Ricordando Frank Zappa. Il 4 dicembre 1993 moriva l’icona più eccentrica del rock, tra genio e sregolatezza

Musicista eclettico e provocatore, il compositore di Baltimora si spense a seguito di un tumore alla prostata dopo aver pubblicato 136 album


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L’intero mondo, 360 gradi di note e scale, timbri e suoni, pentagrammi e accordature, anche in questo momento sta ricordando Frank Zappa. Chiunque tenti di ricostruire la sua biografia attraverso tutti i passaggi, le innovazioni e le peculiarità si ritrova sudato e spossato, con la penna che cade esanime sul foglio e le casse dello stereo che da giorni non smettono di lanciare musica. No, non perché la playlist stia riproducendo tutti gli artisti preferiti, ma perché i dischi pubblicati da Frank Vincent Zappa arrivano a 163, e pur dopo la sua morte la storia non è ancora finita.

Ogni sua esperienza maturata sin dalla tenera età lo ha influenzato, formato e incuriosito al punto di registrare un record ancora ineguagliato di produzioni e sperimentazioni. Compositore instancabile e riconosciuto come uno dei musicisti più geniali e influenti del Novecento, Frank Zappa ha saputo coniugare il rock’n’roll con il rhytm’n’blues, il pop con il folk più ricercato e la musica classica con tutti i generi appena citati. Nato a Baltimora il 21 dicembre 1940, per i suoi quattordici anni sua madre gli regala un rullante, e il suo rapporto con la musica non avrà fine né resa. Dissacrante, provocatore ma anche musicista tirannico con le band, Frank Zappa iniziò la sua esperienza discografica con i Mothers of Invention nel 1964 con i quali pubblica il primo album “Freak out!”, una novità per il mercato discografico internazionale in quanto si trattava di uno dei primi doppi LP e di un concept album. Affermatosi per il suo carisma e per la sua forte personalità, Zappa pilotò gran parte della produzione musicale dei Mothers of Invention fino al 1969, anno in cui lasciò la band.

Da Puccini a Edgard Varèse, le sue influenze nascevano ogni giorno e diventavano una fucina di ispirazione per la sua immensa discografia, per la quale ancora oggi stanno emergendo tonnellate di inediti nascosti nella “Cripta”, quel sotterraneo di Los Angeles nel quale Frank Zappa visse fino agli ultimi giorni. Il materiale inedito è stato per anni oggetto di controversie fra i discendenti, con una soluzione trovata solamente nel maggio 2018 ma non ancora resa nota.

Se vogliamo dare un nome all’intera esistenza di Frank Zappa dobbiamo far uso del vocabolo “freakdom”, che nasce dalla fusione tra le parole “freak” e “freedom”. Zappa non era rock, non era pop, non era folk e non era blues: Zappa era un freak, un qualcosa di astrattamente concreto, che sfuggiva di mano proprio perché libero. Non gli interessava il marketing sui dischi né le logiche di vendita, soprattutto rifiutava ogni aspirazione commerciale sulla sua produzione, tanto da sentirsi libero di fare il verso ai Beatles nella copertina di “We’re only in it for the money” (1968), una parodia del capolavoro dei fab four “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”. Libero di dissacrare e innovare, specie quando doveva scagliarsi contro la società americana e l’integralismo religioso che vedeva nel cattolicesimo. In “We’re only in it for the money” Frank Zappa sfotte con decisione la controcultura hyppie alla quale spesso veniva associato, per luogo comune, dai benpensanti che egli stesso attaccava, ma ne ha anche contro la musica classica adatta per “gente che va al Conservatorio” mentre “la gente rock va nei garage”. Harry, you’re a beast è la sua considerazione del mondo della sinistra nel quale descrive le donne americane con un rutto.

Con torrenziale frequenza – “We’re only in it for the money” è il quarto album dei primi due anni di carriera – e una brevissima gestazione, le pubblicazioni delle nuove opere sono un rubinetto impazzito. Nel 1968 arriva anche “Cruising with Ruben & The Jets” e il 1969 è la volta di “Uncle meat”, il disco nel quale Frank Zappa si affacciava al free jazz e alla musica classica e che farà da colonna sonora dell’omonimo film del 1987 al quale Zappa stava già lavorando.

Ascoltare un suo intero album significa perdere l’orientamento: è difficilissimo imbattersi nella classica struttura verse-chorus-verse e soprattutto vi è un apparente disordine nella progressione delle tracce. Dai brani cantati e suonati si passa a interludi recitati e rumori, campionamenti e giochi di silenzio. Frank Zappa parla con voce distorta, fa versi e presenta personaggi immaginari – come la groupie Suzy Creamcheese presente negli album “Freak Out!” e “Absolutely Free” – per poi far ripartire il brano o passare a quello successivo. Il continuum tra le tracce è una costante, ma la discontinuità all’interno delle stesse canzoni è altrettanto tipica. Le ballad in 6/8 diventano improvvisazioni jazz per poi sfumare in vivaci esplosioni rock.

Se da un lato si può esplorare un Frank Zappa interessato al jazz e al rock progressivo per “Hot Rats” (1969), – si ricordano Peaches en Regalia e l’irresistibile Willie the pimp – all’avanguardia per “Weasels ripped my flesh” (1970) e a rendere omaggio a Miles Davis per “Waka/Jawaka” (1972), dall’altra troviamo un artista ispirato dalla musica classica, in grado di pubblicare vere e proprie opere, specie da quando Zappa scoprì la sua passione per il synclavier. I suoi brani Sad JanePedro’s DowryEnvelopes e Mo ‘n Herb’s Vacation (quest’ultima in tre movimenti) vennero diretti dal maestro Kent Nagano nell’album “London Symphony Orchestra Vol.1”, pubblicato nel 1983 e seguito dal “Vol.2” nel 1987. Si stupì egli stesso quando scoprì che un suo omonimo, Francesco Zappa, era stato un compositore milanese del XVIII secolo. Decise di fargli tributo e pubblicò, appunto, “Francesco Zappa” nel 1984 con delle rivisitazioni eseguite col synclavier.

Solo l’orrenda malattia che lo colpì,  quel tumore alla prostata, riuscì a fermare la sua incontenibile passione per la musica. La sua, piuttosto, era una passione a 360 gradi per il mondo. Nelle biblioteche studiava i canti arabi e tibetani, passava delle ore ad ascoltare dischi e a imparare a restare nella libertà dell’espressione di sé, senza cadere nelle trappole del conformismo. Per questo adorava compositori rivoluzionari, passati alla storia proprio perché emersi dagli standard apportando tutte quelle novità che Frank Zappa aveva conservato e tradotto. Egli stesso condannava chi prendeva troppo sul serio la realtà, e allo stesso tempo si scagliava contro la musica “colta”, fin troppo ferma al rispetto delle regole accademiche. Aveva scelto il rock perché adorava la chitarra, aveva scelto il jazz perché adorava l’improvvisazione, aveva scelto la musica classica perché amava la complessità dell’arte. Ancora oggi si dice che la stragrande maggioranza delle partiture scritte da Frank Zappa siano di difficile esecuzione.

No, non si tratta solo di partiture. Frank Zappa era riuscito a pubblicare 4 album in un anno, quel 1984 cominciato con “The perfect stranger” – diretto in parte dal maestro d’avanguardia Pierre Boulez – e terminato con “Francesco Zappa”, e in tutte le occasioni non mancava di originalità. Non si ripeteva, non si autocitava: aveva una testa piena di idee e non si dava pace se non le buttava fuori in uno studio di registrazione. Tutto finiva nei suoi brani: ballad e schianti rock, come quella Black Napkins dall’album “Zoot Allures” (1976) e demenzialità dissacrante, come in quella Bobby Brown goes down (Sheik Yerbouti, 1979) che si prende gioco della virilità maschile.

No, non si trattava solo di pubblicare 4 album in un anno. Frank Zappa è ricordato anche per la sua dura contestazione alla censura musicale, in una sua tagliente dichiarazione rilasciata nel 1985 per difendere la libertà di espressione dal Parents Music Resource Center, che metteva un filtro ai prodotti discografici sospettati di violare le norme del buon costume. “Voi volete eliminare la forfora con la decapitazione”, disse Zappa.

Qualsiasi cosa si dica sul genio sregolato di Baltimora, per Frank Zappa non sarà mai abbastanza, come del resto era per lui il lavoro del musicista: non era mai abbastanza. Lo pensò, sicuramente, quel 4 dicembre 1993 prima di spegnersi nella sua casa di Los Angeles. Per Frank Zappa niente aveva fine, nemmeno il suo tempo: inediti, bootleg, filmati e jam session sono ancora lì, in quella “Cripta”, nell’attesa di venire fuori e renderlo ancora più eterno.