Death Note di Netflix è tutto fuorché memorabile, ma il confronto con l’anime non c’entra (recensione)

La recensione dell'adattamento di Death Note prodotto da Netflix a opera di Adam Wingard, disponibile in streaming dal 25 agosto

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INTERAZIONI: 57

C’è una condizione da rispettare assolutamente prima di approcciarsi alla visione di Death Note, film in live action prodotto da Netflix per la regia di Adam Wingard: togliersi dalla mente il confronto con l’opera originale di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata. Come suggerisce la dicitura “Ispirato a” nei titoli di testa, infatti, il lungometraggio non si pone come remake dell’anime, ma piuttosto come una storia collaterale che, pur poggiando su basi simili rispetto all’originale, si sviluppa in maniera completamente diversa e inedita.

Il problema è uno solo: anche con questa premessa, ci troviamo di fronte a un prodotto a dir poco mediocre.

Partiamo dai (pochi) pollici alzati di questa versione di Death Note: l’idea di ambientare il tutto a Seattle, lasciando quindi quel Giappone che non poteva avere altri Kira al di fuori di Light Yagami, è decisamente una carta vincente per affermarsi come reboot e non come remake. Le accuse di white washing di cui si è tanto parlato, viste in quest’ottica, sono del tutto insensate e ininfluenti ai fini del giudizio nei confronti del film.

Anche le innovazioni caratteriali dei personaggi sono un punto a favore di Adam Wingard: Light Turner è un ragazzo come tanti, più impulsivo e meno intelligente della sua controparte giapponese, così come L, pur rimanendo il detective geniale che ci saremmo aspettati, è in grado di mostrare un lato più umano e fragile che nel manga e nell’anime viene appena accennato. Lo shinigami Ryuk diventa parte attiva del gioco del Death Note anziché limitarsi a guardare, mentre Mia Sutton è forse il personaggio che avrebbe potuto essere più interessante, essendo ben più sveglia e decisa tanto di Light Turner quanto di Misa Amane.

“Avrebbe potuto essere” è la parola d’ordine di questo film, un immenso condizionale irrealizzato: sebbene le premesse non fossero così male, sebbene l’universo immaginato da Adam Wingard avrebbe potuto rendere il film godibile anche ai fan più accaniti di Death Note, qualsiasi forma di entusiasmo si spegne di fronte ad una regia e ad una scrittura così approssimative.

La trama è nel complesso banale, basata su una love story venutasi a creare troppo velocemente – sarebbe stato più credibile se Light e Mia fossero stati fidanzati fin dall’inizio del film – e titubante sul da farsi fino al suo culmine, un finale aperto che urla incertezza da tutte le parti. Più che l’effetto à la Inception che le ultime scene volevano suggerire, l’impressione è che non ci fosse davvero un’idea su come concludere degnamente una vicenda trascinata per ben un’ora e quaranta.

L’ispirazione al Death Note originale, come se non bastasse, si limita alla mera presenza dei personaggi e del quaderno della morte: non c’è traccia di quello che è forse il succo della storia inventata da Tsugumi Ohba, ovvero la difesa a tutti i costi dei propri ideali da parte tanto di Light quanto di L – che innesca quindi la sfida di intelligenza che tutti conosciamo. Certo, come già detto il confronto tra questo film e l’anime porta solo a considerazioni sterili, ma togliere questo aspetto della vicenda significa già in partenza realizzare un prodotto non all’altezza del nome che porta.

Oltre alle discutibili scelte di sceneggiatura, altrettanto discutibili sono quelle registiche: la recitazione degli attori, già non propriamente degna di un Oscar, viene ulteriormente impoverita da riprese da b-movie e momenti splatter non richiesti, che in alcuni punti sembrano persino parodistici come in uno Scary Movie qualsiasi. Come ciliegina su una torta già indigesta, il montaggio è da menzione negativa col suo abuso di transizioni a dissolvenza e del rallenty.

Death Note di Adam Wingard non è un capolavoro. Tutt’altro, è un film realizzato male e assolutamente non in grado di soddisfare qualsiasi aspettativa, insipido al punto da non meritare nemmeno l’indignazione da parte dei puristi dell’opera originale. Proprio per queste ragioni, è tutto fuorché memorabile: con la stessa velocità con cui ce lo siamo ritrovato sul catalogo di Netflix, ce ne dimenticheremo. Con buona pace di tutti.