Captain America: Civil War. Supereroi e danni collaterali

Dopo una missione che causa vittime innocenti, i governi impongono agli Avengers di mettersi sotto il comando dell’Onu. Qualcuno si ribella: e scoppia una battaglia fratricida tra supereroi. "Civil War" parla ambiziosamente di terrorismo e controllo della violenza. Ma il risultato non è all’altezza.

Captain America: Civil War con Robert Downey

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C’è una singolare coincidenza di temi tra i due ultimi blockbuster supereroistici, Batman v Superman: Dawn of Justice e Captain America: Civil War diretto, come il precedente episodio dell’eroe a stelle e strisce, The Winter Soldier, dai fratelli Anthony e Joe Russo. Entrambi i film riflettono sulla questione non poco attuale, nell’epoca della sfida al terrorismo, dei “danni collaterali”, del male che la ricerca del bene produce inavvertitamente e, forse, inevitabilmente.

In Captain America: Civil War una missione degli Avengers causa numerose vittime innocenti, e così riemerge la storia della distruzione di Sokovia del precedente Avengers: Age of Ultron. Il che porta a un’esplicita richiesta dei governi mondiali affinché i supereroi vengano posti sotto l’egida dell’Onu.

Tra gli Avengers si produce una spaccatura, con un intelligente, dal punto di vista narrativo, ribaltamento di prospettive: nel senso che è il gruppo che fa capo al solitamente indisciplinato Iron Man (Robert Downey jr.) ad accettare la disposizione governativa, mentre il soldato e patriota per eccellenza, Capitan America (Chris Evans), si ribella. Così, come in Batman v Superman, di fronte alla necessità di porre un freno alla propria onnipotenza, i supereroi trovano come risposta un ulteriore conflitto, stavolta interno al loro mondo e potenzialmente autodistruttivo.

I buoni combattono contro i buoni: ma diversamente da Batman v Superman, in Captain America: Civil War non c’è la riappacificazione dopo le momentanee divergenze per lottare contro il nemico di turno. E se un avversario alla fine c’è anche qui, non è il solito supercattivo, ma un individuo comune mosso da ragioni umanamente persino condivisibili (Daniel Bruhl).

Sono i colpi d’ala di una pellicola che cerca di non ripetersi negli stantii clichés del genere supereroistico. Ed è interessante indagare il tempismo con cui due film appartenenti allo stesso filone tematizzino la medesima questione, il controllo della violenza. Un fatto che forse rispecchia dubbi e riflessioni che attraversano un paese passato dall’uso sregolato della forza nell’era di Bush jr. dopo l’11 settembre alle cautele responsabili dell’era Obama. Dubbi rilanciati dagli interrogativi che, sull’argomento, pone una possibile, enigmatica presidenza Trump.

Enumerati i punti di forza, vanno poi sottolineati i limiti di Captain America: Civil War. Il quale è inserito in quell’ingombrante macroracconto seriale che è l’universo Marvel, ed è quindi appesantito dall’obbligo di narrare non solo la propria storia, ma anche di porre i presupposti del prossimo episodio degli Avengers, che sarà diretto dagli stessi fratelli Russo. È farraginosa anche l’idea dei due gruppi che per rimpinguare le fila devono andare a caccia di forze fresche, e così compaiono troppi eroi da gestire contemporaneamente, da un giovanissimo Uomo Ragno allo scanzonato Ant-Man.

Non funziona, infine, proprio il meccanismo del conflitto tra buoni-buoni e i buoni-cattivi, poiché è ovvio, anche dal modo in cui questi amici-nemici combattono tra loro, che nulla di irreparabile potrà davvero accadere. Così la suspense si dissolve e lo spettatore è costretto a sorbirsi le solite coreografie acrobatiche di duelli condite di effetti speciali impeccabili e noiosissimi.