“Provaci ancora, Sam”, stasera in tv Woody Allen incontra Humphrey Bogart

Su Paramount Channel alle 21.10 il celebre film di Allen tratto da una sua commedia teatrale. Il protagonista è un tizio molto imbranato con le donne. All’improvviso appare il suo mito, il Bogart di “Casablanca”, che gli spiega il da farsi. Con esiti disastrosi. E irresistibili.

"Provaci ancora, Sam", Woody Allen incontra Humphrey Bogart

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Provaci ancora, Sam (1972), sebbene non diretto da Woody Allen, ha impresso il marchio dell’attore e regista newyorkese. In primo luogo perché è tratto da una pièce scritta da Allen che ebbe un notevole successo a teatro, con ben 453 repliche. E forse proprio il timore di non riuscire a ottenere da regista una trasposizione cinematografica all’altezza, spinse Allen a lasciare il compito al collaudato Herbert Ross (Il gufo e la gattina, Funny Lady), che indubbiamente regala al film uno stile più pulito ed equilibrato rispetto alle prime regie di Allen (Prendi i soldi e scappa, Il dittatore dello Stato libero di Bananas), ruvide, anarchiche, persino un po’ dilettantesche sotto il profilo formale.

Provaci ancora, Sam è un film assolutamente alleniano, soprattutto perché pone con chiarezza un tema centrale del suo cinema: il rapporto tra cinema e realtà, nel quale il mondo dell’immaginario si dimostra più desiderabile e gratificante della vita vera. Provaci ancora, Sam racconta infatti la storia di Allan Felix (che nella versione italiana diventa Sam, nel dubbio che lo spettatore italiano non capisse il riferimento a Casablanca contenuto nel titolo), critico cinematografico trentenne che viene lasciato dalla moglie. La coppia di amici di sempre, Tony Roberts e Diane Keaton, cerca di risollevargli il morale facendogli incontrare altre ragazze, ma la sua comica imbranataggine fa fallire tutti gli appuntamenti al buio. E allora improvvisamente, per aiutare Allan, appare in carne, ossa e celluloide la sua ossessione cinefila, l’Humphrey Bogart di Casablanca con impermeabile d’ordinanza, che dà suggerimenti su come trattare le donne a base di whisky, ceffoni e pose da macho.

Il corto circuito tra cinema e realtà di Provaci ancora, Sam anticipa di molti anni quello di un altro celebre film di Woody Allen, La rosa purpurea del Cairo (1985), nel quale l’avventuroso protagonista d’una pellicola romantica esce letteralmente dallo schermo perché s’invaghisce d’una spettatrice in sala. Ma, a ben vedere, gran parte del cinema di Woody Allen è incatenato a questa dialettica tra immaginario e vita reale. Anche il suo primo lungometraggio, Prendi i soldi e scappa (1969), è una variazione ironica sul tema del prison movie la cui esistenza è possibile solo a partire da tutti i film che cita e di cui si sostanzia.

In questo senso Woody Allen è perfettamente figlio del suo tempo e, sebbene a partire da un percorso molto differente – una formazione da gagman per la tv e stand-up comedian –, ha molte assonanze con i registi assai cinefili (Scorsese, De Palma, Spielberg, Lucas) che negli anni Settanta rinnovarono il cinema americano tramite un approccio alla narrazione sempre filtrato dall’immaginario dell’epoca precedente. Un mondo di film fatti a partire da altri film. Sotto questo aspetto l’autore che più si avvicina a Woody Allen è forse Peter Bogdanovich, ex critico cinematografico, che parte dal presupposto che ogni storia sia stata già raccontata e quindi realizza “nuovi” film che sono variazioni, ripetizioni e citazioni di un patrimonio irripetibile, cui guarda con profonda nostalgia (come nel paradigmatico L’ultimo spettacolo, incentrato sulla lugubre chiusura dell’ultimo cinema di un paese sperduto del Texas).

Buona parte della filmografia di Woody Allen può essere ripercorsa in questa chiave, a cominciare dal bizzarro esperimento di Che fai rubi? (1966), in cui Allen attraverso il ridoppiaggio e l’aggiunta di nuove sequenze trasforma una parodia giapponese della serie di James Bond in una parodia al quadrato. Un cinema quindi che talvolta nasce da un materiale preesistente. E che in altri casi, come nel capolavoro Zelig (1983), quel materiale lo ricrea con cura filologica, per dargli grana e sapore del tempo che fu. Sono numerosi i film di Allen intrisi di cinefilia, che o rimontano a universi autoriali specifici (Interiors e Bergman, Stardust Memories e di Fellini) o rimandano a uno sguardo nutrito di altri film (pensiamo alle pellicole che raccontano New York in un commovente bianco/nero, che dà alla città una consistenza tutta cinematografica, come Manhattan e Broadway Danny Rose).

Provaci ancora, Sam costituisce quindi uno dei primi esempi nel cinema di Allen del legame tra realtà e immaginario. Un rapporto che però è più complesso di come potrebbe apparire: nel senso che non dobbiamo pensare che, semplicisticamente, Allen sostenga che il sogno sia preferibile al mondo concreto e che quindi il suo obiettivo sia rifugiarsi nei film (questa semmai è la deriva dell’Allen senile). Perché è vero che Bogart è infinitamente superiore agli uomini comuni, ma i suoi insegnamenti sull’universo femminile sono di pochissimo aiuto ad Allan. Il quale riesce a essere all’altezza del suo mito solo quando può ripeterne il fallimento, costretto a lasciare andare per nobili ragioni la donna che ama come nel finale di Casablanca. Il cinema e la vita, insomma, lasciano entrambi un retrogusto amaro. Forse in un film, almeno, la sconfitta ha un sapore onorevole e fa sentire all’altezza delle aspettative che si hanno su di sé. Ma la felicità è un’altra questione.