Anime nere, stasera in tv il film di Francesco Munzi sulla ’ndrangheta (recensione)

Su Rai Movie stasera c'è il trionfatore dei David di Donatello del 2015. Un film lontano dall’imperante filone gomorresco, che racconta la criminalità con sguardo antropologico e in cadenze di tragedia greca. Una delle opere migliori del cinema italiano recente.

Anime nere, stasera in tv il film di Francesco Munzi

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Anime nere di Francesco Munzi, trasmesso stasera in tv alle 23.35 su Rai Movie, è stato il dominatore dell’edizione 2015 dei David di Donatello, con ben 9 statuette, tra cui quella per il miglior film. Ed effettivamente, rivedendolo retrospettivamente a tre anni dall’uscita, quello di Munzi resta uno dei film italiani più originali degli ultimi anni, capace di parlare di criminalità organizzata senza sottostare al pensiero unico del gomorrismo.

A parte infatti rare eccezioni, come il Gomorra di Matteo Garrone che era tutt’altra cosa, troppo spesso le storie di malavita – nelle sue ripetute incarnazioni televisive e cinematografiche, tra Gomorra la serie, Romanzo criminale, Suburra – tendono alla semplificazione effettistica, all’affresco quasi compiaciuto di un male senza ritorno, che colleziona gallerie estremizzate di personaggi di cattiveria indicibile e quasi caricaturale – come nel Suburra di Stefano Sollima, in cui un politico corrotto al quale rapiscono il figlio si preoccupa soltanto della sua carriera: possibile?

Anime nere, invece, va in tutt’altra direzione: racconta senza sconti la ferocia della ’ndrangheta calabrese, ma sceglie un punto di vista in cui la messa in scena della barbarie non esclude una volontà di analisi lucida, direi antropologica del fenomeno criminale. E perciò Francesco Munzi, che è partito dal romanzo omonimo di Gioacchino Criaco, ha scelto di vivere quasi un anno ad Africo insieme allo scrittore, che lì aveva ambientato la sua storia. Un approccio da etnologo, quindi, per assorbire e conoscere a fondo la cultura del territorio in cui la ’ndrangheta s’è radicata e sedimentata.

«La prima cosa che mi ha colpito è il cortocircuito che si genera tra personaggi ancestrali – ha dichiarato il regista, alla fine del suo lungo periodo di apprendistato in loco – che vivono secondo regole e modi immutati nel tempo e le generazioni che invece vogliono bruciare le tappe verso la modernità. C’è come una doppia identità, che ti parla anche delle contraddizioni dell’Italia, del Nord e del Sud, e delle aporie della sua storia”.

Così, alla fine, Anime nere rilegge la ’ndrangheta attraverso un filtro allo stesso tempo antico e ipercontemporaneo, in cui l’organizzazione criminale è insieme un’impresa globalizzata – il film infatti parte da un viaggio “d’affari” all’estero del boss del narcotraffico Luigi (Marco Leonardi) – e un clan con antiche regole tribali – sintomatica la scena in cui, per pranzo, Luigi e il fratello Rocco (Peppino Mazzotta), che pure s’è costruito una rispettabilità borghese a Milano, per pranzo rubano delle capre che sgozzano e macellano lì per lì.

Il racconto è incentrato su tre fratelli: Luigi e Rocco, arricchitisi con la droga, e Luciano, l’unico restato in Calabria a fare il pastore (Fabrizio Ferracane). Quando Leo, il figlio di quest’ultimo affascinato dai modi criminali, fa una bravata, si riattiva un antico odio tra clan, legato all’uccisione, anni prima, del padre dei tre. E allora la famiglia si riunisce nella natia Africo.

Trattandosi di una storia di legami di sangue, Francesco Munzi la tratteggia nella chiave di una tragedia greca, in cui corpi e volti si stagliano tra ombre e colori lividi. Questo perché c’è qualcosa di ancestrale nella vicenda di questa famiglia assoggettata a leggi e valori di antica data e però capace di cavalcare e cogliere le opportunità che i nuovi tempi offrono a un’organizzazione criminale – lo stile milanese di Rocco, che ha una moglie del Nord che però, al fondo, è incapace di capirne davvero l’indole di uomo, paradossalmente, non italiano ma calabrese.

È questo il cuore di un film a tratti quasi arcano – il misterioso rituale di Luciano, che scioglie nell’acqua e beve la polvere depositata ai piedi della statua del santo che venera – in cui Munzi mette a frutto anche la sua esperienza di documentarista: scandaglia la geografia dei luoghi, simbolicamente forte, dove i vecchi paesi di montagna sono fantasmi disabitati e i nuovi centri a valle hanno case costruite solo a metà. Passato e presente annodati in una perenne incompiutezza, quindi: ed è difficile ipotizzare un futuro in una terra senza progetti – anche la scuola è abbandonata –, dove l’unica educazione possibile è all’insegna della violenza, tra memoria dei morti ammazzati e faide interminabili.

Anime nere è illuminato anche da una disperata lucidità morale, testimoniata da un finale nel quale l’unica soluzione a quel modo di vita sembra consistere nell’estinzione della specie criminale e del sangue del proprio sangue. Il film di Francesco Munzi sfugge a facili interpretazioni sociologiche e si sottrae alla logica delle operine edificanti del cinema civile, che distinguono tra buoni e cattivi e mandano a casa contento lo spettatore che ha sostenuto la parte giusta. Munzi si immerge nel cuore di tenebra della storia e degli uomini: e la conclusione che ne trae è di doloroso pessimismo.

Anime nere (2014) di Francesco Munzi, con Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Aurora Quattrocchi, stasera su Rai Movie, ore 23,35.