Il 14 Dicembre 1979 usciva London Calling dei Clash, l’Anno Zero del punk

Successi come la title track, "The guns of Brixton" e "Lost in the supermarket" erano chiari segnali che ciò che restava del punk era uno scenario post atomico


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“London Calling” dei Clash è quanto restò di quello scenario quasi post-atomico lasciato da quelle correnti punk in un occidente dilaniato da lotte di classe, rivoluzioni e devastazioni che videro nel ’77 l’anello di congiunzione tra il dopoguerra e la nuova onda. Pogo, risse e anarchia avevano devastato palchi e locali, con un Sid Vicious autodistrutto, i Sex Pistols oramai svaniti nel nulla – ma solo fisicamente – e un Regno Unito che ancora voleva trovare una voce ribelle e sincera per l’emesi più chiodata dello sdegno.

I Clash di Joe StrummerMick Jones – c’è chi li chiama i Lennon-McCartney del punk – discostarono la polvere di quel 1979 ancora imbrattato di oltraggio e rabbia e pubblicarono, il 14 Dicembre 1979, il doppio LP “London Calling” consacrando, in questo modo, l’Anno Zero del punk. È opinione condivisa, infatti, che “London Calling” rappresenti il muro separatore tra le prime produzioni di riot music della fine degli anni ’70 e quelle successive. Se “Never mind the bollocks” dei Sex Pistols è il manifesto del punk più deliberato e marcio, “London Calling” dei Clash è il sincretismo tra quanto di più estremo potesse produrre il disagio giovanile e la ricerca del compromesso sonoro tra ruvidità e accuratezza.

Furono i primi ad accostare il punk al reggae, creando dei veri e propri inni di battaglia grazie all’apporto dei fiati sulle chitarre in levare. Topper Headon, il batterista, era l’ago della bilancia in questo mix di influenze che all’interno di “London Calling” dei Clash sono riversate ordinatamente: l’ironico e scanzonato jazz di Jimmy Jazz, il folk di Hateful e il reggae di Rudy can’t failLa scelta di imbottire il disco di tutto ciò che passava per la loro testa, raccontano ancora oggi gli stessi Clash, era dovuta al produttore Guy Stevens che partecipava con entusiasmo alle prove della band lasciando loro la libertà assoluta nelle sovraincisioni.

Sebbene la title-track sia ancora la cover più introdotta dagli artisti di tutto il mondo, grazie al groove fatto di chitarre serrate presente anche in The right profile – ne ha fatto largo uso Melissa auf der Maur nel brano I’ll be anything you want – “London Calling” dei Clash è anche il disco di The guns of Brixton, brano cantato dal bassista Paul Simonon e introdotto anche dai rumori della band che strappa le imbottiture dalle sedie presenti in studio. Simonon non era il classico bassista punk che lavorava sulle toniche con il solo scopo di dare robustezza al sound: i riff di Simonon sono opere d’arte e The guns of Brixton ne è la dimostrazione.

Quando si parla dei Clash, è bene saperlo, si parla di un punk che vuole essere chiaro e libero, anche di diventare pop con Lost in the supermarket e surf con Clampdown. A fare la differenza era la voce di Joe Strummer, a metà tra il lamento e il confuso, ma perfetta per cantare il punk che veniva toccato dal cambiamento e dallo ska di Wrong ‘em Boyo – cover di Clive Alphonso – che suona tanto come una parodia di Obladi Oblada arricchita con fiati e pause che spingono il groove al massimo.

Ascoltare “London Calling” dei Clash significa respirare un Regno Unito freddo, nei postumi di un party che ha portato vetri rotti sparsi sul pavimento, un odore di chiuso e un fischio assordante alle orecchie. I Clash sono quella band che ancora staziona nel locale, stanca ma mai scarica, che si ferma al bancone per le ultime cartucce di forza a condividere il drink dell’arrivederci e a commentare la serata appena finita. Se da una parte ci sono gli Exploited, i Misfits e tutte le band della corrente hardcore più estrema, i Clash sanno fare rumore senza distruggere.

Koka Kola, una critica all’industria americana nella sua accezione più deliberata, è l’esempio di una guerra senza armi, di una protesta pacifica: la band si scaglia contro l’America e lo fa con la musica, senza strillare sul microfono e con ogni strumento al proprio posto. Gli outsider sono il tema preferito di Strummer e soci, come è noto dal testo di The card cheat con un arrangiamento che sconfina nel sinfonico.

Sincretismo, si diceva, perché “London Calling” dei Clash interessa anche Elvis Presley per quanto riguarda la copertina del disco. Il fronte del doppio LP riprende, infatti, la grafica del primo disco di Elvis pubblicato nel 1956: Presley imbraccia la sua chitarra in un’immagine in bianco e nero, mentre per i Clash Paul Simonon sta per compiere una strage sul palco. Era il 20 settembre e la band i si trovava a New York durante il tour americano. Alla notizia che i responsabili avrebbero vietato al pubblico di ballare, Paul Simonon afferrò il suo Fender Precision Bass e lo impugnò come un’ascia.

Un’altra importantissima prova delle influenze adottate dalla band sono le cover presenti nel doppio LP. Oltre alla già citata Wrong ‘em Boyo si ricordano Brand new Cadillac di Vince Taylor e Revolution Rock di Jack Edwards e Danny Ray, la canzone più reggae di “London Calling” dei Clash. Esiste un prima e un dopo “London Calling”, specie se si parla del punk. Un disco così complesso e sincero, ma anche oltremodo avanzato per gli stereotipi che ancora imperavano sulla mentalità discografica di quegli anni, fu accettato più che positivamente anche da critici severi e non a caso riuscì a vendere due milioni di copie dopo i primi tempi dalla pubblicazione.

La sua particolarità è l’abbattimento di ogni luogo comune: il punk non era solamente un dito medio mostrato alla Regina – due dita che fanno la V, precisiamo – o una spilla da balia conficcata nei jeans. Il punk era anche quella voglia di cambiamento anarcoide ma ordinata e pensata, perché se si voleva affossare il sistema lo si poteva fare solamente facendo ordine nel proprio. “London Calling” dei Clash è questo: un sistema ordinato che può guardare dall’alto il resto, come su un palco. Come quando il pubblico non può ballare e lo strumento diventa un’arma con la quale sputare fuori tutto il dissenso.