Liberami, il documentario sull’Italia dei preti esorcisti

Federica Di Giacomo raccoglie le voci di esorcisti e indemoniati in un racconto della possessione diabolica rispettoso e non sensazionalistico. Ne emerge il ritratto di una società che mette da parte le sofferenze che non comprende. A cui solo la Chiesa sembra saper dare ascolto.

Liberami di Federica Di Giacomo

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Dopo la vittoria nella sezione Orizzonti al 73esimo festival di Venezia, Liberami di Federica Di Giacomo, prodotto da Mir e Rai Cinema, arriva nei cinema distribuito da I Wonder Pictures. Formazione da antropologa, la regista racconta che l’interessa per il tema della possessione diabolica è nato quando scoprì l’esistenza di un corso di formazione per preti esorcisti da parte della Chiesa cattolica. Di lì la scrittura con Andrea Zvetkov Sanguigni di una sceneggiatura vincitrice del premio Solinas 2014, seguita da una lavorazione durata tre anni insieme al protagonista, padre Cataldo, un prete esorcista siciliano, fotografato nel lavoro quotidiano con i suoi numerosi assistiti.

Si può intuire la complessità e la delicatezza di un documentario che sceglie di raccontare la vita in prima persona di un composito gruppo di individui – uomini e donne, vecchi, adulti e giovani – che soffrono per quelli che padre Cataldo interpreta e cura come fenomeni di possessione diabolica. La struttura di Liberami, giustamente preoccupato di evitare qualunque sensazionalismo e di esporre con sguardo laico e rispettoso le vicende, opta per un linguaggio da cinema diretto, privo di musiche e senza commento fuoricampo, che sarebbe risultato irrimediabilmente giudicante.

A questa impostazione Liberami aggiunge qualcosa di inatteso, un tono quasi da commedia, nel quale proprio la registrazione oggettiva dei fatti fa emergere il grottesco intrinseco della realtà. Come gli esorcismi telefonici di padre Cataldo, gli appuntamenti gestiti dagli assistenti del religioso con una logica da sportello d’una pubblica amministrazione; e certi dialoghi, come quello in cui un’anziana, parlando con un ragazzo con numerosi piercing, imputa subito a quegli elementi “demoniaci” la ragione della sua possessione.

Liberami non sovrappone interpretazioni agli avvenimenti, né mira a rimarcare la pratica esorcistica come forma di superstizione. C’è uno sforzo di obiettività che può anche lasciare delusi, ma che nella sua resa spassionata degli avvenimenti sorprende e inquieta, come quando si vedono i rituali esorcistici di gruppo in chiesa, con tante persone che al solo sentire le formule del prete manifestano la loro incontenibile sofferenza.

C’è qualcosa di incomprensibile nel dolore, e per questo Liberami si focalizza sulle storie di alcuni posseduti (dal maligno o da cosa?), per ricostruire attraverso parole e comportamenti quotidiani se non una spiegazione – sarebbe semplicistico – un orizzonte di senso in cui inscrivere il fenomeno. Padre Cataldo motiva sempre la possessione con la presenza del maligno – che, sostiene, dipende da squilibri non individuali ma imputabili all’intero nucleo familiare –, e combina la sua visione di fede con un buon senso che gli fa consigliare alle persone che assiste di ridere e mangiare bene.

Un indemoniato commenta che “la società ti prende per pazzo e magari ti costringe al trattamento sanitario obbligatorio. Solo la chiesa ti aiuta”. Qui Liberami apre uno squarcio interrogativo sul contesto sociale, poco allineato sul dolore e sulla domanda di aiuto di un paese contraddittorio, a tratti paradossale, e però reale, cui solo la Chiesa sembra saper dare ascolto.