Split, il thriller di M. Night Shyamalan ritrova il successo de “Il sesto senso”

In testa al botteghino americano, il nuovo film del regista di origini indiane racconta la storia di un criminale psicopatico con 23 personalità. Un vero tour de force l'interpretazione di James McAvoy.

Con Split M. Night Shyamalan ritrova il successo de Il sesto senso

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Due weekend in testa al box office americano, 77 milioni di dollari d’incasso complessivi: con Split, M. Night Shyamalan ritrova il successo de Il sesto senso. Di cui questo nuovo film ripercorre la fortunata formula del thriller psicologico con venature soprannaturali.

Traumatizzato sin dall’infanzia, Kevin (James McAvoy) è affetto da un disturbo dissociativo dell’identità, con ben 23 personalità differenti dietro cui ha seppellito la sua psiche ferita. Di volta in volta è un bambino, uno stilista effeminato, un adulto inflessibile ossessionato dall’ordine, una donna. La dottoressa Fletcher (Betty Buckley) che l’ha in cura pensa che per aiutarlo sia necessario dare spazio a ognuna delle identità. Cosa non semplice, dato che nemmeno lei talvolta sa bene quale sia la personalità con cui parla durante la seduta terapeutica.

Purtroppo la dottoressa non sa neanche che il suo paziente ha rapito tre ragazze, da offrire in sacrificio a una ulteriore, più terribile incarnazione di Kevin, che le altre 23 personalità stanno aspettando che si manifesti, con un’attesa quasi messianica. Una delle ragazze, la solitaria Casey (l’Anya Taylor-Joy di The Witch), ha una storia personale non meno complessa di Kevin. In comune col suo carceriere possiede la consuetudine al dolore: e perciò per salvarsi la vita cerca di entrare in contatto e fare leva sulle personalità più malleabili che abitano nella contorta psiche del suo aguzzino.

Split, ovviamente, è soprattutto un tour de force interpretativo di James McAvoy, che passa talvolta senza soluzione di continuità da una personalità all’altra. Il film, inevitabilmente, diventa una riflessione sul mestiere dell’attore, in bilico tra talento mimetico e la dissociazione connaturata al mettersi perennemente in maschera. E dato che a ogni personaggio corrisponde più o meno uno stile narrativo, Split è pure una meditazione sui generi cinematografici, su come li si possa manipolare e mescolare in un’epoca nella quale, tra serializzazione, reboot, transmedialità, la stabilità del racconto classico è definitivamente esplosa – forse con qualche deriva patologica, appunto.

Shyamalan condisce il racconto con la professionalità e gli ingredienti che gli sono propri: una suspense che sfocia nell’orrifico, gli immancabili colpi di scena, la messa in scena del mondo malato del criminale psicopatico, sia interiore che esteriore. Split si muove tra l’Hitchcock di Psycho e Il silenzio degli innocenti, vista l’immancabile abitazione del maniaco simile a invivibili sotterranei catacombali.

Il film regala qualche inquietudine autentica, soprattutto grazie alla sofferenza più “normale” di Casey. Convincono meno l’impalcatura psicologistica e l’ultima parte, in cui il soprannaturale dilaga, tirando via qualunque sfumatura. Al colpo di scena finale (che ovviamente non sveliamo, ma se ne parla dappertutto) si capisce dove il regista voleva andare a parare. Il che provoca qualche moto di delusione. Ma è una delle ragioni dell’ottimo esito al botteghino di Split, con cui M. Night Shyamalan ritrova il successo dei giorni migliori, ai tempi de Il sesto senso, Signs e Unbreakable.