Extraliscio e la loro Romantic Robot, atti casuali di bellezza insensata

È uscito, a sorpresa, il nuovo album degli Extralisco, Romantic robot. Non un album, verrebbe da dire, ma l’album, il disco

Photo by Stefano Tommasi


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C’è un vecchio romanzo di Philip K Dick, tradotto discutibilmente col titolo L’androide Abramo Lincoln, uscito nei primi anni Settanta, nel quale lo scrittore americano ipotizza che in un futuro prossimo, prossimo a lui, quindi presumibilmente nel nostro presente o addirittura nel nostro passato, sono passati cinquanta e passa anni, ci saranno strumenti che agiranno direttamente sull’ipotalamo, psichicamente, capaci di creare stimolazioni cerebrali inediti e quindi di scatenare emozioni mai provate prima. Ne parla Valerio Mattioli in Exmachina- Storia musicale della nostra estinzione, e pensarci oggi, a pochi giorni dalla morte di Klaus Schulze, uno dei pionieri di quella che all’epoca in cui Dick operava era considerata la musica del futuro, l’elettronica spesso scollegata, in apparenza, dall’uomo, suona davvero surreale, e anche un po’ malinconico.

No, non va bene come partenza. Troppe indicazioni fuorvianti. Troppi input che rischiano di confondere. Meglio fermarsi, formattare e ripartire.

Così.

Nel suo Più brillante del sole- Avventure nella fantasonica, Kodwo Eshun per metterci a conoscenza delle sue teorie sull’afrofuturismo sviluppa una lingua tutta sua, lavorando sia sulle parole che sulla sintassi, coniando neologismi, forzando la mano alla facile comprensibilità dei suoi scritti a favore di una mimesi tra forma e sostanza, il tutto al solo scopo di dimostrare, sempre poi che sia veramente una volontà radicale e non un effetto collaterale, come la storia della popolazione di origine africana non sia affatto ascrivibile a quella del genere umano per come lo intendiamo, aprendo quindi spiragli a mondi alieni (non marziani, attenzione, ma alieni). Una lingua nuova, quindi, necessaria per rendere credibile un discorso che prima non è mai stato portato avanti, e che non a caso affonda le mani fino ai gomiti dentro un genere, il black in tutte le sue sfumature e sviluppi, che a suo dire nulla di umano ha, partire dal suo indicare nel famoso segreto chiesto e ottenuto da Roberto Johnson al famoso crocevia un macchinario capace di generare musica, vai a capire se di metafora o di cronaca si stia parlando.

Niente. Anche questo è un terreno scivoloso, per di più in salita. Non va bene.

Ultimo tentativo, poi provo una via più canonica. Anche se di canonico, qui, non dovrebbe a ragione esserci nulla, per coerenza col tema trattato.

Questa settimana al Teatro degli Arcimboldi, a Milano, è andato di scena lo spettacolo musicale e visivo dei Krafwerk. Una doppia data, inizialmente prevista per il 2020 e poi slittata per i motivi che ben sapete. Lo spettacolo, che in realtà vedeva in scena il solo Ralf Hütter della lineup originale, proponeva i classici suoni elettronici, computerizzati della band, accompagnati da visual tridimensionali. Qualcosa che un tempo, appunto, sarebbe risultato futuribile, e che sicuramente ha fatto scuola, indicando strade che poi in tanti hanno percorso, ma che oggi suona quantomeno retromaniaco, nostalgico, una sorta di circo di Buffalo Bill proposto a beneficio di chi li ha apprezzati e, presumibilmente, oggi fatica a riconoscersi non tanti in chi prova a indicare nuove strade, ma anche in chi cerca di percorrere quelle già esistenti.

Ok, alzo le mani. Non è neanche questa la strada giusta. Nel senso, l’idea di tirare dentro l’elettronica, certo, l’utilizzo delle macchine e anche delle macchine in qualche modo slegate dall’uomo, non dico pensando a Artificial Intelligence della Warp, non è certo dell’IDM che voglio parlare, la macchina che si sostituisce all’uomo, sostituendo il corpo con la mente, quindi il ballo che lascia il posto al chill out, tutto questo potrebbe anche essere parte del discorso che vorrei farvi, ma continuo a perdere l’incipit giusto, intellettualizzo qualcosa che, nei fatti, forse è meno complicato di quanto non stia esponendo. Quindi provo la linea retta, vediamo se va meglio.

È uscito, a sorpresa, il nuovo album degli Extralisco, Romantic robot. Non un album, verrebbe da dire, ma l’album, il disco, una questione di articoli che passando da indeterminativi a determinativi, dettagli, sfumature. Il fatto è che Mirco Mariani, che degli Extraliscio è anima artistica, col sodale Moreno Conficconi, il Biondo, e la complicità multiforme di Elisabetta “Betty Wrong” Sgarbi, più della loro discografica e editrice, direi stava lavorando al secondo album della eccentrica band che si è messa in evidenza al Festival di Sanremo 2021, con Bianca luce nera, in compagnia di Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti, quando gli arriva appunto una telefonata che cambierà il corso degli eventi. È appunto Elisabetta Sgarbi, che particolarmente colpita da un paio di concerti tenuti dagli Extraliscio in compagnia di una orchestra sinfonica diretta dal maestro Molinelli gli butta lì l’idea di mettere momentaneamente da parte il lavoro che sta portando avanti per concentrarsi su qualcosa che sia a suo modo orchestrale.

Chiaramente la parola chiave, in quella telefonata, è “orchestrale”, ma Mariani, che è un eccentrico polistrumentista, ma polistrumentista davvero, e che al suo Labotron ha oltre cento strumenti tra i più rari e introvabili al mondo, ha un modo tutto suo di parlare e quindi decifrare quel che ascolta, quindi per lui la parola chiave della telefonata è “ma modo tuo”. Il tempo di passarci su una notte insonne, a rimuginare, che ecco che arriva l’intuizione, bella l’idea della commistione tra orchestra sinfonica e strumenti che arrivano da altre storie, compreso il rock, ma i ruoli devono essere diversi da quelli che ci si potrebbe aspettare, sarà infatti la parte dell’orchestra a essere artificiale, virtuale, mentre starà agli Extraliscio, una versione degli Extraliscio che, proprio per questa voglia di evolversi lascerà momentaneamente (poi si capirà se in via definitiva) a casa Mauro Ferrara, la voce di Romagna mia, umanizzare il tutto, riportando le canzoni a metà strada tra tradizione e alienazione, alterità, quindi volendo anche futuro.

Le canzoni, ecco, questo un dettaglio che al momento a Mariani non ha destato troppe preoccupazioni, ma in effetti, lasciato da parte il disco cui stava lavorando, restava da capire che canzoni mai sarebbero finite nel disco nuovo, oggi divenuto Romantic Robot.

Altro dettaglio, in realtà nella sua testa riccia e barbuta subito risolto, a chi affidare questa orchestra sinfonica virtuale, suonata, cioè, digitalmente, lui a assemblare i suoni nel suo Labotron, ma a sua volta diretta da una macchina, il robot romantico del titolo.

Una telefonata notturna, durante la quale il nostro, con quella lingua sghemba lì, quella che poi finisce dentro i testi degli Extraliscio, gli spiega la sua intuizione, e il gioco è fatto. Poco cambia che il maestro Molinelli dormisse, e quindi abbia subito detto di sì più sulla fiducia che razionalmente, il tempo di rispiegare il tutto l’indomani e il disco è pronto per essere inciso.

Da una parte l’orchestra virtuale a suonare le orchestrazioni del maestro Molinelli, sostituito a sua volta nella direzione da un robot, dall’altra gli Extraliscio a suonare l’insuonabile, Conficconi che, in vista dei live, si troverà a abbandonare il clarino in Do, tipico del liscio, per passare al mellotron come al sinth della Korg, roba che neanche Phil K. Dick. credo.

Shakerare il tutto e tempo qualche settimana, neanche un mese, ecco che arriva il disco.

Non un disco, attenzione. Ma il disco. Quello che, se possibile, spinge gli Extraliscio, mica un nome qualsiasi, verso vie straordinarie, extra, oltre. Un disco nel quale, proprio come in un delirio di Phil K. Dick, un’orchestra sinfonica invisibile diretta da una macchina, algoritmi che si interfacciano a meccaniche assai poco celesti, finendo per suonare molto più calda e umana, qui sta il miracolo, l’arte a volte riesce in questo, di tanta musica suonata da persone in carne e ossa presenti in contesti canonici, naturali, familiari. Imperfetta, come del resto sono imperfetti i suoni di buona parte degli strumenti reali suonati da Mariani e dal sodale Conficconi, le imperfezioni a renderli unici.

Esiste tutta una teorizzazione su quanto l’uomo abbia dovuto lavorare per umanizzare il digitale, penso a un’opera fondamentale come Ascoltare il rumore di Damon Krukowski, a sua volta musicista nei Galaxy 500, ma niente come le otto canzoni che compongono la tracklist di questa opera seconda, nove considerando l’intro fantascientifica che porta lo stesso titolo dell’album, riesce nell’impresa di dimostrare come a fare la differenza tra macchina e uomo sia sempre l’uomo, mai il contrario. Canzoni che hanno la matrice ormai riconoscibile degli Extraliscio, la voce onirica di Mariani che è sempre più presente, uno sguardo a un passato fluttuante e nebuloso che si fa sempre più vivido, ma che presentano sapori ancora rimasti inediti, arricchiti dalle orchestrazioni generose e coerenti del maestro Molinelli. Davide Toffolo, già al fianco dei nostri a Sanremo, è qui presente in due brani: come interprete ne Il bacio traditore e come interprete e autore nella coinvolgente La gazza chiacchierona, riproposizione in chiave Extraliscio di un brano popolare scritto per l’occasione, mentre Luca Barbarossa è autore e interprete con Mariani di quella che da oggi viene presentata come una Bella ciao d’amore, È così, canzone militante in cui si canta un amore capace di superare i dispotismi e osteggiare il potere. Se già conoscevamo la miscela che in cantante dei Tre Allegri Ragazzi Morti riesce a creare con gli Extraliscio appare sorprendente sentire come l’autore di Roma spogliata riesce a trovare in un brano che parte molto suo e battuta dopo battuta si trasforma clamorosamente in un brano 100% Extraliscio, rumori che prendono il posto di armonie, il ritmo incalzante che si fa sporco, ulteriormente umanizzandosi. Un grande lavoro, questo, comprensivo di una cover d’annata di un brano di Tony Renis. Non dire mai goodbay, che consolida la percezione che gli Extraliscio sia una realtà di eccellenza della nostra musica, non solo leggera, e che ben lascia sperare per gli spettacoli che li vedranno impegnati nei prossimi mesi, sempre originali e articolati.

In chiusura della conferenza stampa di presentazione del disco, parlando del futuro, ricordiamo che c’è un disco quasi terminato lasciato lì, da qualche parte, Mariani ha detto che gli piacerebbe, prima o poi, smettere di scrivere testi in italiano, ricordiamo anche che i testi degli Extraliscio ne sono punto di forza, a loro volta onirici e poetici come la voce dello stesso polistrumentista. Una necessità, la sua, quella di smettere di scrivere in italiano, ha spiegato, dovuta a una certa noia nell’usare una lingua a suo dire poco musicale. Per questo, ha aggiunto, gli piacerebbe inventarsi una lingua tutta sua, a uso discografico, parole inventate che esistano solo dentro le sue canzoni, un po’ come ha fatto Kodwo Eshun nel suo libro, tutto torna. O forse no, tutto deve ancora avvenire.