India, violenza senza fine contro le donne

La parola a Elena Caruso, studente Optima Erasmus a Bonn


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Non sembra cessare l’ondata di stupri e femminicidi che vede l’India quasi ogni giorno protagonista sui giornali.
Una donna ha accusato quattro agenti di polizia di averla stuprata all’interno del commissariato di Hamirpur nello stato di Uttar Pradesh, in cui si sono verificate ripetute aggressioni alle donne negli ultimi giorni. La donna, che ha preferito restare anonima, ha raccontato di essersi recata alla stazione di polizia per chiedere il rilascio del marito poco prima di mezzanotte e di essersi rifiutata di pagare una tangente agli ufficiali. Di fronte al suo rifiuto è scattata la violenza degli agenti, che secondo il commissario di Hamirpur, Virendra Kumar Shekhar sono già stati arrestati.
Solo lo scorso mese due ragazze, di 12 e 14 anni sono state stuprate e impiccate nel loro villaggio, mentre si lavavano in un campo. Le loro famiglie si erano rifiutate di tirarle giù dall’albero per protesta contro la polizia, rea di non aver arrestato i responsabili perchè le vittime erano di una casta inferiore. E ieri una donna, sempre nell’Uttar Pradesh ha subito la stessa fine. Solo martedì è arrivato un primo commento del Premier indiano Narendra Modi, eletto lo scorso mese, che ha esortato i politici a non giocare con la dignità delle donne e a inasprire le leggi contro gli stupratori.

Abbiamo chiesto il parere di Elena Caruso, studentessa Optima Erasmus a Bonn.

Perché questi crimini contro le donne non sembrano avere fine in India e in tutto il mondo?

Ogni 22 minuti una donna in India subisce uno stupro, quasi 25000 in un anno. L’India è uno dei Paesi più pericolosi al mondo per le donne, ma le radici di questa violenza non sono diverse da quelle di altri Paesi, al di là delle specificità locali. Il femminicidio è l’ultimo anello di una serie di violenze che vengono perpetrate nei confronti delle donne “in quanto donne” da parte di uomini. Segnalo la campagna catanese che ha avuto respiro nazionale “Ferma il Femminicidio”. Il tema è molto delicato è meriterebbe maggiori attenzioni e riflessioni anche perché oggi di femminicidio si parla. Il problema è in quali termini. La comunicazione è uno strumento importante, ma quando sono in gioco temi come questo la frase “purché se ne parli” può tradursi in un boomerang. Mi capitava infatti di leggere articoli, o seguire programmi televisivi in Italia in cui la questione veniva posta in termini assolutamente errati e “nocivi” alla risoluzione del problema. Sul punto mi permetto di rimandare a un articolo che ho scritto l’anno scorso per “Il manifesto” in cui recensisco con entusiasmo l’ottimo lavoro giornalistico di Riccardo Iacona, che sul tema ha lavorato molto e dedicato anche una puntata del suo programma “Presa diretta”. Il femminicidio è una delle manifestazioni più evidenti del patriarcato. Non è un frutto di caso, chiamatelo pure “raptus”. Ma è figlio di una precisa mentalità e cultura che ha radici millenarie. La mia amica femminista Emma Baeri dice sempre “Non è facile uscire da cinquemila anni di patriarcato. Il femminismo non è una passeggiata in pianura”. Delle donne considerate oggetto, magari prezioso, ma sempre oggetto, come tale si può liberamente disporre. Si può farne ciò che si vuole. Si può esercitare su di esse anche jus vitae necisque. Perché adesso i crimini contro le donne sono sempre più efferati e sempre più numerosi? Non certo perché se ne parla di più. Semplicemente perché le donne sono sempre più spesso soggetti parlanti, e non oggetti muti. Non si controllano più. Il maschio in crisi vede cadere giù la propria corona da re della foresta, mentre le donne vanno sempre più avanti lui non ha altri strumenti se non la forza fisica per raggiungerle.

Quali soluzioni adottare per arrivare a una svolta?

Bisogna incominciare anzitutto a dire che il problema della violenza sulle donne è un problema che riguarda i maschi. E sono loro, come Riccardo Iacona intelligentemente ha fatto nella sopracitata puntata del suo programma, a doverne parlare. Sono sorpresa di dovere parlare di violenza femminile e di essere interpellata su un tema che non riguarda me se non come esponente del sesso destinatario del reato. E’ come se anziché focalizzarsi sul profilo del ladro ci si soffermasse a delineare la personalità del derubato. Sarebbe stato per esempio molto più utile se anziché porre queste domande a me sulla violenza, fossero stati interpellati i miei colleghi del progetto Optima Erasmus. Giro a loro le domande, con l’augurio che questo mio gesto politico possa aver seguito. Sono loro, i maschi, che devono fare autocoscienza, riflettere su chi sono e vogliono essere. Delle bestie o delle persone. Riflettere e rimettere in discussione la loro idea di maschile, e quindi di femminile. A partire dal linguaggio usato. E nella loro relazioni quotidiane con esponenti del loro sesso e del sesso opposto. Abbandonare e liberarsi dei vecchi schemi oltre che fare bene alle donne, salverà anche gli uomini. Pensiamo alle libere associazioni che si fanno quando si parla di uomini e donne. (Sul punto segnalo Dalla Parte delle bambine e Ancora dalla parte delle bambine, due libri molto utili per capire quanto fin dalla più tenera età, dai giochi che ci vengono messi in mano, ci vengono imposti dei ruoli.) Il mondo come lo conosciamo è sempre stato narrato a immagine e somiglianza dell’uomo, maschio bianco eterosessuale. Le donne erano (sono?) alieni juris, non soggetti ma oggetti di diritto. I segnali in questo senso non arrivano solo dall’India, ma ovunque. Anche nell’evoluta Europa in cui in molti Paesi, lo Stato paternalista continua a imporre le proprie scelte sul corpo delle donne. Penso, fra tutti, all’attacco forcaiolo alla legge sull’aborto in Italia (e non solo), alla disinformazione su contraccettivi e pillole abortive, all’abuso dell’obiezione di coscienza).

Poche ore fa una ragazza di 19 anni è stata trovata morta, impiccata a un albero nel villaggio di Moradabad, ancora una volta nello stato di Uttar Pradesh. La sua famiglia è convinta che sia stata stuprata e uccisa. Si attendono i risultati dell’autopsia.