Omicidio all’italiana, uno scivolone il nuovo film di Maccio Capatonda

Maccio inscena un finto delitto per puntare il dito contro la tv del dolore e la morbosità della gente. Ma la satira non morde, perché tra Cogne, Avetrana e i plastici di Vespa, la realtà ha ampiamente superato la finzione che vorrebbe metterla alla berlina.

Omicidio all'italiana il nuovo film di Maccio Capatonda

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Omicidio all’italiana è il nuovo film di Marcello Macchia in arte Maccio Capatonda, dopo Italiano medio, entrambi prodotti dalla Lotus di Marco Belardi, responsabile anche dello spin off Quel bravo ragazzo, che ha promosso il sodale di sempre Herbert Ballerina a protagonista.

Messi in fila, i film di Maccio compongono un ambizioso e raccapricciante bestiario italiano, ridanciano, grottesco, grossolano, che punta sulla deformazione per descrive la realtà d’un paese antropologicamente alla deriva.

La deformazione era la chiave di Italiano medio, storia di un dottor Jekyll ambientalista, politicamente corretto che si trasforma in un volgarissimo mister Hyde tutto sesso successo e soldi, con la tv come sola fonte, diciamo così, di acculturazione, e come unico orizzonte possibile per la realizzazione dei propri meschinissimi sogni.

L’ossessione televisiva è il fulcro anche di Omicidio all’italiana. Maccio ed Herbert sono Piero e Marino Peluria, ignorantissimi sindaco e vicesindaco di Acitrullo, comune molisano fantasma, 16 abitanti superstiti, età media settant’anni. I due vorrebbero rilanciare il paesello come meta turistica. Quando muore accidentalmente per soffocamento l’unica finanziatrice delle loro bislacche iniziative di promozione del territorio, la contessa Ugalda Martirio in Cazzati, arriva l’idea buona: simulare un omicidio, per richiamare l’attenzione dei media e trasformare Acitrullo in una delle “grandi capitali europee, Cogne, Avetrana, Novi Ligure”.

Cosa che puntualmente accade: in paese piomba la troupe di Chi l’acciso, il programma tv presentato da Donatella Bruzzone (Sabrina Ferilli) e sull’onda della pubblicità su Acitrullo si riversa un turismo morboso e voyeristico.

La comicità di Omicidio all’italiana è incardinata su due dispositivi continuamente ripetuti. Il primo consiste nel prendere le cose alla lettera, con gusto infantile: il cognome Peluria indica l’imbarazzante ipertricosi di Piero e Marino; quando il tecnico informatico dice che per internet ci vorrebbe la banda larga, Maccio fa distanziare gli orchestrali della banda musicale. Il secondo meccanismo punta sul grottesco e l’estremizzazione della realtà: l’arrivo dei giornalisti famelici provoca un terremoto; la troupe televisiva abbellisce la scena del crimine per renderla più spettacolare, col commissario (Gigio Morra) al loro completo servizio; i turisti si fanno i selfie mettendosi in posa nella sagoma della vittima.

Singolarmente prese, alcune gag sono divertenti. Ma l’insieme è sfilacciato, senza un’idea forte di sceneggiatura. La critica del mezzo televisivo di Omicidio all’italiana snocciola banalità: che la gente creda più alla finzione che alla realtà lo sappiamo, senza scomodare i massmediologi, dai tempi dello sketch di Indietro tutta in cui Massimo Troisi si convince d’essere Rossano Brazzi perché “l’ha detto la televisione”.

La deformazione del racconto non è abbastanza radicale e immediatamente fa capolino la realtà che gli sta dietro (Spruzzone esemplata sulla criminologa Roberta Bruzzone). Così la comicità non morde con la necessaria ferocia. Tranne in un caso: quando il tour operator di “Viaggi sventura” alla famigliola assetata di sangue offre, oltre alle scontate Cogne e Avetrana, l’agghiacciante pacchetto “Macelleria genovese”, con visita alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto. Questo era il tono aggressivo, sulfureo, su cui avrebbe dovuto puntare Omicidio all’italiana, il nuovo film di Maccio Capatonda.