Il finale di How to Get Away with Murder 3 spreca un’occasione e si aggrappa a Viola Davis (recensione)

Col finale di How to Get Away with Murder 3 la serie rischia di aver deluso qualche appassionato con dinamiche forzate: la nostra recensione

le regole del delitto perfetto 3 su rai2

INTERAZIONI: 240

Attenzione: contiene spoiler sul finale di How to Get Away with Murder 3 e delle trame degli episodi 3×14 e 3×15.

Rompo subito il ghiaccio per non girare intorno ad un pensiero al quale darei vita comunque, nelle parole che seguono, quindi non vedo perché aspettare: il finale di How to Get Away with Murder 3, cioè il modo in cui Pete Nowalk ha deciso di spiegarci gli avvenimenti dell’ultimo anno con gli episodi 3×14 e 3×15, è una grandissima delusione.

Sarebbe incosciente tirare un simile sasso – un macigno – e poi ritrarre la mano, quindi sono prontissima ad esaminare ed eviscerare ogni aspetto di questi due episodi finali della terza stagione di How to Get Away with Murder, per spiegare da cosa deriva un simile senso di delusione proprio da quella che ho sempre considerato una delle mie serie preferite soprattutto a livello di scrittura.

Partiamo dal fondo, e cioè dal colpo di scena finale: dopo aver scoperto sul finire dell’episodio 3×14 che l’assassino di Wes è un ragazzo ispanico, che ci viene fatto credere essere in combutta con Denver, si scopre che in realtà è un sicario inviato per uccidere Wes dal padre di Laurel, fiero di aver eliminato il fidanzato della figlia. Non mi esprimo sulla attuale mancanza di motivazioni, sul modus operandi misterioso e su tanti altri dettagli ancora sconosciuti, perché immagino che saranno i punti cardine della quarta stagione della serie. Certo, non si può negare che sia stato effettivamente un colpo di scena, perché nessuno si aspettava che fosse il padre di Laurel la mente dietro tutto questo: il problema sta nel fatto che è il colpo di scena sbagliato. Non sono una giallista o un’esperta di genere, ma ho abbastanza esperienza per dire che l’espediente del deus ex machina che risolve i problemi in scena funzionava solo col teatro greco dell’età classica: è assurdo in una narrazione odierna tirare fuori dal cappello un colpevole così avulso dal contesto che sì, genera il colpo di scena perché inaspettato, ma ammazza completamente ogni aspettativa e porta il tutto ad un più basso livello di credibilità.

L’ironia di questa scena, insomma.

La faccenda del procuratore corrotto ha invece spiegato molte cose, come il comportamento della Atwood e l’accanimento contro il caso di Annalise, ed effettivamente la scelta di Annalise di far ricadere i sospetti per l’omicidio di Sam e Rebecca sul morto è la cosa più intelligente, sensata e giusta che si potesse fare per evitare di avere un’altra stagione in cui potessero riemergere questi casi. Anche qui ci sono tuttavia dei punti oscuri, che a questo punto spero vengano approfonditi nella prossima stagione: Denver sa qualcosa dell’omicidio di Wes o prende solo la palla al balzo? Perché collabora col sicario facendosi portare il cellulare di Wes? La fonte anonima che ha incastrato Annalise esiste davvero o è solo una scusa per portare AK in tribunale?

Parliamo poi della parternità di Wes, che secondo me è il vero colpo di scena di questo episodio: anziché di Wallace Mahoney, è il figlio di Charles. L’aspetto deludente è che anche questo filo del discorso viene buttato lì e abbandonato per il futuro o forse per mai più, proprio come il rapimento vero o falso di Laurel: non viene spiegato, ad esempio, se dopo l’omicidio di Wallace i Mahoney abbiano tentato di riavvicinarsi a Wes spiegandogli la realtà delle cose, e se fossero loro i destinatari della chiamata “In caso di emergenza” fatta da Wes nel flashback, alla quale rispondeva presentandosi come Cristophe. Sì, magari anche questi aspetti verranno approfonditi nella quarta stagione, ma non era davvero necessario lasciarli lì fino all’anno prossimo: si poteva benissimo gestire meglio il tempo sprecato in tutti gli episodi dalla midseason première in poi e far quadrare i conti all’interno di questo arco di episodi. Piccola menzione poi per la poca credibilità che la fisicità di Charles Mahoney presta alla questione: o si porta molto bene i suoi almeno 40/45 anni, o davvero non si spiega come possa essere il padre di qualcuno che sembra avere la sua età. Mi rifiuto, aprendo una piccola parentesi, di credere invece che il “era mio figlio” di Annalise significasse che Wes era suo figlio biologico: oltre a spezzare la delicatezza di quel momento, di cui parlerò approfonditamente qualche riga più giù, significherebbe davvero che abbiamo toccato il fondo del barattolone della fantasia. E non sono ancora pronta ad affrontare una cosa del genere.

Di questo finale di How to Get Away with Murder mi sono piaciute in particolar modo solo due cose: il trattamento del personaggio di Connor e la fisicità marcata di certe situazioni e scene particolari. Sono molto contenta del fatto che finalmente si sia ridata dignità a Connor, e che sia stato spiegato a fondo il motivo per cui si è comportato da schifo dalla midseason première in poi: il senso di colpa è stato trattato con profondo rispetto, mostrando il modo in cui può cambiare in negativo una persona. Abbiamo visto Connor cambiare e chiudersi in se stesso, salvo poi liberarsi del macigno confessando tutto e rivelando anche la propria fragilità nell’avere paura di essere ritenuto colpevole, come se fosse l’unico a comprendere l’assurda corruzione della situazione in cui si trova, in cui tutti possono essere gli assassini di tutti – e questo passa per la normalità.

Non si può, infine, non notare come sia Viola Davis ad alzare terribilmente il livello di questa produzione: non è un caso che le scene scritte ed interpretate meglio siano le sue, che riesce a provocare la pelle d’oca con le sue parole e la sua gestualità. Il monologo finale, quello in cui finalmente ammette tra le lacrime e il dolore che considerava Wes come un figlio, è forse la cosa più genuina mai vista in tre stagioni di How to Get Away with Murder: la disperazione di una donna che ne ha passate di ogni e si è sempre rimessa in sesto in barba al pensiero di chiunque, e che qui non riesce e non vuole farsi scorrere addosso quella che forse è la peggiore tragedia che le sia mai capitata. Se non fosse per Viola Davis questo show non sarebbe quello che è: è lei il motivo per cui questo finale non è un completo disastro di scrittura e interpretazione, e non finirò mai di esserle grata.

La quarta stagione di How to Get Away with Murder ci deve molto. Prima di tutto, ci deve spiegazioni su tutto ciò che abbiamo visto in queste due ore finali della terza stagione. In realtà, però, ci deve molto di più: ci deve finalmente una trama plausibile, intrecciata a dovere, che torni ai livelli della prima e gloriosa stagione, che non sia blanda come quella della seconda stagione e che non si perda come ha fatto la terza. Ce lo deve, o altrimenti potrebbe essere l’ultima stagione di una serie che ormai ci ha dimostrato di vivere nell’ombra della sua protagonista.