Il club – nefandezze ecclesiastiche e ipocrisie taciute secondo il vangelo di Pablo Larrain

Quale inganno è più abominevole di quello perpetrato con l’ausilio della buona fede religiosa? La risposta, scontata, è alla base di alcuni lavori di condanna che hanno contribuito, recentemente, a rompere il muro di ipocrisia di certi presunti salvatori di anime. Il club persegue questa direzione: una direzione che però rimane ancora lunga e incompiuta nel suo dispiegarsi


INTERAZIONI: 7

Sembrerebbe quasi che, negli ultimi tempi, la chiesa cattolica sia da un punto di vista cinematografico sotto attacco: basti citare solo Il caso Spotlight, recentissimo lavoro in questo senso, pluricandidato alle prossime ambitissime statuette hollywoodiane. Una delle ultime pellicole a suffragare questa sensazione è Il Club, lungometraggio del regista Pablo Larraìn. D’altronde l’intenzione è chiara fin dal titolo stesso del film: il tono di condanna, aspro e sarcastico, srotolato dalla trama stessa su certi moralismi religiosi funge da premessa alla sceneggiatura che indaga sull’origine stessa delle deviazioni e delle distorsioni sessuali. Un sussurrare inquietante e imbarazzante di azioni aberranti.

Il film sviluppa il suo raccontarsi sulla vita monastica, condotta in una piccola dimora, da quattro sacerdoti. Sono lì per riflettere su non meglio precisate colpe e peccati, e il loro quotidiano viene scandito da regole, all’insegna dell’intransigibilità, che combaciano con quelli che sono visti come confini invalicabili del dogma. Ma il succedersi maniacale di preghiere, confessioni e umili gesta, non frena una cocente verità che di lì a poco verrà a galla. Elemento scatenante sarà l’arrivo di un nuovo sacerdote, seguito dalle urla di un uomo che gli rimprovera una storia di abusi subiti nel suo passato. Da quel momento in poi le verità che verranno fuori saranno sconcertanti: all’insegna di vergognose premesse inconfessabili.

Il club si preannuncia come un evidente lavoro di condanna, ma vale comunque il motivo di fondo che sottende la perseguibilità di certi atteggiamenti e la relativa condanna da perpetrare sempre e ovunque, in determinati contesti: l’umana condizione psicologica deviata da certe logiche contorte. Presunte verità religiose, in realtà aberrazioni dogmatiche: è questo l’aspetto da mettere in luce in certe tematiche, al di là della loro eventuale trasposizione cinematografica.

Non sta certo allo spettatore qualsiasi capire la totalità di certe dinamiche perverse, ma è di sicuro doveroso ed immediato il parere che può scaturire dall’approfondire ciò che a molti è già noto: come e perché certi ambienti religiosi (?!) riescono a scatenare atteggiamenti diametralmente opposti a quelli professati. È fortemente auspicabile cioè che possa esserci, in questa come in altre pellicole, l’intenzione plausibile di porre l’accento non esclusivamente sulla condanna di un sistema (operazione tanto logica e doverosa, quanto ormai scontata e paradossalmente limitativa), quanto sulle premesse inconfutabili che caratterizzano la psicologia di certi ambienti. E ben vengano le più o meno recenti aperture del Vaticano su certe vergogne taciute fin troppo: la credibilità di certe istituzioni, di certi credi, di certi dogmi, ha anche la trasparenza e l’umiltà come anticamera di veridicità.

Il Club è uscito nelle sale cinematografiche nostrane oggi 25 febbraio 2016.

A seguire c’è il trailer: