I figli della notte, l’esordio alla regia del nipote di Vittorio De Sica (recensione)

Andrea De Sica racconta una storia poco italiana ambientata in un collegio nel quale si forma la futura classe dirigente. Parte come un romanzo di formazione sull'adolescenza e si trasforma in un racconto dalle venature fantasy e quasi horror. Smarrendo la misura.

I figli della notte, l'esordio alla regia di Andrea De Sica

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I figli della notte, l’esordio alla regia di Andrea De Sica era passato, ormai parecchi mesi fa, al Torino Film Festival del 2016, raccogliendo giudizi lusinghieri e creando molte curiosità, legate innegabilmente anche al nome del regista, nipote di Vittorio De Sica e figlio del compianto musicista (e sottile scrittore) Manuel. Già assistente di Bertolucci e Ozpetek, per il suo primo lungometraggio Andrea De Sica s’è scelto una vicenda e un’ambientazione abbastanza estranee al cinema italiano, in linea col percorso della società che l’ha prodotto, la Vivo Film di Marta Donzelli e Gregorio Paonessa, che in quasi un quindicennio ha costruito con cura editoriale un catalogo che mostra discontinuità rispetto ai generi usualmente frequentati alle nostre latitudini, da Le quattro volte di Michelangelo Frammartino all’esordio al cinema di Emma Dante, Via Castellana Bandiera, fino a Vergine giurata di Laura Bispuri.

I figli della notte parla inusualmente di alta borghesia: un pugno di adolescenti costretti a vivere in un collegio tra montagne innevate e inaccessibili (fascinosa la location, un hotel che sa di aristocrazia e Mitteleuropa decadente in quel di Dobbiaco, in Trentino) dedito alla formazione della futura classe dirigente. Il diciassettenne Giulio (Vincenzo Crea) s’aggira smarrito tra la monumentalità del luogo – che ricorda inevitabilmente Shining -, il divieto dell’uso di internet e cellulari, la freddezza dei rituali e del personale del collegio – il mefistofelico educatore Mathias (il Fabrizio Rongione dei fratelli Dardenne).

Il ragazzo finisce per legare soltanto con Edoardo (Ludovico Succio), che ostenta spirito ribellistico e disprezzo per la famiglia – “I miei genitori sanno fare le valigie come nessun altro e dentro ci entra di tutto, anche i figli”, dice con fare troppo letterario. Nottetempo, i due scoprono un locale notturno tra i boschi, e Giulio si innamora della giovane prostituta Elena (Yuljia Sobol). Il rapporto esclusivo con Edoardo s’incrina, la storia precipita.

I figli della notte costruisce pazientemente un’atmosfera nel segno dell’ambiguità, radiografando le psicologie al fondo fragili di un gruppo di ragazzi destinati all’eccellenza e alla competizione – uno degli strumenti pedagogici fondamentali è lo sport. La macchina da presa, restituendo stilisticamente la disciplina dello spazio, segue i protagonisti con movimenti precisi e ortogonali, fino a quando, nel bordello, non s’abbandona a riprese che vorticano circolarmente e mimano la voglia di desiderio e trasgressione dei ragazzi. Ma la trasgressione, probabilmente, è solo l’altra faccia della disciplina, un altro elemento di un modello educativo che contempla cinicamente tanto la regola quanto il suo contrario, entrambi fattori essenziali alla formazione della classe dirigente – che s’immagina, come di prammatica, insensibile e spietata.

I figli della notte di Andrea De Sica promette più di quanto non mantenga: a due terzi il sensibile romanzo di formazione prende una direzione dalle venature fantasy e quasi horror, smarrendo l’atmosfera sospesa sin lì costruita. Così il racconto deflagra in un finale immotivato dalla morale un po’ scontata, che segna le, forse inevitabili, incertezze di un film d’esordio.