Brutti e cattivi, non tutti i nuovi film di genere italiani riescono col buco (recensione)

L’esordio di Cosimo Gomez guarda a “Lo chiamavano Jeeg Robot”, da cui eredita anche il protagonista Claudio Santamaria. Ma la storia del colpo grosso messo su da un gruppo di freaks è esasperatamente grottesca. Tra i protagonisti Marco D’Amore e Sara Serraiocco.

Brutti e cattivi, recensione del film con Claudio Santamaria

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Brutti e cattivi dell’ex scenografo Cosimo Gomez, passato nella sezione Orizzonti a Venezia tra tanti elogi e qualche stroncatura (“il film peggiore visto al Lido” l’aveva bollato Emiliano Morreale), mette insieme di tutto, la strizzata d’occhio alla commedia all’italiana – Brutti, sporchi e cattivi di Scola –, il riferimento cinefilo alto – Freaks di Browning – e tantissimo cinema di genere.

Proprio il ritorno ai generi è uno dei segnali di vitalità più consistenti del cinema italiano recente, che tra anni Sessanta e Settanta li aveva molto frequentati, importandoli – il western rideclinato in salsa spaghetti – ma anche inventandoli di sana pianta, dal poliziottesco alla commediaccia agli eterodossi decamerotico e cannibal movie.

Più che sull’invenzione, però, la riattivazione dei generi oggi punta sull’importazione d’un immaginario globalizzato. E allora in Italia per la prima volta arrivano film supereroistici (gli esiti migliori, Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti e Il ragazzo invisibile di Salvatores), heist movie (Smetto quando voglio), automobilismo (Veloce come il vento), l’annunciata (uscita 9 novembre) fantascienza di Addio fottuti musi verdi dei Jackal (a indicare quanto le sollecitazioni nascano da un cortocircuito di narrazioni convergenti che viaggiano tra cinema, serie tv, web). Questo senza dimenticare gli antesignani del fenomeno, su tutti quegli intelligenti, cinefili, consapevoli frullatori di generi che sono i Manetti Bros., in questi giorni sugli schermi col loro frutto più maturo, Ammore e malavita.

Nei casi migliori, a funzionare è la capacità di calare un genere sostanzialmente estraneo alla nostra tradizione in un contesto culturalmente riconoscibile, sia essa la Napoli tra sceneggiata e malavita, stereotipo e messa in crisi del luogo comune nel caso dei Manetti, o la convincente, malinconica Roma delle borgate di Lo chiamavano Jeeg Robot. È la stessa operazione che vorrebbe fare Brutti e cattivi: che però risulta fallimentare per difetto di sceneggiatura (che ha vinto il premio Solinas, mah) e anche per la monotona esasperazione grottesca a ogni costo, che conduce nella terra di nessuno d’un racconto ridanciano ma fine a se stesso.

Tutto è unilateralmente sopra le righe in questo colpo grosso a Tor di Nona, dove c’è la banca che decidono di svaligiare un gruppo di reietti: il Papero (Claudio Santamaria) senza gambe e con orrendo riporto, sua moglie senza braccia Ballerina (Sara Serraiocco), lo strafatto Merda (Marco D’Amore, piuttosto a disagio), il nano Plissé (Simone Martucci), mago delle casseforti malato di gangsta rap. Il piano va a segno, ma l’avidità fa brutti scherzi e il tradimento è dietro l’angolo.

E la trama s’aggroviglia, con mafiosi cinesi col colpo della strega, prostituite africane di buon cuore, poliziotti pure loro freak (lo strabico Giorgio Colangeli), papponi dell’est Europa, finti preti, una citazione di Freddy Krueger e ancora western spaghetti, musical e il solito condimento di ralenti, timelapse, freeze-frames, che ormai sanno di irrimediabilmente stantio. E va bene che è giusto finirla coi compitini medio-mediocri da film d’autore soporifero all’italiana, ma Brutti e cattivi deraglia senza una minima coerenza narrativa, in un gioco più divertito che divertente.

https://youtu.be/U8GkspAnJx4