Irrational Man: la colpa e il caso secondo Woody Allen

Il nuovo film del grande regista americano torna ai temi prediletti delle sue opere serie. Con tutti i difetti del suo cinema recente: personaggi ridotti a cliché e intrecci risaputi. Non bastano Joaquin Phoenix ed Emma Stone.

Irrational Man nuovo film di Woody Allen

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Abe Lucas (Joaquin Phoenix) è un professore di filosofia che va a insegnare a Braylin, piccolo college dell’East Coast, preceduto dalla sua fama. Pensatore originale con un passato d’attivista radicale, impenitente dongiovanni, Abe è preda d’una sconfortante depressione, senza più curiosità per l’insegnamento e gli esseri umani.

Le sue pose sofferte e anticonformiste calamitano l’interesse femminile. Di Rita (Parker Posey), annoiata docente universitaria che lo elegge a suo amante (ma Abe, figurarsi, è impotente). E soprattutto di Jill (Emma Stone), allieva modello che legge Dostoevskij e suona Bach. Tanta cultura, però, non le è d’aiuto, visto che ripete il cliché della studentessa che s’innamora del docente dall’aria maudit e autodistruttiva, sperando di salvarlo dall’abisso.

Il punto di svolta della vicenda avviene quando Abe e Jill ascoltano casualmente la conversazione d’una donna che teme di perdere l’affidamento dei figli per colpa d’un giudice corrotto. Abe decide di ucciderlo e questo progetto ridà senso alla sua esistenza.

In Irrational Man, nuovo film di Woody Allen, la filosofia è poco più d’un fondale su cui disporre storia e personaggi (così come, ai tempi dell’esilarante saggetto La mia filosofia, era lo spunto per servire battute taglienti). Per capire l’esilità degli assunti filosofici di Allen basterebbe la sequenza in cui Jill, che comincia a nutrire qualche sospetto, trova una copia di Delitto e castigo (ancora? c’era già in Match Point!) su cui Abe ha aggiunto un appunto su La banalità del male di Hannah Arendt, con pure il nome del giudice.

Insomma Irrational Man, Allen non poteva essere più didascalico, è un film sulla colpa e l’insensatezza del male. Cioè i temi di tutti i suoi film “seri”, da Crimini e misfatti in poi. Ma siamo ben lontani da quegli esiti, soprattutto perché il regista ha perso curiosità per una realtà ridotta a cliché. Il professore depresso, la donna insoddisfatta, la studentessa innamorata: non personaggi, ma caricature svuotate di credibilità o spessore. Anche il paesello di Braylin sembra custodito in una teca fuori del tempo e ricorda, forse per colpa della trama, quello di Jessica Fletcher ne La signora in giallo.

D’altronde negli ultimi vent’anni il cinema di Allen s’è come ripiegato su se stesso: e se i difetti sono tollerabili nei film vacanzieri a Barcellona, Roma, Parigi, o nelle esili operine nostalgiche alla Magic in the moonlight, diventano insostenibili nelle pellicole serie (pensiamo ai personaggi di Blue Jasmine, la ricca nevrotica, il cognato rozzo e volgare, tagliati con l’accetta). Irrational Man vorrebbe essere un film sulla colpa e sul caso: ma le ambizioni della banale storiella a sfondo giallo restano tutte sulla carta.

Un’ultima notazione: spesso i maestri in tarda età producono i risultati migliori riflettendo sulla vecchiaia, da Ozu a Eastwood. Invece Allen, a parte Whatever Works (la sceneggiatura però è degli anni Settanta), s’ostina a popolare i suoi film di giovani. Credo che per realizzare un’opera all’altezza della sua fama dovrebbe smetterla di atteggiarsi in fasulle riflessioni sui grandi temi della vita, e affrontare quello che sta eludendo da troppo tempo.