po’ come rileggere In Ginocchio Da Te di Gianni Morandi, riscoprendo quello stato di prostrazione di un uomo pentito e maturo, capace di mettersi in discussione anche quando l’arrangiamento è un rock veloce e sostenuto, ma la dolcezza appartiene ai riff della chitarra acustica. Quando parte Canzoni Tristi ci si disorienta nel riconoscere la somiglianza con il sound di Close To The Sun dei Guano Apes, ma siamo più sul territorio degli Smiths di This Charming Man con un brano in cui le parole diventano mani che accarezzano lei sotto la doccia o suoni da ascoltare durante le vacanze al mare.

Percussiva e intensa, Un’Altra Ancora è una ripetizione, una canzone scritta e cantata per lei che non ascolta, ma senza l’attitudine rock delle puntante precedenti: Un’Altra Ancora è il tono severo e pacato che adottiamo dopo aver tentato di ripristinare l’ordine con le grida. Non è tutto, perché se non si può morire d’amore c’è comunque un diavolo in agguato, pronto a prendere il controllo e a tormentarci con un amore tossico che troviamo in Demoni. La negatività è il male da sconfiggere con l’indifferenza: «Che cosa darei per non farci caso, guardare lassù e non sentirsi piccoli». Il demone è quel parassita che condiziona il quotidiano nell’ora del riposo e in quella del lavoro, e la lunga rullata finale è l’esorcismo che accompagna il grido liberatorio finale: «Dimmi, puoi dissuadermi dall’amarti per sempre?».

Radio Radio è il loro manifesto: un libero basso distorto in un libero brano, con un libero testo e un libero groove. I Fast Animals and Slow Kids dissano contro chi li accusa di esser diventati commerciali (che brutta cosa, questa tendenza degli artisti a voler avere un contratto di una major solo perché fanno il proprio lavoro), ma allo stesso tempo, mentre intonano la parodia alla canzone più scontata di Lucio Battisti sfidano i DJ in ascolto a trasmettere la loro canzone sulle loro frequenze. «Oh, male nero, male nero, male ne’, tu eri spento e decadente come me», canta Aimone per tingere di nero le bionde trecce e gli occhi azzurriRadio Radio è l’unico brano in 6/8.

Chiediti Di Te racconta, sotto metafora, quelle crisi di identità che arrivano dopo tanti schiaffi e che fanno perdere la consapevolezza di sé. Batteria e basso sono audaci, e le parole parlano di un uomo stanco dei “saldi ai sentimenti” e delle cose semplici e volgari che ora vuole andare sulla Luna, volare come un falco e vivere nel pieno vigore della sua resilienzaNovecento è il brano più eterogeneo di tutto il disco. Il nome di un secolo passato è l’occasione per parlare del futuro, un tempo a venire che dovrà essere vissuto con lei: «Dimmi che è giusto, che il futuro è questo, ed è con te», e un rigoroso “basta” ci fa strappare “i poster degli artisti che non sarò mai”.

Cosa non ci piace di “Animali Notturni” dei Fast Animals and Slow Kids? Il disco è bello nelle intenzioni, ma pecca di monotonia. Se facciamo un focus sulla parte fondamentale di ogni produzione – la voce – troviamo linee vocali sempre puntate su note alte eseguite con stridore, che danno ai brani un picco sempre elevato nelle dinamiche ma non nelle intensità. Una capacità vocale non è sempre data da un virtuosismo: le capacità di Aimone non sono in discussione, piuttosto sono in discussione le scelte. Troppe note alte, quasi del tutto assenti quelle basse, dunque stiamo parlando di brani poco dinamici e troppo puntati sulla velocità e sull’esplosione.

Sarebbe stato bello sentire un crescendo in NovecentoL’Urlo e anche nella title-track, che apre il disco e dovrebbe dare il tempo a chiunque di destreggiarsi in questo nuovo materiale. “Animali Notturni” dei Fast Animals and Slow Kids è un disco riuscito negli arrangiamenti, un po’ meno nelle dinamiche. Frenetico e complesso negli intenti, diventa quasi insidioso come uno sconosciuto che sfreccia senza mani a bordo della sua bicicletta tra la folla, immagine che oggi appartiene al rock italiano che sembra aver perso la capacità di pedalare da almeno vent’anni, e ne conosciamo i colpevoli.