L’angelo di Carditello rivive in “Bella e perduta”, il film di Pietro Marcello

La storia vera di Tommaso Cestrone, custode della reggia di Carditello. Ma anche il racconto di finzione su Pulcinella e un bufalo (che ha la voce di Elio Germano). Tra realismo e fiabesco, una dolente riflessione sulla vita offesa. Luoghi, uomini e creature in cerca di un angelo che si prenda cura di loro.

Bella e perduta di Pietro Marcello

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Bella e perduta di Pietro Marcello ha la forma sperimentale di un ripensamento. In origine l’idea era di tradurre in immagini il Viaggio in Italia di Guido Piovene. Prima tappa la Reggia di Carditello, luogo simbolo del degrado, una reggia borbonica settecentesca piegata dall’incuria, accerchiata dalle discariche della Terra dei Fuochi (nel film resta traccia delle proteste delle comunità locali).

Quando Marcello conosce Tommaso Cestrone, l’angelo di Carditello – un pastore mosso da uno spirito di servizio assolutamente gratuito che ha adottato la reggia per salvarla –, decide di riadattare il progetto, trasformandolo nel ritratto dell’uomo. Ma nel mezzo della lavorazione Tommaso muore, stroncato da un infarto il giorno di Natale del 2013. E il film muta ancora, sfociando in un suggestivo ibrido narrativo che non assomiglia a nessun altro.

Bella e perduta, nato dalla necessità degli eventi, abita ostinatamente una “terra di mezzo” tra documentario e fiction. Del disegno originario restano, infatti, il volto e le storie di Cestrone, paradossale custode non richiesto di un edificio, e una terra, depredati in ogni forma e mai, appunto, custoditi. Sulla cellula documentaria, poi, s’è innestato il racconto di finzione, orchestrato insieme allo sceneggiatore Maurizio Braucci: che prende a simbolo del territorio martoriato il bufalo Sarchiapone, cui il pastore Tommaso, nelle sue ultime volontà, chiede venga salvata la vita, risparmiandogli il macello.

Perciò a Carditello arriva Pulcinella, per aiutare il bufalo a trovare una famiglia. Sarchiapone intanto ha magicamente acquistato il dono della parola: una parola intensamente poetica (prestata da Elio Germano, che mantiene la cadenza leopardiana de Il giovane favoloso), rivolta alle stelle cui spera di ricongiungersi, non nutrendo alcuna fiducia nella crudeltà degli uomini che hanno sfigurato una natura bellissima.

Sarchiapone e Pulcinella intraprendono così un viaggio in un’Italia interna e ignota, dove realtà e fiabesco (l’albero della morte, la fonte miracolosa) si fondono. Un luogo così concreto da sembrare strappato alla terra del sogno. Perfetto per due creature anch’esse assolutamente altre: l’animale con favella e coscienza e la maschera atemporale, che viene da un altrove e per questo è capace di fare da intermediario tra i vivi e i morti.

Bella e perduta ha una struttura volutamente spaesante che impedisce di tracciare confini netti tra i linguaggi (documentario e fiction) e i registri (realismo e fiabesco). Il risultato è una dolente riflessione sulla vita offesa (di luoghi, uomini, animali) che trae forza dalla commistione di toni e stili e che assorbe dall’insegnamento di Tommaso l’idea della cura spontanea da destinare a cose e creature.

Bella e perduta è un film assolutamente laico, eppure attraversato da un’ispirazione religiosa. Diversi i rimandi: Annamaria Ortese, esplicitamente citata, per l’attenzione agli ultimi e ai diversi e l’“altro sguardo”, che affonda tra le pieghe della realtà per svelarne la grana poetica; e naturalmente il Balthazar di Bresson, l’asinello che sceglie di morire avendo fatto esperienza della crudeltà degli uomini, cui è impossibile non pensare guardando il dolore paziente di Sarchiapone, in inquadrature commoventi che ci ricordano la natura squisitamente spirituale delle bestie.