Addio a Tomas Milian, l’indimenticabile “Er Monnezza”

Scompare a 84 anni a Miami l'attore di origini cubane. Formatosi negli Stati Uniti, la sua carriera si è svolta soprattutto in Italia, dove partì dal cinema d'autore per diventare poi un'icona del cinema popolare, tra spaghetti western, poliziotteschi e commediaccia. Ma per tutti resterà sempre Er Monnezza.

È morto Tomas Milian Er Monnezza

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È morto ieri a Miami, Tomas Milian, nato Tomás Quintin Rodriguez nel villaggio di Marianao, a Cuba, il 3 marzo 1933. Per tutti era Er Monnezza. Era figlio di un ufficiale del vecchio regime di Machado, che non aveva mai sopportato l’arrivo di Fulgencio Batista e aveva finito per suicidarsi nel 1945. Una storia tragica che con molte altre Tomas Milian ricorda nella sincera autobiografia scritta a quattro mani con Manlio Gomarasca nel 2014, Monnezza amore mio, un titolo dal quale emerge immediatamente il legame fortissimo con quel personaggio che ha finito per definirne la sua storia cinematografica.

Tomas Milian si trasferì sul finire degli anni Cinquanta negli Stati Uniti, dove ottenne anche la cittadinanza, e dove studiò prima all’accademia teatrale di Miami e poi all’Actors Studio di New York. Ma gran parte della sua carriera si è svolta in Italia, e a ripercorrerla sembra di rivedere la storia intera del cinema italiano quando era un’industria, con un cinema d’autore e un cinema popolare che potevano coesistere tranquillamente.

Le prime esperienze di Tomas Milian in Italia appartengono al cinema “alto”, La notte brava (1959) e Il bell’Antonio (1960) di Mauro Bolognini, I delfini (1960) e Gli indifferenti (1964) di Francesco Maselli, l’episodio Il lavoro in Boccaccio 70 (1962) di Luchino Visconti, dove disegna spesso ritratti di borghesi complessi e tormentati che poco si distaccano dalla sua vera indole. Ma poi si reiventa, stufo anche di interpretare se stesso, approfittando dell’esplosivo successo degli spaghetti western di Sergio Leone, genere di cui diventa iconico protagonista a partire da La resa dei conti (1966) di Sergio Sollima, lo spaghetti-western preferito di Quentin Tarantino, in cui Tomas Milian compare nelle vesti del messicano Cuchillo, fuorilegge, sottoproletario, vitalissimo. Un “proto-Monnezza sessantottino”, come ha scritto Marco Giusti, che appartiene a quella stagione in cui il western italiano si carica di umori politici, un po’ populisti un po’ rivoluzionari.

Umori che si ritrovano in un pugno di titoli di cui Tomas Milian è memorabile protagonista: Faccia a faccia (1967), ancora di Sergio Sollima, dove Milian è il fuorilegge che prende in ostaggio un professore malaticcio (Gian Maria Volontè) che si rivela molto più cattivo e sadico di lui, Corri uomo corri (1968), sempre di Sollima, in cui torna il personaggio di Cuchillo, e Tepepa (1969) di Giulio Petroni, dove Milian è un campesino rivoluzionario che si misura addirittura con un gigante come Orson Welles; fino a Vamos a matar compañeros (1970), di Sergio Corbucci, in cui Milian è sempre più istrionico e parolacciaro.

Caratteristiche queste che diventano fondamentali per il personaggio di cui Tomas Milian veste i panni negli anni Settanta, Er Monnezza, che segna anche il passaggio dallo spaghetti western al nuovo genere del decennio, il poliziottesco. Monnezza esordisce ne Il trucido e lo sbirro (1976) dello specialista del genere Umberto Lenzi, dove Milian interpreta sia il cattivissimo criminale il Gobbo che il fratello gemello buono Sergio Marazzi, detto appunto il Monnezza, che grazie al lavoro degli sceneggiatori, di un Milian spinto sul turpiloquio e del doppiaggio in romanesco di Ferruccio Amendola si impone come inconfondibile icona del periodo.

Il personaggio torna e si precisa nei successivi La banda del trucido (1977) di Stelvio Massi e La banda del Gobbo (1977, ancora Lenzi), fino a trasformarsi in quella che in sostanza è soltanto una sua variante, il commissario Nico Giraldi. Che è come Monnezza, volgare e senza freni: ma cambia il genere, che dal poliziesco duro passa alla farsa, in toni da commedia anche pecoreccia. Ed ecco che arrivano la sequenza di “squadre” (Squadra antiscippo, Squadra antifurto, Squadra antitruffa) e “delitti” (Delitto a Porta Romana, Delitto al ristorante cinese, Delitto sull’autostrada) in cui Milian, diretto sempre da Bruno Corbucci, costruisce la sua comicità di grana grossa e anche ripetitiva, in cui però lampeggiano gli ultimi scampoli di un cinema autenticamente popolare, grazie soprattutto agli impagabili duetti con Bombolo, a cui Milian era legato da un affetto sincero.

L’ultimo film della serie, Delitto al Blue Gay, era del 1984: una pellicola stanca, non solo per l’usura della maschera, ma anche per la fine di un’era e di un cinema, che ormai faticava anche a trovare successo al botteghino. E già infatti Milian aveva cercato altre strade, tornando contemporaneamente al cinema d’autore, con La luna (1979) di Bernardo Bertolucci e Identificazione di una donna (1982), di Michelangelo Antonioni e poi allontanandosi sempre più dal cinema italiano, con il ritorno in America e parti non da protagonista ma prestigiose in film come Havana (1990) di Sydney Pollack, JFK (1991) di Oliver Stone, Traffic di Steven Soderbergh (2000).

Ora che Tomas Milian è morto, possiamo dire che della sua lunga e multiforme carriera quello che resta e resterà nella memoria saranno i suoi personaggi istrionici e sopra le righe, Er Monnezza su tutti, e le tante maschere indossate negli spaghetti western, nel poliziottesco e nella commediaccia. Che sono stati gli ultimi esemplari di un cinema popolare, grossolano a tratti, ma pieno di umori, di volta in volta etichettato come trash, cult, stracult. Un cinema col quale tutta una generazione di spettatori si è formata nelle infinite visioni televisive dei canali privati negli anni Ottanta, che costituiscono un pezzo della nostra memoria cinematografica e sentimentale, oggi rivitalizzata dal consumo quotidiano su internet, dove i film rivivono smembrati in singoli frammenti che si trasformano in istantanei tormentoni. E Tomas Milian di questa memoria costituisce e costituirà un pezzo insostituibile.