Parole Nuove di Einar è un esordio che non fa presa, la recensione di un album senza mordente

Il sound fresco e accurato non trova giustizia nei testi, che quasi lo penalizzano per rispondere a certi cliché della musica commerciale


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È necessario partire dal presupposto che il talento della piccola star di Amici non sarà messo in discussione, perché “Parole Nuove” di Einar è un tentativo, ma non è un esordio riuscito. La storia ci insegna che il disco d’esordio di un artista è, di solito, un album che dà “la botta” già dalle prime tracce, anche quando si tratta di ballad. Il giovane partecipante di Sanremo, 26 anni già colmi di esperienze dai talent show al palco dell’Ariston – e non è affatto poco – lascia il Teatro della città dei fiori e pubblica il suo primo album.

“Parole Nuove” di Einar arriva con 11 tracce che si possono classificare nel pop, ma che in realtà sembrano non trovare una direzione: la canzone d’amore con la base elettronica è cosa nota alle radio, così come la pop-dance di certi brani che non vogliono essere troppo elettronici né troppo acustici. In sostanza, è un po’ di tutto, ma la sommatoria si disperde nell’aere. Possiamo parlare di nuova canzone italiana, ma siamo ancora lontani dal cercare di dare un nome alla prima opera di Einar.

Forse non sarebbe giusto cercare un’etichetta, ma quando ci troviamo ad ascoltare il brano d’apertura, quei 6/8 di Centomila volte – il brano con il quale ha vinto Sanremo Giovani insieme a Mahmood – aspettiamo l’esplosione, ma scopriamo che il brano andrebbe benissimo in chiusura del disco. Il numero riportato nel titolo indica le fatiche e i dolori di un amore tormentato che però trova sollievo in Bene, ma cominciamo male: «Sei dentro tutte le playlist, ti sento», e poi: «Ti va di andare alle Maldive per un aperitivo?». La domanda sorge spontanea: esiste una regola per costruire le tracce ricorrendo ai cliché del commerciale? Forse no, ma ogni abuso porta ad uno strazio. Bene è un pezzo dance e l’arrangiamento funziona: il side-chain si fa sentire e così i bassi pompati sulle casse, ma la metrica e il testo demoliscono tutte le dinamiche del brano. È come se chi avesse scritto il testo avesse scelto di suicidare il groove con una metrica che lo incatena.

Parole nuove, title-track e canzone in gara al 69° Festival di Sanremo, è forse il pezzo più riuscito del disco. Nella formula della ballad strappacuore che l’adolescente ascolta stringendo il cuscino, il testo racconta, ancora una volta, la sofferenza d’amore: «Giuro che se te ne vai cancellerò il tuo nome, riscriverò l’amore con parole nuove». Poi l’odore di lei, le risposte che non ci sono e il cuore infranto. Le ballad continuano con La poesia di un imprevisto Ma tu rimani, e anche stavolta parliamo di tentativi di una canzone d’amore che non regge il confronto con Parole nuove sull’intensità e tanto meno sull’arrangiamento. Le strutture non decollano, la sinusoide delle dinamiche non è definita se non con qualcosa che somiglia a una linea retta.

Con Un’altra volta te la chiave di lettura è diversa: se La poesia di un imprevistoMa tu rimani tracciano i contorni sfumati di un miocardio infranto e stanco di soffrire per amore, Un’altra volta te è il senso di frustrazione: «Tra le onde del mare ti vorrei rivedere per poi ricominciare senza farci più male», e la complice del dolore è una stella che lo tormenta, una stella che è la sua lei che non è più sua. Einar canta i suoi versi su una base electro che fa il verso agli anni ’90, come se si volesse colorare d’estate la fine di una relazione.

Non può mancare l’autotuneAncora un po’ ne dispensa un assaggio. Una base soft sulla quale si appoggia un testo in cui lui non riesce a rassegnarsi alla fine di un amore: «Avrei voluto che il destino ci ascoltasse ancora un po’», e spera in un mondo migliore in cui tutti questi dubbi diventano certezze e nel quale tutta quella malinconia non esiste. Il momento perfetto inaugura un ulteriore calo di serotonina e motivazione che durerà fino alla fine dell’album, perché le ballad non finiscono.

Il momento perfetto non esiste, secondo Einar, se al suo fianco non c’è lei, e niente può raggiungere la perfezione finché il suo amore non tornerà da lui. La batteria elettronica e il synth fanno da protagonisti, per poi lasciare spazio al piano nell’ending che viene ripreso da I’m sorry, forse il brano più addolorato di “Parole Nuove” di Einar come recita il titolo. Eppure quel dolore non riesce a trovare empatia, non con un testo che non ha mordente: «Non c’è più spazio per un altro sole, I’m sorry, I’m sorry, non servono più scudi di parole, I’m sorry, I’m sorry». La base, dietro la quale si nota un certo impegno grazie all’ampio uso di riverberi e schianti sintetici, non trova giustizia per via delle parole oltremodo inflazionate in tutte le ballad del nuovo millennio.

Lo stesso di sempre, autobiografica, racconta dell’umiltà che Einar ha preservato anche ora che la gente lo ferma per strada o nei bar. Il cantante cerca rifugio dentro di sé dove si possa sentire ancora un po’ bambino: «Dove non sono nessuno, ma sono importante per te», e viene facile pensare a una dedica alla madre, che però si interrompe all’improvviso in chiusura, con l’ultima sillaba che perde volume improvvisamente. Seppur questa sia una strategia per ottenere l’effetto sorpresa sul pubblico, il risultato è quello di una canzone monca.

Monco, infatti, è anche il finale dell’album che non arriva con un altro inedito ma con una versione di Parole nuove eseguita in un featuring con Biondo, anch’egli reduce dall’esperienza di Amici e che interviene con l’autotune ad aggiungere versi al brano. Un duetto tra amici, forse, ma non una collaborazione fatta di un completarsi a vicenda come dovrebbe accadere in tutti i featuring.

Tra le firme che hanno contribuito alla realizzazione di “Parole Nuove” di Einar troviamo Tony Maiello, cantautore passato per X-Factor, ed Enrico Palmosi, collaboratore dei Modà, di Valerio Scanu e di Emma Marrone. Ciò che colpisce di “Parole Nuove” di Einar è il suo timbro, che tuttavia nell’album non viene sfruttato né posto come elemento di valore. Un vero peccato, trattandosi di un disco d’esordio che dovrebbe essere un primo biglietto da visita per il mercato discografico dopo l’EP del 2018 ma che, invece, non riesce a far presa sull’ascoltatore.

I brani sono statici e la tracklist non rispetta un certo ordine emozionale fatto di alti e bassi, specialmente con la scelta dei brani di apertura e di chiusura. L’aspetto sonoro è ineccepibile, perché non esiste un suono fuori posto, ma nel complesso è come se fossimo di fronte a un disco pubblicato in tutta fretta, senza una maggiore cura delle scelte stilistiche. “Parole Nuove” di Einar è forse un timido bussare alla porta del tessuto discografico contemporaneo, senza le pretese o l’ostentazione che sono tipiche dei trapper e senza il gusto della provocazione che ancora appartiene al rock.