Al Giffoni Film Festival 2016 Claudio Giovannesi “il cinema deve essere pop, anche se parla della realtà”

Il regista parla ai ragazzi del Giffoni Film Festival del suo ultimo film, "Fiore". Una delicata storia d’amore ambientata in un carcere minorile, un’opera originale che mescola sguardo documentario e melodramma. Poi ai microfoni di OM Giovannesi racconta la sua esperienza di regista in Gomorra 2.

Giffoni Film Festival 2016 Claudio Giovannesi

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“Con Fiore pensavo di aver fatto una commedia sentimentale, poi mi hanno fatto capire che non era proprio così”. È ironico Claudio Giovannesi, incontrando i ragazzi della Masterclass del Giffoni Film Festival. Fiore è il suo ultimo film, passato con lusinghieri riscontri della critica a Cannes: la storia di un amore che sboccia all’interno di un carcere minorile, che mescola uno sguardo realista a un’attenta sensibilità ai sentimenti.

Ai produttori l’avevo presentato come una specie di Tempo delle mele in carcere, una vera storia d’amore – continua Claudio Giovannesi – E per me questo è un film sull’amore di due ragazzi chiusi in un carcere minorile, un luogo nel quale è impossibile avere contatti e dove l’amore è rigorosamente vietato. Così sono obbligati a comunicare attraverso lettere che si scambiano clandestinamente. Questo rende la storia molto più forte, perché come ci insegna Romeo e Giulietta, più grande è l’impedimento, più grande è l’amore”.

Claudio Giovannesi è riuscito a costruire una storia che tiene in equilibrio la sua propensione a un racconto documentario della realtà – come nei suoi precedenti lavori, Fratelli d’Italia e Alì ha gli occhi azzurri – con la voglia di impiegare un genere, il melodramma, che gli ha consentito di sviluppare una storia emozionante di esseri umani. “Io parto sempre dalla realtà – ribadisce Claudio Giovannesi – perché ho bisogno di incontrare delle vere persone e vedere dei luoghi, altrimenti non riesco a immaginarmi una storia. Quindi nella fase di preparazione del film ho preso gli sceneggiatori, che spesso sono dei personaggi pigri, che non amano spostarsi dalla stanza in cui scrivono, e lì ho portati in un vero carcere minorile. Abbiamo passato diversi mesi lì: e il mio ordine per gli autori era stato di non scrivere nulla per i primi tre mesi, ma solo di osservare e capire”.

Il metodo del documentarista poi si è mescolato con la propensione al genere, che ha arricchito di emozioni il racconto. “Penso che il cinema debba essere pop anche se parla della realtà, è una cosa che ci ha insegnato Monicelli. Perciò ho inserito il melodramma, che aiuta anche a raggiungere più spettatori. Se si possono avere dieci spettatori invece di uno non vedo perché rinunciarvi. Resta naturalmente la regola che non bisogna mai essere disonesti, mai fare operazioni studiate a tavolino. Anche perché è impossibile prevedere le reazioni del pubblico”.

Dopo l’incontro poi, ai microfoni di OM, Claudio Giovannesi ha raccontato la sua esperienza in Gomorra 2, in cui è stato uno die quattro registi coinvolti, insieme a Stefano Sollima, anche showrunner del progetto, Claudio Cupellini e Francesca Comencini. “Io sono arrivato a Gomorra perché Stefano Sollima aveva visto Alì ha gli occhi azzurri, apprezzando il mio modo di raccontare la realtà. Per questo mi ha chiamato. L’esperienza poi è stata splendida, un lavoro di squadra, dodici puntate per quattro registi, in cui si deve assolutamente mantenere uno stile unico. Quello che però mi era vicino in questa storia era il fatto che si tratta sempre del racconto di un ambiente. Non è un teatro di posa, si sta a Scampia, a Secondigliano e spesso si lavora con le persone che realmente vivono quel territorio. Quella vicinanza alla realtà mi ha consentito di entrare nel racconto. Poi ovviamente mescolandolo con il crime, l’action e la grande tematica della lotta per il potere”.