La scuola più bella del mondo: tutti in classe con De Sica e Papaleo

Dopo Benvenuti al Sud e al Nord, Luca Miniero firma un’altra commedia sul rapporto tra settentrionali e meridionali. Il botteghino ha premiato il film, ma la sceneggiatura è scialba e risaputa. Si salva solo qualche momento surreale.

La scuola più bella del mondo con De Sica Papaleo

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Luca Miniero torna a parlare di settentrionali e meridionali, dopo il fortunato dittico di Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord. Ne La scuola più bella del mondo il preside Filippo Brogi (Christian De Sica) della Giovanni Pascoli, scuola media modello in Toscana, invita in Italia una rappresentanza di un istituto di Accra in Ghana, convinto che la scelta politicamente corretta gli consentirà di vincere il premio di scuola dell’anno.

Ma il bidello che cerca su internet i contatti della scuola africana confonde Accra con Acerra e quindi alla Pascoli sbarca una variopinta compagine proveniente dalla Enzo Tortora, la scuola media più “sgarrupata” della provincia di Napoli. Nella quale – i casi della vita – oltre al disilluso professor Gergale (Rocco Papaleo), insegna anche la Pacini (Angela Finocchiaro) ex fidanzata di Brogi, trasferitasi nel profondo Sud per dimenticare la cocente delusione d’amore.

Poiché si è sempre meridionali di qualcuno, il fatto di essere chiamati africani è vissuto con insofferenza dai turbolenti ragazzini napoletani, subito pronti a menare le mani contro i nordisti (perché come dice Gergale “il nord comincia a Mondragone”).

Il tema della scuola resta una cornice esteriore: le competenze dei docenti non emergono praticamente mai né ci sono vere occasioni didattiche, se non generici riferimenti letterari del puntiglioso preside durante le scampagnate nelle campagne toscane – che è sempre un piacere inquadrare.

Il film è un risaputo gioco sugli stereotipi meridionali e settentrionali, confezionati dal regista e sceneggiatore Miniero nelle versioni più estremizzate. La scuola del nord è la migliore d’Italia, quella di Acerra è al tracollo; il preside Brogi è un concentrato di efficientismo, Gergale è demotivato e un po’ ignorante (dice Bruno Foscolo e non ricorda l’anno della rivoluzione francese); i ragazzini del Sud sono sboccati e maneschi, i toscani tutti di buona famiglia e affettati. Ma naturalmente, ad accomunare allievi e docenti e a creare affiatamento dopo le iniziali incomprensioni è il sempiterno buon cuore degli italiani brava gente.

Come già in Benvenuti al Nord, la sceneggiatura è sfilacciata e prevedibile, con tirate già sentite sulla missione degli insegnanti, elogi della diversità e amorazzi che sbocciano tra i ragazzini e tra i docenti.

Da salvare solo i momenti più incongrui e surreali. Le apparentemente inspiegabili parentesi a fumetti, dove Gergale parla con Dio, che assomiglia a un personaggio di American Dad. Il numero musical in cui bambini toscani e napoletani – questi ultimi travestiti da africani – cantano e ballano al ritmo di Curre curre guagliò, dissolvendo l’originaria durezza del brano dei 99 Posse, simbolo della stagione dei movimenti antagonisti, nel buonismo ecumenico di una canzoncina sulla convivenza e i buoni sentimenti modello Scugnizzi. Talmente assurdo da sconfinare nel camp.

E poi, la paradossale morale del film: i professori malmenano i bambini, si sfidano a chi realizza la barchetta di carta più grande, fanno disegni osceni, la loro dichiarazione d’amore è “ti vuoi mettere con me?”. Come a dire che il vero collante degli italiani non è il sentimentalismo, ma un inquietante infantilismo dilagante.