Uomini che odiano le donne? Le opinioni degli studenti Optima Erasmus

La replica di Marco Cavaliere, Optima Erasmus a Barcellona, all'intervista a Elena Caruso


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Stamattina è arrivata la conferma che la donna appesa a un albero a Moradabad, in India, è stata stuprata e linciata. Salgono così a 4 le donne uccise dopo aver subito violenza sessuale in due settimane, tutte nello stato indiano dell’Uttar Pradesh. Dopo le vibranti parole di Elena Caruso nell’articolo di ieri (https://www.optimagazine.com/2014/06/12/india-violenza-senza-fine-contro-donne/154689) in cui richiedeva il punto di vista di un esponente dell’altro sesso, abbiamo chiesto le opinioni di Marco Cavaliere, studente Optima Erasmus a Barcellona.

Come spieghi l’escalation di queste violenze contro le donne in India come in altri paesi? Come mai non si riesce a trovare una soluzione, una via d’uscita?

Mi piacerebbe poter pensare che sia un problema circoscrivibile all’India, o circoscrivibile al problema femminile, eppure sappiamo tutti che non è così in nessuno dei due casi. Credo che il problema di fondo sia legato alla tolleranza nei confronti del diverso, alla presa di coscienza e di consapevolezza sull’idea di cambiamento di pensiero, di evoluzione, di progresso, di nuovo. E purtroppo è un trauma congiunturale al quale sembra non esserci via di fuga, per quanto sia intrinseco nell’animo umano, per la forza con cui impatti sull’istintivo agire di ognuno di noi.
Non c’è via di fuga, dalla paura e dall’istintivo rifiuto nei confronti del cambiamento, ne siamo schiavi tutti.
Basterebbe provare a pensare a noi stessi e alla nostra vita quotidiana, riuscireste ad accettare se svegliandovi vi ritrovereste in una stanza in cui qualcuno ha spostato l’ordine dei mobili, magari mettendoli in una posizione logisticamente più efficiente e comoda? O se il colore delle pareti fosse cambiato d’improvviso? Riuscireste anche solo ad accettare che svegliandovi qualcuno abbia spostato il vostro cellulare dal comodino alla scrivania?
Probabilmente no.
Il cambiamento è una modifica della realtà che ci circonda, così come la conosciamo e così come il nostro cervello l’ha memorizzata e ricostruita concettualmente, ed ogni perturbazione diventa una minaccia, costa il dover ridisegnare la struttura, il dover ripetere il processo di assimilazione e accettazione, il che risulta ovviamente più difficile del perseverare nelle condizioni in cui ci si trova.
E così con il caso dell’India, con il caso dell’omosessualità, con il razzismo sull’immigrazione, con lo scetticismo verso le nuove tecnologie, verso il nuovo presidente, verso il nuovo docente, verso il nuovo vicino di casa, verso ogni nuovo.

Qual è allora la risposta a questa chiusura al cambiamento?

L’unico antidoto a tale male sociale è la cultura, la cultura della tolleranza, la capacità di accettare, di valutare e di essere aperti alle inevitabili evoluzioni del mondo in cui viviamo, soprattutto quando tale cambiamento ci porta a progredire, appunto ad evolvere. Siamo esseri umani, ma pur sempre animali, e l’evoluzione è un processo che non è certamente finito, nel nostro percorso di specie. Purtroppo, in paesi come l’India evidentemente tale cultura sociale non è ancora riuscita a fare presa, e il rammarico è che in molti casi neanche in paesi apparentemente “acculturati” come l’Italia sembra che la situazione sia migliore. Se in Italia, culla della cultura e del pensiero profondo, lo stesso paese in cui più di 700 anni fa è nata alla luce un’opera come la Divina Commedia, proclamazione estrema della donna, si sia dovuto aspettare fino ad una manciata di decine di anni fa per vedere i diritti della donna finalmente riconosciuti (e non senza lotte durissime e tanto sangue versato), mi chiedo quanto tempo possa volerci in altri contesti sociali.
Se poi pensiamo ai diritti della donna in Italia, oggi nel 2014, ancora e ancora subordinata e soggetta ad un vero e proprio razzismo, culturale e non solo, il cuore si stringe un po’ di più nella paura che davvero sia un tunnel senza via d’uscita, che alcune tematiche di tolleranza rischiano di non vedere mai la propria concretizzazione.
Spero di vedere il mio pensiero smentito con tempi e modalità piacevolmente inaspettate, spero di poter dire il più presto possibile “allora era davvero possibile.”

Elena nel suo articolo di ieri ha scritto che i crimini contro le donne aumentano perchè “le donne sono sempre più spesso soggetti parlanti, e non oggetti muti. Il maschio in crisi vede cadere giù la propria corona da re della foresta, mentre le donne vanno sempre più avanti lui non ha altri strumenti se non la forza fisica per raggiungerle.” Sei d’accordo con lei?

Il mio totale consenso nei confronti delle parole di Elena è già stato palesato nelle mie stesse parole sopra spese. Ancora una volta è la paura del cambiamento a fare da padrone, questa volta manifestata nella paura di cambiamento degli equilibri, dei poteri, delle responsabilità.
C’è chi fa ancora fatica ad immaginare una donna a capo di un movimento politico, di un’organizzazione aziendale, di un’istituzione di qualsivoglia natura. C’è chi fa ancora fatica ad immaginare una donna che lavori, piuttosto che stare a casa a badare alla casa.
Sarebbe istintivo, coerentemente con il mio pensiero, giungere a questo punto ad una critica velata nei confronti della cultura italiana, schiava (più che figlia) della religione cristiano cattolica, che a mio avviso rappresenta il tripudio del maschilismo, come per la maggior parte delle religioni del mondo.
La struttura sociale patriarcale è derivante dalla struttura ecclesiastica, in moltissimi casi, o per lo meno caldamente supportata e giustificata.
“La donna è nata dalla costola dell’uomo, quindi ne è subordinata, è frutto dell’uomo stesso, una parte del suo potere, una parte del suo dominio”, ci si potrebbe passare i giorni a dibattere sulle colpe che la religione ha nei confronti del maschilismo mondiale, ma lasciamo ad altri l’onore e l’onere di affrontare tale argomento.
Ciò che è certo è che bisogna iniziare a capire che il potere e il controllo non possono più essere assegnati basandosi sul contenuto dell’abbigliamento intimo, che non è l’organo riproduttivo a decidere chi sia migliore o peggiore, che uomo o donna sono due lati della stessa medaglia, della stessa razza. E che debba essere il migliore e il più meritevole a prevalere, il soggetto più adatto a ricoprire un ruolo e un potere, senza distinzione alcuna di sesso, razza, altezza, peso, colore di capelli o numero di piede.

Elena dice inoltre che siamo noi maschi a dover fare autocoscienza, riflettere su chi siamo e vogliamo essere. Delle bestie o delle persone. Riflettere e rimettere in discussione la nostra idea di maschile, e quindi di femminile. Hai mai provato ad affrontare questo percorso di autocritica?

Una delle frasi che più utilizzo e che fanno parte del mio profondo pensiero è che “le donne sono la dimostrazione che Dio esiste.” È una cosa a cui credo veramente, non la solita frase da bar per conquistare la biondina in gonna e tacchi. Ci credo davvero, a questo concetto. E ancora una volta mi trovo in totale accordo con Elena, dall’alto del mio femminismo sfegatato.
Mi sento troppo spesso a disagio, nel dovermi definire come appartenente alla “categoria maschile”, sento troppo spesso la voglia di dissociarmi, di dissentire impetuosamente dagli atteggiamenti, dalle parole e dallo stile di vita condotto dal resto degli uomini, in svariati contesti sociali e situazioni di vita quotidiana.
Se proprio dovessi dissentire dalle parole di Elena, credo che oggi come oggi ci sia bisogno di una presa e di un esame di coscienza da parte di entrambi i sessi, perché se da un lato l’uomo si ostina a non accettare la totale mancanza di dislivello nel pensiero e nei diritti, dall’altro lato la donna spesso non si rende ancora conto del bisogno di credere e difendere tale realtà.
L’uomo che commenta il corpo femminile come fosse un pezzo di carne, come fosse merce da mercato, è colpevole tanto quanto la donna che “vende” il proprio corpo agli occhi degli altri, senza riconoscerne il valore, come a dare un motivo in più per affermare che “oltre le gambe non c’è di più.”
E non è un discorso di pudore, di limitazione della libertà di espressione o comportamento, assolutamente.
Semplicemente il mio è un discorso legato al rendere giustizia al valore che la donna ha e deve avere, all’interno della società. I processi sociali come quello delle veline, la figura femminile promossa da personaggi politici e dello spettacolo, la figura della donna come oggetto di piacere non pensante, è spesso supportato dallo stesso genere femminile, a volte addirittura difeso, giustificato, quasi altrettanto promosso.
Bisogna ritrovare la rotta, da un lato e dall’altro, crocifiggendo i modelli negativi e anacronistici per rendere giustizia ai modelli positivi e progressivi.
Mi sono ripromesso di non parlare mai di politica, sebbene sia una persona molto informata e attenta alle vicende nazionali e non solo, eppure, per chiudere l’argomento con un esempio se vogliamo provocatorio, sono fermamente convinto che ogni volta che in Italia una donna dice frasi come “Io supporto pienamente Berlusconi”, in qualche altra parte del mondo un’altra donna piange.
Apparentemente senza motivo, magari pensando sia per uno sbalzo d’umore.
E invece è per quella frase lì.