In guerra per amore, la commedia d’impegno civile secondo Pif

Pierfrancesco Diliberto in arte Pif torna a parlare di mafia in un film ambizioso che tratta un tema scomodo, i rapporti tra Mafia e truppe alleate durante il secondo conflitto. Ma ne esce un racconto bozzettistico, indeciso tra commedia sentimentale e cinema civile.

In guerra per amore

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In guerra per amore, diretto e interpretato da Pif, sembra fatalmente il prequel di La mafia uccide solo d’estate, che descriveva l’escalation affaristico-criminale della mafia siciliana nell’ultimo trentennio del Novecento attraverso gli occhi dell’ingenuo Arturo, che progressivamente acquisisce consapevolezza del contesto in cui vive.

Nel nuovo In guerra per amore, ambientato negli anni Quaranta, un altro Arturo, sempliciotto italiano emigrato a New York, s’è innamorato di Flora (Miriam Leone), promessa sposa al figlio d’un boss mafioso italo-americano. L’unico modo per aggirare l’ostacolo è ottenere il consenso al matrimonio del padre della ragazza, che vive in Sicilia. Per incontrarlo, lo squattrinato Arturo s’arruola nell’esercito e partecipa allo sbarco alleato in Italia durante la Seconda guerra mondiale.

In guerra per amore descrive, in toni da commedia sentimentale a tratti fiabesca (lo “sbarco” in Sicilia di Arturo volando in groppa a un asino), il passaggio dalla piccola, innocente storia personale alla grande Storia collettiva, di cui ripercorre un passaggio controverso e pochissimo frequentato dal cinema, la collaborazione tra l’esercito alleato e la mafia, che ne avrebbe facilitato la conquista dell’isola.

In guerra per amore s’infila coraggiosamente nel ginepraio d’un acceso dibattito, che riguarda il peso realmente avuto dalla mafia in questa vicenda. Il film racconta che il boss statunitense Lucky Luciano fornì agli alleati i nominativi di uomini d’onore su cui avrebbero potuto fare affidamento; e mostra un capomafia siciliano, don Calò (esemplato su Calogero Vizzini), che s’accorda con gli americani e spinge i militari italiani ad arrendersi senza combattere. Fatti questi contestati da diversi studi recenti, che tendono a ridimensionare il ruolo della mafia durante la guerra. Ma non sono in discussione altri delicati passaggi narrati dal film, quali la scelta fatta dagli angoamericani di diversi mafiosi come sindaci (lo stesso Vizzini).

In guerra per amore ricorre anche a una certa magniloquenza, nelle scene di massa che mostrano lo sbarco delle truppe. Come ne La mafia uccide solo d’estate, Pif inscrive la materia ribollente della storia nei toni della commedia, con esiti però più incerti. Nel film d’esordio il punto di vista del bambino affascinato da Andreotti forniva alla storia una funzionale cornice grottesca e paradossale. Qui invece la linea narrativa principale – quella di Arturo (un Pif non all’altezza come attore) e del tenente americano (Andrea Di Stefano) che denuncia l’osceno compromesso tra mafia ed esercito – è indebolita da troppi bozzetti (la madre con bambino che aspetta il ritorno del marito dalla guerra; la coppia comico-malinconica del cieco e dello zoppo) che invece di arricchire il racconto, gli danno un tono e un ritmo ondivaghi.

Stona poi decisamente il finale in cui In guerra per amore s’impenna in una sbrigativa requisitoria che parte dall’apocalittico discorso d’insediamento del sindaco mafioso per arrivare a Ciancimino e Sindona, prefigurando la Cosa nostra dei decenni futuri. Così non solo il film perde coesione: ma soprattutto mostra di non riuscire a raccontare attraverso la ferocia sottile dell’ironia la storia della mafia, rifugiandosi nei toni programmatici di un cinema civile con messaggio incorporato.

https://youtu.be/ydJY-01ko3o