Il team di Tredici spiega perché era necessario mostrare il suicidio di Hannah in 13 Reasons Why

L'autore del romanzo che ha ispirato Tredici e il team della serie tv hanno parlato della necessità di far vedere agli spettatori il suicidio di Hannah

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Attenzione: contiene parziali spoiler sul contenuto dell’episodio 1×13 di Tredici.

All’inizio dell’ultimo episodio della prima stagione di Tredici (o 13 Reasons Why, come dir si voglia), lo spettatore viene avvisato di come alcune scene potrebbero essere ritenute scioccanti o poco adatte ad un pubblico di giovani, per la presenza di rappresentazioni di violenza e suicidio.

Il motivo di questo avvertimento appare subito chiaro se si prosegue nella visione dell’episodio: la macchina da presa è impietosa nel mostrare Hannah mentre, dopo aver aperto l’acqua nella vasca da bagno, vi si sdraia tagliandosi le vene dei polsi e aspettando di morire dissanguata, solo per essere trovata senza vita dai genitori poco dopo.

La scena è davvero realistica e dolorosa da guardare, ma, almeno a giudicare dal team che ha lavorato a Tredici, era necessario che fosse così. “Secondo loro, trattandosi di una serie tv, se vuoi guardarla ti aspetti che lo mostri orribile come effettivamente è” ha detto a Entertainment Weekly l’autore del romanzo da cui la serie è tratta, Jay Asher, “Quindi, vista la maniera in cui lo fa, non puoi guardarlo e pensare che sia stato in qualche modo romanzato. Sembra ed è doloroso, e poi quando i suoi genitori la trovano ne sono completamente devastati“.

Abbiamo lavorato sodo per non risultare gratuiti, ma volevamo che fosse doloroso da guardare perché volevamo rendere chiaro che in nessun modo e per nessuna ragione vale la pena suicidarsi” ha aggiunto lo sceneggiatore e creatore della serie, Brian Yorkey.

Il messaggio lanciato dalla serie è senza dubbio forte, tanto da mettere in allarme alcune associazioni per la prevenzione del suicidio: uno studio della American Foundation for Suicide Prevention ha infatti osservato che “Il rischio di suicidi aggiuntivi aumenta quando una storia descrive esplicitamente il metodo di suicidio, usa titoli drammatici o immagini grafiche, e sensazionalizza o romanza una morte in modo ripetuto o esagerato”. Tredici si è quindi spinta troppo oltre nella rappresentazione del suicidio di Hannah Baker?

Come riporta Entertainment Weekly, che ha parlato con la dottoressa Christine Moutier della American Foundation for Suicide Prevention, l’importante è non mostrare tramite un prodotto mediale che ad un pensiero suicida non c’è via d’uscita: la serie, al contrario, suggerisce che Hannah avrebbe potuto rivolgersi ai genitori, a Clay, a Tony o al signor Porter per ricevere aiuto sul suo stato di salute mentale anziché chiudersi in se stessa e condannarsi al drammatico epilogo che l’ha vista protagonista. “Crediamo fortemente che sul problema del suicidio sia importante alzare la voce” ha continuato la dottoressa Moutier, che tuttavia ha spiegato di non aver guardato Tredici. “Non è che tutte le rappresentazioni sono cattive – è così che succede, ed è per questo che serve un messaggio di prevenzione: un messaggio di speranza, qualcosa che possa ispirare gli altri ad andare avanti con i problemi della vita, sia che si tratti di momenti passeggeri, sia di un momento di crisi suicida“.

Tredici – 13 Reasons Why è disponibile su Netflix in tutti i paesi in cui il servizio di streaming online è attivo.