The Place, il nuovo film di Paolo Genovese. Cosa sei disposto a fare per essere felice?

Torna il regista di “Perfetti sconosciuti”. Che mette da parte la commedia di costume e costruisce un ambizioso apologo sul dolore e il desiderio. Valerio Mastandrea guida un cast con Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Alessandro Borghi, Alba Rohrwacher, Rocco Papaleo.

The Place, il film di Paolo Genovese con Valerio Mastandrea

INTERAZIONI: 33

The Place è un bar nel quale un misterioso individuo (Valerio Mastandrea) raccoglie le richieste di persone, cui assicura di poter risolvere i problemi in cambio dell’esecuzione d’una atroce missione. Il cieco che vuole riacquistare la vista (Alessandro Borghi) dovrà violentare una ragazza, l’anziana signora (Giulia Lazzarini) che vuole la guarigione del marito dovrà piazzare una bomba, la suora (Alba Rohrwacher) ritroverà la fede solo rimanendo incinta.

Partendo dalla miniserie americana The Booth at the End, Paolo Genovese con il suo nuovo film The Place alza la posta e, dopo l’enorme successo di Perfetti sconosciuti, evita coraggiosamente l’ennesima commedia di costume, sondando corde diverse e complicate. Va accolto con un plauso il tentativo d’un film costruito come un tour de force, un racconto chiuso in uno spazio asfittico (più qualche inquadratura dall’esterno del bar inevitabilmente hopperiana), all’interno del quale, ripresi costantemente in campo e controcampo, due individui si scambiano fitti dialoghi.

The Place è interamente strutturato su parole e sguardi: Valerio Mastandrea, in un ruolo enigmatico (le domande che gli vengono poste restano costantemente inevase), regge le fila di un nutrito cast (Marco Giallini, Rocco Papaleo, Vinicio Marchioni, Vittoria Puccini) che incarna varie dimensioni della sofferenza e del desiderio umani: chi vuole recuperare il rapporto col figlio, chi desidera la bellezza, chi rivuole l’amore esclusivo del partner. Per ognuno di essi, viste le prove spesso terribili cui il mefistofelico burattinaio li sottopone, la domanda resta sempre la stessa: cosa sei disposto a fare per esaudire i tuoi sogni?

Domanda alta e impegnativa. E impegnative sono le ambizioni del Paolo Genovese di The Place. Ma è difficile mantenere per cento minuti l’attenzione su una struttura tutta volti e parole (talvolta troppo letterarie: “Quando vanno via sembra che siano trafitti”; “C’è qualcosa di terribile in ognuno di noi e chi non è obbligato a scoprirlo è fortunato”; “Lei crede in Dio? Io credo nei dettagli”), più musiche invasive che accentuano i passaggi cruciali. Così, nell’eccesso dell’uso di primi piani e dialoghi, il film denuncia la sua derivazione televisiva, costruito con una scansione interna a puntate, che cominciano dall’inquadratura mattutina dall’esterno del locale e terminano col dialogo serale tra Mastandrea e la cameriera Sabrina Ferilli, chiudendosi sulla dissolvenza in nero.

Il problema maggiore di The Place, però, sta nell’insistita genericità metafisica dell’assunto. Giusto non indulgere nella caratterizzazione all’italiana: ma il film commette l’errore opposto, eliminando qualunque connotazione e incastrandoci in un anonimo non luogo che potrebbe essere in qualunque città e quindi non è in nessuna, nel quale si agitano personaggi indefiniti, non esseri umani plausibili, ma casi estremi ridotti al problema in cui si dibattono. Tende al simbolismo The Place: il bar senza nome, il diabolico Mastandrea senza nome e passato, il campionario di caratteri funzionali allo schema narrativo al fondo moraleggiante d’un racconto che mira all’apologo. Ma c’è troppa poca curiosità per i dettagli e la verosimiglianza per rendere questa storia davvero universale.