Concorrenza sleale: stasera l’omaggio di Canale 5 a Ettore Scola

Abatantuono e Castellitto sono due commercianti negli anni del fascismo. Emesse le leggi razziali, l’ebreo Castellitto perde il negozio. E l’altro comincia a capire come stanno davvero le cose. Uno degli ultimi film di Scola, sul passato (e forse anche sul presente) dell'Italia. Da rivalutare.

Concorrenza sleale omaggio a Ettore Scola

INTERAZIONI: 63

Va dato atto alla tv italiana, per una volta, di aver colto l’importanza della scomparsa di un artista come Ettore Scola. Programmazioni rivoluzionate, anche in prima serata, per dare spazio ai suoi capolavori riconosciuti, da C’eravamo tanto amati a Una giornata particolare. Tra i numerosi film trasmessi, però, abbiamo scelto uno dei meno celebrati, Concorrenza sleale (2001), in onda stasera su Canale 5 in seconda serata, alle 23.30.

È una riflessione articolata e più cupa di quanto sembri ambientata negli anni del fascismo, nel periodo della promulgazione delle leggi razziali del 1938. Come per Una giornata particolare, ma con un tono molto diverso, Scola sceglie di raccontare la dittatura attraverso un microcosmo. Che lì era ridotto all’osso di due soli personaggi, mentre qui è l’intera vita di una strada di Roma (ricreata a Cinecittà) a sintetizzare lo spirito dell’epoca.

Una via con due botteghe affiancate, un’elegante sartoria gestita dal milanese Umberto Melchiorri (Diego Abatantuono) e una merceria del commerciante ebreo Leone Della Rocca (Sergio Castellitto), che però, con gran dispetto dell’altro negoziante s’è messo a vendere capi confezionati, facendogli a suo dire “concorrenza sleale”. Intorno a loro ruota un mondo variegato: le due famiglie in primo luogo, coi rispettivi bambini, Pietruccio e Lele, legatissimi compagni di scuola, e i figli grandi Paolo e Susanna (Elio Germano e Gioia Spaziani) che, come novelli Romeo e Giulietta, pur figli di due nemici giurati, si amano. Poi ci sono i fratelli di Umberto, l’insofferente antifascista professor Angelo (Gerard Depardieu), e un buono a nulla che, guarda caso, troverà la sua ragion d’essere indossando una camicia nera.

D’accordo, Concorrenza sleale ha qualche didascalismo e passaggi troppo esemplari: ma ricrea un universo puntuale, tra giornali d’epoca con titoli enfatici sulla magnificenza della dittatura, le voci stentoree alla radio e soprattutto un’umanità brulicante divisa tra chi i soprusi li sopportava e chi li sposava con entusiasmo. Scola costruisce un film comunque composito, incardinato sul binario di un doppio sguardo. Concorrenza sleale da un lato è la storia vista con gli occhi di un italiano qualunque, il commerciante Umberto, sostanzialmente privo di un’opinione definita sulle trasformazioni in atto. Una volta promulgate le leggi razziali, però, a Leone tolgono la licenza del negozio: e allora l’ignavia di Umberto s’incrina, e un certo qual senso della giustizia comincia ad affiorare in lui. E questo sebbene, dal punto di vista imprenditoriale, quanto avvenuto vada tutto a suo vantaggio: perché, Scola ci ricorda con sommesso umanesimo, non può essere solo questione di “roba”.

Esistono valori a cui bisogna semplicemente tener fede anche perché, come insegnava De Sica, “i bambini ci guardano” e attendono il nostro esempio. Ed ecco il secondo punto di vista che Scola adotta in Concorrenza sleale: quello dei piccoli Pietruccio e Lele, che a poco a poco prendono coscienza del proprio tempo. Il regista inevitabilmente mette nei ragazzini qualcosa del suo, di sguardo, dato che nel 1938 aveva 7 anni. Pietruccio schizza bozzetti satirici, come piaceva a Scola, che dopo la guerra ne avrebbe fatto il suo primo lavoro, al Marc’Aurelio. Il ritratto dei ragazzini è affettuoso, con il racconto dei loro primi fremiti alla scoperta del sesso e l’educazione sentimentale di Pietruccio che smista le lettere appassionate di Paolo e Susanna.

Se lo si osserva appena un po’ più a fondo, però, lo sguardo di Scola non è per niente conciliante. Da tanti dettagli emerge un paese non poco meschino: che s’è adattato a una “lingua di legno” anonima e burocratica, che gli italiani parlano per sentirsi sollevati da qualunque responsabilità; in cui basta l’alibi della famiglia per annuire a qualunque scempiaggine e dove, come si lamenta il professore, “persino i bambini sono pomposi” e privi di senso dell’ironia. Un paese che non si può più accontentare del suo bel sole o della leggenda degli “italiani brava gente”, come s’illude l’orologiaio ebreo profugo dell’Est Europa che crede il fascismo sia poco più d’una parata militare (ma alla fine viene deportato).

Concorrenza sleale parte con un tono dolciastro da bozzetto e si trasforma via via in un dramma. La sensazione che resta alla fine è di mestizia, aggravata da un atroce sospetto. E cioè che Scola abbia scelto di raccontare la storia attraverso lo sguardo dei bambini temendo che l’Italia, al giro di boa del nuovo millennio – e così passiamo dallo scontato giudizio sugli anni del fascismo a uno più velato sulla contemporaneità – , sia affetta da un pericoloso infantilismo. E allora è diventato necessario, per cercare di spiegare il proprio punto di vista sul passato (e sul presente), tornare come un vecchio maestro di scuola a spiegare l’abc delle cose, adottando uno stile semplice e didattico, un po’ pedante ma non supponente. Un film da rivedere e rivalutare.
https://youtu.be/a2-GJT_OBOE