Storie pazzesche, gli scatenati delitti esemplari presentati da Almodóvar

Il film a episodi di Damián Szifron è una galleria di gente sull’orlo di una crisi di nervi, che reagisce con rabbia liberatoria alle frustrazioni quotidiane. Si ride di gusto, ma è tutto molto superficiale.

Storie pazzesche prodotto da Pedro Almodóvar

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L’episodio più divertente di Storie pazzesche è quello che precede i titoli di testa: i passeggeri di un aereo scoprono di essere accomunati dal fatto di conoscere una stessa persona che, odiandoli tutti, ha deciso di vendicarsi in grande stile.

Il film del regista argentino Damián Szifron, prodotto nientemeno che da Pedro Almodóvar – specchietto per le allodole sui manifesti, al punto che qualcuno potrebbe confondersi e pensare si tratti della nuova pellicola del maestro spagnolo –, è una scatenata raccolta di storie slegate che costruiscono un bestiario al vetriolo sulle nevrosi della società contemporanea. C’è la cameriera che si imbatte nello strozzino che ha rovinato la vita della sua famiglia, l’ingegnere esperto in demolizioni che si ribella ai soprusi della burocrazia, la sposa che scopre durante il matrimonio di essere stata tradita, l’automobilista catapultato in un incubo su una strada statale, il miliardario che cerca vie illegali per evitare la galera al figlio che ha investito un pedone.

Il termine bestiario non è usato a caso: nei titoli di testa Szifron mostra diversi animali selvaggi (il titolo originale del film è “Storie selvagge”), forse per suggerire l’idea che tutti, nel mondo di oggi, siamo animali la cui latente aggressività è sempre sul punto di esplodere. E nel film, in modi estremi e decisamente divertenti, la rabbia deflagra senza limiti, abbattendo i confini costrittivi di buone maniere e civiltà, con effetti francamenti liberatori. Chi non desidererebbe rivoltarsi contro le vessazioni della burocrazia? Quale sposa tradita non vorrebbe vendicarsi di sposo fedifrago e amante nel bel mezzo della cerimonia?

Il comune denominatore degli episodi è il massiccio uso della violenza: omicidi, pozze di sangue, pestaggi, presentati con un sapore parodistico e paradossale che non sconfina mai nel macabro, ma che contiene un senso di realismo allarmante.

Il divertimento è contagioso, il film è girato in maniera sciolta e brillante, ma l’operazione ha diversi limiti. Alcuni episodi rimandano scopertamente ad altri modelli: la storia dell’automobilista assediato è debitrice di Duel di Spielberg, l’uomo qualunque che si trasforma in vendicatore ricorda Un giorno di ordinaria follia con Michael Douglas, il punto di partenza della storia del miliardario è lo stesso di Le tre scimmie di Nuri Bilge Ceylan. La struttura del film, poi, fa pensare a un piccolo capolavoro della letteratura in lingua spagnola, Delitti esemplari di Max Aub, fulminante raccolta di efferatezze commesse da persone normali che sfogano antipatie e insofferenze in gratificanti delitti senza castigo.

Szifron si atteggia a entomologo della contemporaneità che guarda dall’alto un mondo alla deriva (troppo facile parlare, visto il suo mentore, di “gente sull’orlo di una crisi di nervi”). Il tono però è piuttosto quello di un ingegnoso cabaret, dove le battute su piccole e grandi noie di ogni giorno ottengono l’applauso del pubblico perché raccontano frustrazioni condivise, per le quali scatta immediata l’adesione.

Questo accade agli spettatori di Storie pazzesche: si identificano, si arrabbiano, ridono di gusto ed escono dal cinema rinfrancati, ma tutto superficialmente, come quando si ascolta una barzelletta raccontata bene.