Fuorigioco – il perverso gioco della disoccupazione

Esplicito a cominciare dal titolo, l’esordio alla regia di Carlo Benso lascia poco spazio all’immaginazione. Ma la metafora sportiva rischia di suonare come un epitaffio per il protagonista che, in un susseguirsi di perdita di lucidità, si ritrova ad affrontare una situazione di improvvisa disoccupazione. L’unica forza che riesce a trovare gli deriva solo dalla paranoia che incombe e che si autoalimenta in un realistico e perverso gioco di silenzi violenti e deduzioni deleterie. Deduzioni affascinanti come verità ambite.


INTERAZIONI: 7

La finestra dalla quale il protagonista di questo film spia la bella e giovane vicina di casa, quella finestra da dove osserva le convulsioni del mondo esterno, non è una semplice finestra; forse ha anche un valore simbolico. Lui, il protagonista, è Gregorio (interpretato da Toni Garrani), manager cinquantenne che, al culmine della sua carriera, viene licenziato dall’azienda dove lavora da trentacinque anni. È un duro colpo per Gregorio che, ovviamente (può sembrare assurdo usare questo avverbio in questa circostanza, ma è atrocemente così, quasi sempre) non se ne fa una ragione. Cerca di convincere gli amici del suo punto di vista, motivato dalla convinzione che fondamentalmente il suo licenziamento è stato un grosso errore. Ma le sue ragioni, presunte o sbagliate che siano, diventano un’ossessione alimentata dalle paranoie e dalla depressione: il quotidiano incalza e rende tutto molto complicato. A partire dalle cose più elementari, come il semplice svegliarsi al mattino. Comincia così, inesorabilmente, una folle spirale di violenza.

Quanto c’è di vero in questo lungometraggio? Molto. Quasi tutto probabilmente. Tanto che, paradossalmente, potrebbe essere considerato una sorta di docu-film. È banale e cinico ricordare gli episodi di violenza e autolesionismo che hanno arricchito le cronache degli ultimi anni. A cominciare da quando politici, o meglio, presunti tali, ripetevano come un “mantra” che la crisi non esisteva e che andava tutto bene. E che si deprimeva la gente e il mercato, affermando il contrario. Sarà anche banale e cinico ricordare tutto questo, ma serve a contestualizzare, a ricordarci l’humus al quale attinge il regista Carlo Benso, per narrare questa storia che assume drammaticità esponenziale perché storia comune, quasi di ordinaria follia, parafrasando un vecchio titolo di tutt’altro genere. E allora quella stessa finestra, di cui si accennava all’inizio, assume valore simbolico, perché è l’amaro confine del “non luogo” nel quale viene estromesso Gregorio il protagonista: prigioniero involontario di una mancata produttività, schiavo inconsapevole o incosciente di meccanismi ansiogeni e autostritolanti, che relegano coscienze e corpi in una sorta di limbo metafisico.

Se a un uomo tu gli levi il suo lavoro, il suo posto nella società, mi dici che cazzo gli rimane?” È questo il sottotitolo che campeggia in alto nel poster ufficiale di fuorigioco. Domanda retorica dalla logica limpida, ma dalla risposta falsamente scontata. Perché il lavoro è tutto o quasi nella vita di un uomo, in primis per il sostentamento economico e poi per il suo avvolgere le giornate nella loro quasi interezza. Ma non dovrebbe essere così. Il lavoro, al di là dell’inevitabile e fondamentale economia che mette in moto, della primaria importanza che ha, della giusta identità che dona agli individui, non dovrebbe essere il tutto. Dovrebbe servire al tutto. O quasi. Solo che in un sistema economico iper accelerato, che anche dona indubbi risultati, l’affermazione il lavoro è tutto equivale quasi ad una sorta di inconsapevole negazione di ciò che va inevitabilmente perso, annichilendo sempre più sotto il torchio di logiche e ritmi alienanti.

Non se ne scappa, è vero, ma un’umanità alienata, per quanto produttiva, inevitabilmente finisce per creare meccanismi autolesionisti, spacciandoli per inevitabili ricchezze alle quali poter legittimamente ambire. Fuorigioco forse prova a fermare un’occasione di riflessione su tutto ciò. L’ennesimo tentativo, l’ennesima riflessione, l’ennesima chiave di lettura su dinamiche malate alle quali diabolicamente siamo assuefatti. Ben venga, sperando che non sia tutto inutile. Perché quando prevale questo pensiero, la logica dell’inutilità, come accade al protagonista del film, poi subentra la disperazione: e a quel punto, le tragedie sono inevitabili. La sceneggiatura è frutto dello stesso regista, insieme a Nik Redian.

Fuorigioco sarà al cinema a partire dal prossimo 5 giugno. Ci sono trailer e poster a seguire.