Addio a Bud Spencer, il gigante buono del cinema popolare italiano

Muore a 86 anni un'icona del nostro cinema popolare. Con Terence Hill ha costituito una delle più longeve coppie del cinema italiano. Una vita avventurosa come la trama di un film: ha lavorato in Sudamerica, è stato autore di canzoni e campione di nuoto.

Addio a Bud Spencer il gigante buono del cinema italiano

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È morto nella serata del 27 giugno in un ospedale romano a 86 anni Bud Spencer. È stata una grande icona del nostro cinema popolare, amatissimo soprattutto dai giovani, protagonista nella fortunatissima coppia con Terence Hill – un binomio perfetto, il grosso e il magro, il burbero barbuto e il belloccio dagli occhi azzurri – di tanti film western e d’avventura, pieni di scazzottate omeriche e innocue come quelle dei cartoon. I due sono stati talmente famosi che, quando all’ultimo festival di Cannes un giornalista ha detto a Russell Crowe che le schermaglie col collega Ryan Gosling in The Nice Guys gli ricordavano quelle della coppia italiana Spencer-Hill, lui è stato davvero lusingato del complimento (l’attore americano ha dedicato anche un tweet di cordoglio a Bud Spencer).

Il suo vero nome era Carlo Pedersoli, nato a Napoli nel popolare quartiere di Santa Lucia nel 1929. La sua vita è stata un curioso romanzo, pieno di cose ed esperienze. Prima il trasferimento con la famiglia a Roma, a 11 anni, dove studia con profitto, si diploma a 17 anni e comincia a studiare Chimica all’università. Segue la trasferta in Sudamerica, l’abbandono degli studi e diversi lavori, tra cui il segretario al consolato.

Al ritorno in Italia, esplode un’altra sua passione, il nuoto: e quest’omone di un metro e 92 e più di cento chili di peso diventa un campione, addirittura il primo italiano a infrangere la barriera del minuto nei 100 stile libero, la specialità in cui vinse una medaglia d’argento ai Giochi del mediterraneo, partecipando anche ai campionati europei di Vienna e le Olimpiadi di Helsinki, Melbourne e Roma.

Il cinema comincia quasi per caso, sempre per la sua fisicità straripante, perfetta per i peplum che tanto andavano negli anni Cinquanta. La prima comparsata è nella superproduzione hollywoodiana Quo vadis? (1951), girata come tanti film di quell’epoca a Cinecittà. Un’occasione più consistente gliela offre Mario Monicelli in Un eroe dei nostri tempi (1955), in cui è il muscoloso fidanzato di Giovanna Ralli, insidiata, mal gliene incolse!, da un pavidissimo Alberto Sordi. Poiché non si concretizzano grandi occasioni all’orizzonte, Carlo Pedersoli cambia ancora: un altro periodo di vita in Sudamerica e poi, al ritorno, persino un’inedita attività di paroliere per l’etichetta musicale Rca.

Era scritto però che il cinema fosse il suo destino, anche per parentela acquisita, dato che Carlo aveva sposato Maria Amato, figlia del noto produttore ed esercente cinematografico Peppino Amato. Fu il regista Giuseppe Colizzi a offrirgli di nuovo una parte cinematografica, per un western che si sarebbe chiamato Dio perdona… io no! (1967), dove per la prima volta quello che ormai è diventato Bud Spencer (per un omaggio all’amato attore americano Spencer Tracy) incontra Mario Girotti, in arte Terence Hill.

Il successo è inatteso e straordinario, ben due miliardi d’incasso, e allora Colizzi replica immediatamente rilanciando la coppia in I quattro dell’Ave Maria (1968) e La collina degli stivali (1969). All’inizio si tratta ancora di western abbastanza tradizionali, con la violenza e i morti ammazzati, ma col tempo si capisce che il vero segreto sta nel trasformare la coppia nei protagonisti di un nuovo sottogenere western ironico e picaresco, che vira progressivamente sempre più verso il fumetto. L’apoteosi del modello è raggiunta con la saga di Trinità: in Lo chiamavano Trinità (1970) e Continuavano a chiamarlo Trinità (1971), entrambi diretti da E.B. Clutcher (l’italianissimo Enzo Barboni), Trinità (Hill) e Bambino (Spencer) sono due fratellastri malviventi, pistoleri velocissimi e al fondo di buon cuore che aiutano il prossimo. Con Trinità il western punta decisamente verso il burlesco: i morti scompaiono e la scena viene occupata da scazzottature inoffensive, con gran divertimento soprattutto dei bambini, per i quali Bud Spencer diventa un vero beniamino.

A questo punto la formula viene ripetuta in diverse salse: prima di tutto trasferendo la coppia Spencer-Hill in ambientazioni contemporanee, come in Altrimenti ci arrabbiamo! (1974), uno degli altri loro enormi successi – ricordiamo solo la celebre e divertentissima gag del coro – , e Io sto con gli ippopotami (1979). E poi anche dividendo la coppia.

E sarà proprio Bud Spencer a ottenere i maggiori successi con un nuovo indovinato personaggio, l’ispettore Rizzo detto Piedone, protagonista di una fortunata saga di quattro episodi iniziata con Piedone lo sbirro (1973) di Steno, dove Bud Spencer è un poliziotto dallo stile umano ma dal carattere ovviamente irascibile, che non porta mai la pistola e abbatte i cattivi a suon di sganassoni.

Dopo Piedone Bud Spencer diventa definitivamente il gigante buono, un vero eroe amatissimo dai più piccoli. Quasi una maschera: il che ne ha esaltato alcune qualità caratteriali, ma allo stesso tempo ne ha limitato opportunità interpretative al di fuori del cliché consolidato. E infatti, nonostante Bud Spencer abbia recitato anche in film di natura diversa, come 4 mosche di velluto grigio (1971) di Dario Argento, Torino nera (1974) di Carlo Lizzani o, più recentemente, la prestigiosa partecipazione a Cantando dietro i paraventi (2003) di Ermanno Olmi, la sua carriera è restata sempre legata a quel personaggio assai tipizzato.

Talvolta Bud Spencer se ne rammaricava e gli dispiaceva pure che la coppia Spencer-Hill fosse stata un po’ dimenticata. Una parziale riparazione fu il David di Donatello alla carriera consegnato a entrambi nel 2010. Ma credo che il più grande riconoscimento per Bud Spencer stia nell’affetto sincero dimostrato nei suoi confronti da diverse generazioni di spettatori, a cui l’attore ha regalato un personaggio forse sì un po’ ripetitivo – anche per la pigrizia di un’industria del cinema troppo conservativa e tendente a replicare le formule di successo – ma caratterizzato da un gran senso dell’autoironia e un’umanità non comuni.