Ad un fotografo napoletano il premio internazionale “Best cover”: Optimagazine incontra Salvatore Esposito

Fotografo d'inchiesta su temi sociali, Salvatore Esposito dopo il premio NPPA 2014 per la miglior copertina raccoglie consensi e riconoscimenti e si cimenta in nuovi progetti.


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Ogni anno l’Associazione nazionale americana fotoreporter (NPPA) sceglie il meglio delle pubblicazioni fotografiche internazionali e assegna diversi e prestigiosi premi a seconda della categoria. Quest’anno il riconoscimento come “ best cover” cioè miglior copertina è andato ad un’immagine italiana pubblicata dall’Espresso e l’autore di questa immagine è Salvatore Esposito, fotografo napoletano dell’Agenzia Contrasto.

Salvatore ci spiega che grande ovviamente è stata la soddisfazione per questo premio, anche alla luce della qualità dei fotografi partecipanti e che riconoscimenti come questo sono soprattutto uno sprone ad andare avanti. Uno sprone necessario dal momento che Salvatore ha scelto una strada molto difficile nel suo modo di fare fotografia e di fare giornalismo: ha scelto di scattare in bianco e nero e lavora sulla documentaristica sociale.

E proprio il lavoro pubblicato dall’Espresso – due anni e mezzo a Scampia per capire il mondo che gravita intorno alla piazza di spaccio più grande d’Europa – e che gli è valso dieci pubblicazioni tra l’Italia e l’estero nonché molti riconoscimenti, lo ha cambiato profondamente e lo ha portato al grande passo dalla news all’inchiesta di approfondimento in ambito sociale.

Un ambito – ci spiega Esposito – che è come un puzzle a cui si continuano ad aggiungere pezzi perché i rimandi che il fotoreportage d’inchiesta ti fornisce continuano a decantare dentro di te e l’urgenza di tornare ancora e sviscerare non ti abbandona mai. Non è un caso che questo lavoro cominciato a Scampia è diventato, poi, aggiunge un più ampio progetto sulla criminalità e un libro edito da Contrasto dal titolo “Quello che manca”.

Dove ciò che manca è quello che c’è dietro la foto, quello che manca è tutta la parte istituzionale e politica che con il suo abbandono ha determinato un “Altro Stato”. Difficile convivere con questi ambienti, con questa povertà umana e morale ma – ci dice Salvatore – lui non potrebbe fare altrimenti, per lui la fotografia è questo, per questo ha scelto di fare il fotografo.

La funzione del giornalismo – ci spiega – è quella del racconto, del racconto anche di ciò di cui i più non si interessano. E allora anche se il mezzo può cambiare – Salvatore è reduce da un’esperienza di video maker sul tema della violenza in carcere – “l’urgenza di dire” rimane la stessa.

E allora per “La cella zero” (questo il titolo del documentario girato) la videocamera viene usata in maniera fotografica perché la luce è gestita come fotografia. E la fotografia – chiosa Salvatore – è dedizione.

E allora ad un giovane che di fotografia vuole vivere Esposito ha un solo consiglio, una sola ricetta: determinazione, determinazione e ancora determinazione. E poi flessibilità, capacità di osservare e comprendere il mercato e sfruttare la fotografia a 360 gradi cogliendone ogni sua sfumatura, ogni sua possibilità di racconto attraverso anche il multimedia cioè l’uso congiunto di più mezzi capaci di convivere con l’immagine fotografica.