Guardiani della galassia: arriva al cinema una “sporca cinquina” di supereroi

Deludente la nuova pellicola tratta dai fumetti Marvel: vuole essere un elogio della diversità scanzonato e anticonformista, ma in realtà è un vecchio filmone patriottico dove i veri eroi sono bianchi.

Guardiani della galassia film Marvel firmato James Gunn

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Guardiani della galassia doveva costituire l’episodio più brillante e irriverente della “fase due” dei film Marvel. Per il cast, da Benicio del Toro a Glenn Close e le voci di Bradley Cooper e Vin Diesel. E per il regista, James Gunn, cresciuto nella casa di produzione indipendente Troma, gran conoscitore di b-movies che ama mescolare con disinvoltura i generi.

I guardiani sono cinque fuorilegge che si uniscono perché venuti in possesso di una misteriosa sfera di inestimabile valore, che è nelle mire di Ronan, un essere malvagio le cui sfrenate ambizioni mettono in pericolo l’universo. Sono Peter Quill (Chris Pratt), esploratore interstellare che è stato rapito dalla Terra da bambino; Gamora (Zoe Saldana), orfana allevata in un mondo alieno e ribellatasi a Ronan; Drax (Dave Bautista), brutale criminale mosso dalla vendetta, perché Ronan gli ha sterminato la famiglia; il cacciatore di taglie Rocket, risultato di esperimenti genetici, un procione dall’intelligenza vivace e dalla lingua tagliente; il suo compagno Groot, un tronco d’albero vivente che sa dire solo “Io sono Groot”.

Il sarcasmo perenne tra i protagonisti dà il tono al film, ma i personaggi sono poco originali e ricalcano Guerre stellari. Quill è una sorta di Han Solo, guascone, con gusti vintage (ascolta continuamente una musicassetta di canzoni anni Settanta) e la sua navicella spaziale sembra un oggetto di modernariato. Rocket ha un carattere fumantino alla C1-P8, con la differenza che parla (gli sceneggiatori sono convinti sia divertente); Groot è il gigante buono alla Chewbacca.

Ovviamente i cinque reietti dopo i primi battibecchi compongono una formidabile squadra di eroi. Il film è un elogio della diversità e degli ultimi: insomma i valori fondativi dell’America, il paese che dà a tutti una possibilità, che non guarda alla razza ma al merito. Per rendere più chiara l’allegoria c’è una sequenza in cui Groot crea col suo corpo un bozzolo di rami d’albero per proteggere i guardiani: gli Stati Uniti, insomma, sono un paese dalle forti radici, che accoglie tutti gli uomini senza discriminazioni. Però senza esagerare: e quindi, tra procioni parlanti e donne dalla pelle verde, il vero eroe resta Quill, bello, macho e Wasp.

Il risibile anticonformismo è tutto di superficie. Il film parte dal politicamente scorretto – i guardiani si atteggiano a fuorilegge avidi interessati solo a vendere la preziosa sfera –, ma si trasforma subito in un bel filmone patriottico, dove tutti sono pronti a sacrificarsi per la salvezza dell’universo. Lo scontro finale vede da un lato il cattivo Ronan col suo mondo cupo di alieni; dall’altro i buoni del pianeta di Xandar, assolato giardino dell’Eden molto simile alla Terra, dove tutti i ruoli di comando sono nelle mani dei bianchi. Bell’elogio della diversità.

Per chiudere, non poteva mancare un classico del cinema reazionario anni Ottanta: gag e sghignazzi mentre si ammazza qualcuno. Si potrebbe andare avanti, ma credo siano ormai chiari l’ideologia e lo stanco immaginario di riferimento di Guardiani della galassia.