Mai stuzzicare il culo a un ghiottone, potresti scoprire che in realtà è Wolverine

Se arrivate fino alle Montagne Rocciose per stuzzicare Wolverine mentre sta semplicemente provando a essere Logan, poi il rischio di farvi davvero male è lì, dietro l’angolo

SHANGHAI, CHINA - APR 3, 2016: Wolverine illustration at the Shanghai Madame Tussauds wax museum. Marie Tussaud was born as Marie Grosholtz in 1761


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Quando per un po’ di tempo ho tenuto un sito tutto mio l’ho intitolato Il Tasso del Miele, perché quello è l’animale in cui maggiormente mi riconosco. Piccolo, tenace, incurante dei pericoli, pronto a affrontare da solo, anche contro ogni logica, nemici in apparenza molto più grossi e pericolosi di lui. Certo, questo tradisce un buon grado di autostima, forse anche di narcisismo.

Nei fatti, nell’ambito del mondo della musica, che è poi il mondo nel quale opero, vengo più spesso descritto come un orso, intendendo con questo una persona poco propensa alla socialità, solitaria, anche piuttosto scorbutica e aggressiva. In realtà, come Jessica Rabbit, che invece era una coniglia antropomorfa, è più una faccenda di come mi disegnano, anche se mi sono ben guardato dal far notare che il mio essere solitario e orso è contraddetto quantomeno dalla mia vita familiare, in casa siamo in sette, e anche dal mio tendere a organizzare eventi che contemplino sempre la partecipazione di numeri imprecisati di persone.

Sia come sia mi capita di stare appartato, per scelta, giocando proprio su quella nomea, e anche in virtù di un lavoro che si può svolgere anche lontano dalle mondanità. Anzi, lo stare appartato è una mia caratteristica riconosciuta e riconoscibile, sono quasi sempre quello che non è presente alle presentazioni dei dischi, alle interviste di gruppo, le cosiddette round table, a eventi più o meno pop, non mi si vede in Sala Stampa al Festival di Sanremo, né in Area Stampa ai concerti, sono quello che non c’è e, in quanto quello che non c’è, il mio non esserci attesta spesso la mia presenza, come se nel famoso passaggio di Ecce bombo, “mi si nota di più se non vengo e se vengo e me ne sto in un angolo”, avesse vinto perentoriamente la prima opzione.

Non ci sono quasi mai. Partiamo da qui. Immaginatemi come un James Logan Howlett che se ne sta lì, tra i boschi, una camicia di flanella a scacchi a coprirmi dal freddo dei monti circostanti, le basette lunghe oltremisura, lontano da tutto e da tutti, assolutamente intenzionato a far perdere per sempre ogni mia traccia.

James Logan Howlett, immagino lo sappiate, è Wolverine, e Wolverine è un ghiottone. Detto così fa ridere, perché la parola ghiottone non tradisce nessun tipo di rispettabilità, né alcun grado di pericolosità. Un ghiottone, siamo autorizzati a pensare, è un animale che ha grande appetito, non certo un mustelide, questo ovviamente nessuno lo penserebbe se non è appassionato di zoologia, noto per questa sua caratteristica di essere un predatore che uccide per il gusto di uccidere, arrivando a ammazzare molte più prede di quante potrà poi andare a mangiare. Un po’ come Passerella, lo stopper dell’Argentina che incontrò l’Italia di Bearzot nei mondiali del 1982, poi in forza a Fiorentina a Inter, che parlando del calcio moderno e nello specifico dei difensori nel calcio moderno, lamentava il fatto che “loro fanno falli per necessità, io li facevo per il piacere di farli”. Chiamatela crudeltà, sadismo, come volete. Wolverine è quindi un ghiottone, e lo è perché quando nel 1974 apparve in un albo della serie L’incredibile Hulk, creato per l’occasione da Len Wein e disegnato da Herb Trimpe in collaborazione con John Romita Sr, proprio come un ghiottone appariva basso e tozzo, ma molto molto ostinato e aggressivo. Parte del gruppo dei mutanti meglio noti come X-Man, Wolverine è col tempo diventato uno dei supereroi più amati del mondo Marvel, protagonista di tanti film con la faccia di Jack Hughman.  Il ghiottone, invece, l’animale, è un mammifero onnivoro che vive nelle parti settentrionali dell’emisfero boreale, come Logan ha lunghe unghie retrattili e un morso capace di spezzare le ossa a una renna, oltre questa simpatica caratteristica di lasciare una lunga scia di sangue alle sue spalle. Wolverine è un uomo, un uomo mutante, tormentato, nelle varie storie alternative dei fumetti e nei vari film se ne conosce la trama e anche la psicologia. Il suo tentativo, fallito, di scappare dal mondo è un po’ un rinnegare questa sua natura, se non nell’aspetto imponderabile, l’immortalità. Lontano dal mondo lontano dalla tentazione di fare e farsi giustizia, e quindi di ricorrere alla violenza.

Io non sono un uomo tormentato. Né sono un uomo violento. Ma non amo frequentare quei luoghi frequentati da quelli che, a occhio esterno e inesperto, vengono considerati i miei colleghi, leggi alla voce critici o giornalisti musicali. Ho già operato la medesima scelta nei confronti del mondo dei libri, dal quale arrivo e che, editorialmente parlando, ho sempre continuato a pubblicare, scegliendo di passare per gli scrittori come un critico, consapevole che per il mondo della musica sarei poi stato quello che arriva dal mondo dei libri. Il mutante, appunto. L’anomalo.

Ripartiamo quindi da qui. Immaginatemi come un James Logan Howlett che se ne sta lì, tra i boschi, una camicia di flanella a scacchi a coprirmi dal freddo dei monti circostanti, le basette lunghe oltremisura, lontano da tutto e da tutti, assolutamente intenzionato a far perdere per sempre ogni mia traccia.

Dopo anni e anni di lotte, anche feroci, da solo contro tutti, o almeno contro molti, ho optato per ritirarmi a vita solitaria, la noia che nel mentre ha ammantato il mondo, specie del mondo dei social, a convincermi di aver fatto la scelta giusta. Troppa poca ironia, in giro. Troppo violenza sterile, né atta a far realmente male né necessaria. Meglio andare per boschi, metaforizzo, parlare con gli animali, rifuggire dagli uomini.

Però, chi ha letto o visto le storie di Logan ben lo sa, arriva sempre il giorno in cui qualcuno viene a cercarti, con l’intento precisissimo, quasi chirurgico, di romperti i coglioni. Inutile cercare di opporre resistenza, di scappare tra gli alberi o dentro anfratti e grotte. Inutile anche tentare di reagire difendendosi, tirare fuori gli artigli, emettere urli spaventosi. Chi vuole romperti i coglioni è più abile di te, conosce i tuoi punti deboli, e saprà sempre come farti capitolare.

Così nel giro di poche pagine, di alcuni frame, eccoti lì, dentro una vasca, con due ancelle che ti tagliano barba e capelli lunghi, pronti a renderti presentabile, riconoscibile a chi ha ritenuto di vitale importanza tirati dentro la propria storia costi quel che costi. L’epilogo è già scritto, anche nel mondo Marvel nessuno mai muore davvero, non state lì a piangere inutilmente Tony Stark o Visione, e quando vai a stuzzicare il culo di un ghiottone il minimo che ti può capitare è di doverti poi ricucire le ferite, sempre che non ti tocchi in sorte di essere una delle vittime della sua violenza crudele, destinato o meno che tu sia a fargli da pasto.

Ora, io non sono Wolverine, nonostante la barba costantemente lunga, i capelli ancora più lunghi, la nomea di persona scorbutica, irascibile, a tratti violenta, almeno verbalmente. Sono etichettabile forse come ghiottone, ma non nel senso di animale, nome scientifico Gulo Gulo, dai, fa già ridere solo così, ma in quello di persona di corporatura massiccia che ha un ottimo appetito, fatto per altro, l’essere particolarmente ghiotto, che come in un loop alimenta, scusate lo sciocco gioco di parole, l’essere corpulento, quindi non ghiotto ma ghiottone. Insomma, ci siamo capiti. Un ghiottone che gioca a fare il ghiottone, nel senso di Wolverine, contando sul fatto di venir dipinto così, una Jessica Rabbit, quindi, senza abito da sera rosso, scollato, ma con camicia a scacchi di flanella, alla Logan.

Chiaramente, a beneficio degli analfabeti funzionali, anche di quelli che, in quanto analfabeti funzionali incapaci di cogliere il proprio analfabetismo funzionale, che si prodigano nella lettura di testi anche complicati, chiaramente il fatto che io, l’autore di questo testo, sia qui a raccontarvi di come io, il protagonista di questo testo, sia fatto in un determinato modo non comporta che io, l’autore di questo testo, stia realmente parlando del vero io, l’autore di questo testo che nella finzione della scrittura è in apparenza anche il medesimo io a essere protagonista di questo testo. Confondere la narrazione con la realtà è un errore marchiano, come lo è pensare che il parlare di sé sia realmente un parlare di sé, e non la messa in scena di un io congeniale alla narrazione, congeniale perché l’autofiction è di gran moda negli ultimi anni, io, l’autore di questo testo, la pratico da circa venticinque anni, e congeniale perché avere un personaggio ricorrente, tanto più un personaggio che ha tratti facilmente riconoscibile, i medesimi tratti somatici e psicologici dell’io autore di questo libro, consente una familiarizzazione tra autore e lettore, oltre a che consente all’autore, che poi sarei sempre io, di muoversi su una tavolozza dove i colori sono stati già preparati, belli distinti. Tradotto, non state lì a prendere quello che scrivo alla lettera. O meglio, prendetelo assolutamente alla lettera, consapevole che tutto quello che avete appena letto è falso, compresa quest’ultima affermazione, come in un enigma dell’Enigmista (sì, ho da poco visto il cupissimo The Batman, con Pattison nei panni di Bruce Wayne, niente a che vedere con quel gigante di Christian Bale e di Christopher Nolan, ma comunque interessante al punto da infilarlo a cazzo qui).

Tutto questo per dire cosa? Che non c’è nulla di particolarmente eroico nello stare appartati, se si asseconda una propria attitudine, ma stare appartati dovrebbe essere la costante di chi decide di occuparsi di un settore, quello dello spettacolo, che è apparentemente molto confidenziale, tutti si danno del tu, tutti sono amici di tutti, grandi pacche sulle spalle bacetti sulle guance, a rischio di non riuscire mai a affondare le unghie come Wolverine, quando mai fosse necessario. E per dire che per contro fare i compagnucci dell’asilo, lì a darsi manforte tenendosi la mano, provando a tirare in mezzo il critico musicale ghiottone è giochino sciocco, l’idea di averla fatta franca perché ci si è data ragione a vicenda dura il tempo di uno sbadiglio, l’abusare della pazienza di chi si è abituato da tempo a muoversi solitario per i boschi un errore che si potrebbe pagare molto caro. E infine per dire che quando si raccontano storie, giocando sul filo delle narrativa, certo, ma facendo ripetuti e chiari riferimenti a fatti realmente avvenuti, chiedere una qualche rettifica ex post, magari esagerando nel provare a rivedere il passato a beneficio di un presente magari diverso, sorta di revisionismo storico in salsa pret-a-porter, e accampare pretese di un rispetto che poggia su giudizi in realtà mai espressi, ma semmai veicolati da fatti impietosamente precisi, è esercizio sterile, perché se hai un passato di cui ti vergogni non sta certo a chi lo racconta dover indossare i panni del destino e sbianchettare eventuali errori, più o meno discutibili. Perché, questa la fine di questa storiella, se arrivate fino alle Montagne Rocciose per stuzzicare Wolverine mentre sta semplicemente provando a essere Logan, poi il rischio di farvi davvero male è lì, dietro l’angolo. Non andate a piangere dalle amichette, poi, se vi ritrovate trenta centimetri di unghie infilate sul cuore. E se doveste pensare che queste parole suonano come una minaccia, beh, sappiate che a farle è stato l’io avatar, non certo l’io autore, quello è un ghiottone, sì, ma di zuccheri e carboidrati.

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