The Danish Girl: Eddie Redmayne diventa Lili, la prima transgender della Storia

La storia di Lili Elbe, la prima persona che si è sottoposta all’intervento di riassegnazione sessuale. Raccontata però come un film in costume che sfuma tutti gli aspetti più scabrosi. Quattro le nomination agli Oscar: ma più di Redmayne, la statuetta potrebbe vincerla Alicia Vikander.

The Danish Girl Eddie Redmayne prima transgender

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The Danish Girl, tratto dal bestseller omonimo di David Ebershoff, è la storia della prima persona che si è sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale. Nel 1926 Einar Wegener (Eddie Redmayne) è un quotato pittore danese di paesaggi, sposato a Gerda (Alicia Wikander), artista specializzata in ritratti. La vita di coppia cambia quando Einar sperimenta il travestimento in abiti femminili, posando per un quadro della moglie. L’apparente gioco, con tanto di assunzione d’un nome di donna, Lili, fa riaffiorare pulsioni sperimentate dal pittore in giovanissima età. Dopo una festa alla quale Einar partecipa vestito da donna e in cui viene avvicinato da un uomo che cerca di sedurlo (Ben Whishaw), la situazione precipita.

La parte femminile di Lili prende il sopravvento. Gerda è di fronte a una nuova identità che la lascia sgomenta e affascinata: perde Einar ma trova la modella Lili, grazie alla quale i suoi ritratti acquistano una profondità che la sua pittura non aveva mai avuto.

Tom Hooper (Il discorso del re, I miserabili) non sembrava il regista più adatto per raccontare una vicenda di complesse implicazioni psicologiche e soprattutto per dare corpo, col suo garbato calligrafismo, alla trasformazione fisica del protagonista. Ed è difficile non percepire nella messa in scena una sorta di scarto tra il “cosa” e il “come”, che elude gli aspetti più “scabrosi” della storia di Lili Elbe. The Danish Girl mantiene un’asettica compostezza, come se il regista preferisse aggirare l’argomento e rifugiarsi nel racconto d’un primo Novecento d’impeccabile equilibrio figurativo da film in costume – ed è infatti sull’abbigliamento, e non sull’esplicito sessuale, che punta il film per mostrare il cambio d’identità del protagonista.

Quando poi Einar-Lili decide di sottoporsi al rivoluzionario intervento chirurgico di riassegnazione, operato dal sessuologo Marcus Hirschfeld (Sebastian Koch), The Danish Girl diventa ancora più distante e rarefatto, sfumando i passaggi più disturbanti nei sorrisi gentili di un Redmayne di virtuosistico mimetismo e nel patetismo del personaggio di Gerda, che gli resta accanto nonostante tutto.

Ma qualche intuizione c’è. The Danish Girl mostra una Danimarca di austero grigiore, sintetizzata dagli spazi spogli e geometrici dell’appartamento di Einar e Gerda. La comparsa di Lili costituisce una rottura dell’uniformità, mostrata come una pennellata di colore vivo su una tavolozza cupa e monotona. Hooper, insomma, trasforma la pittura nell’asse tematico del film, chiave metaforica per raccontare la “diversità” di Lili. Che non rompe tanto gli equilibri sociali o morali dell’epoca, quanto quelli della composizione visiva.

Gerda elegge Lili a soggetto esclusivo dei suoi quadri, che rappresentano la sua modalità per cercare di comprendere in The Danish Girl cosa ne è stato del suo compagno. E il suo stile subisce una profonda metamorfosi, riflesso d’una acquisizione di consapevolezza e del bisogno d’una forma nuova capace di raccontare una realtà nuova. Ed è solo guardando dal vivo i malinconici paesaggi che Einar dipingeva nelle sue tele piene di riserbo che Gerda capisce i segreti dell’anima di un uomo enigmatico al quale era stato accanto per una vita senza mai davvero conoscerlo.