Epifanie: dal laboratorio di Antonio Biasiucci una mostra a Napoli

Un artista affermato, otto giovani promesse: il “laboratorio irregolare” condotto nel segno di Antonio Neiwiller diventa una mostra

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Optima incontra il fotografo Antonio Biasiucci nella suggestiva Sala delle Prigioni di Castel dell’Ovo di Napoli, che dal 29 aprile ospita la mostra “Epifanie”, felice esito di un laboratorio che l’artista ha condotto in forma assolutamente gratuita con un gruppo di giovani promesse.

Per due anni Biasiucci, uno dei migliori fotografi italiani contemporanei, dallo stile rigoroso e appartato, ha animato quello che è stato chiamato il “Laboratorio irregolare”: con lui, pungolati e stimolati a riflettere sul proprio modo di fare fotografia, otto nuovi artisti, Ilaria Abbiento, Fulvio Ambrosio, Chiara Arturo, Giuliana Calomino, Cristina Cusani, Susy D’Urzo, Luigi Grassi e Claudia Mozzillo.

Biasiucci nel laboratorio ha seguito un metodo di lavoro ispirato al suo maestro, Antonio Neiwiller, protagonista del teatro napoletano precocemente scomparso, alla cui scuola si sono formati nomi come Mario Martone e Toni Servillo. “Gli attori ripetevano la stessa azione per un lasso di tempo notevole, rendendola sempre più scarna ed essenziale. Allo stesso modo gli otto fotografi, una volta scelto il proprio soggetto, ci ritornavano sopra, fino a ottenere un risultato ugualmente scarno ed essenziale. Nel laboratorio – continua Biasiucci – l’approfondimento è un presupposto fondamentale. Rifai il tuo lavoro, lo rimetti continuamente in discussione. Il laboratorio non produce necessariamente degli artisti, ma produce una fotografia che non mente”.

Il risultato è questa mostra, finanziata in gran parte da un crowdfunding di enorme successo, con dodicimila euro raccolti in poco più di un mese. “Epifanie” è più precisamente un’installazione: non immagini esposte alle pareti, ma otto volumi chiusi, depositati su un lungo tavolo, unico punto illuminato in una sala immersa nell’oscurità: “C’è una messinscena in qualche modo teatrale. Abbiamo portato idealmente al Castel dell’Ovo il tavolo che è stato protagonista dei nostri incontri al mio studio. Quando entri, la sala appare nuda, con questo tavolo di 15 metri – progettato dall’architetto Giovanni Francesco Frascino – su cui sono poggiati gli otto volumi. Il visitatore deve compiere questo gesto di aprire ogni portofolio, vederlo e poi richiuderlo”.

Tutto all’insegna dell’essenzialità, caratteristica del percorso artistico di Biasiucci: la sua fotografia prende oggetti quotidiani e li scarnifica, immergendoli in un bianco e nero incredibilmente saturo, per ottenerne segni astratti e simbolici. Un modus operandi attraversato da una grande ansia di semplificazione, che sfronda le immagini da tutto ciò che non è necessario, per mostrarle nella loro ricchezza di senso e forza evocativa.

“Quando prendo un soggetto circoscritto come il pane, parto dal presupposto che per realizzarlo sono necessari la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco, e così lo innalzo, per far sì che possa parlare della creazione. Il pane diventa un monolito, un pianeta: l’immagine diventa più scarna e si apre allo spettatore. Sembra un’immagine complessa da decifrare, in realtà è perfettamente libera”. La mostra è visibile fino al 2 giugno, il catalogo è pubblicato da Peliti Associati, curato da Biasiucci e Antonello Scotti, con testi di Chiara Pirozzi.