Mai più indifesa: un libro, un percorso di consapevolezza, perché il processo di vittimizzazione di genere, e il suo superamento, comincia da noi

La ricorrenza dell'8 marzo ci ricorda che nelle donne risiede il potere di uscire dallo stato di minorità cui la società, dalla più evoluta alla più arcaica, le destina


INTERAZIONI: 162

8 marzo, festa della donna: la donna, come altre minoranze, categorie, etnie, viene festeggiata, la si agghinda, anzi la si concia per le feste, le si fa la festa…

A leggere i dati l’ironia non è fuori luogo: l’epidemia di assassini di genere non si ferma, e non c’è ancora la volontà di trovare un antidoto efficace contro la violenza.

Ma chi è la donna, cosa è una donna? A metà tra Natura e Cultura, per Simone de Beauvoir il secondo sesso è un prodotto dell’uomo, ossia un artefatto culturale, su cui i valori, le tradizioni, i simboli si stratificano al punto da riplasmarne la personalità in funzione di ruoli prestabiliti. Si tratta di un processo che investe ogni membro della società, ma che per la donna è ancora più pervasivo e straniante. L’interiorizzazione di codici, valori culturali e dell’immaginario che ne fa da corollario, fanno sì che siano le stesse donne le prime nemiche di se stesse, colonizzate da simboli e credenze che solo in minima parte hanno contribuito a creare, e che affondano le loro radici oltre la storia, nel mito, in primis religioso.

La donna matrice della caduta e quindi della colpa, sempre responsabile del male che alberga nel mondo, perchè dietro un uomo disturbato c’è una madre assente, abbandonica o eccessivamente protettiva e dietro le scelte dei grandi, c’è il concilio delle dee che bisbiglia dall’alto quali pedine muovere sulla scacchiera della Storia.Le donne come potere occulto, dietro le quinte, le donne come tentatrici, e ora, all’indomani dei movimenti di liberazione, le donne castranti, di potere, competitive, che occupano posizioni da sempre prerogativa dell’uomo.

La donna, l’eterno femminino, l’ambiguo malanno, la rovinosa malia, capace di risvegliare nell’uomo la bestia, e siamo a Circe, di innescare guerre decennali, ed ecco Elena, di danzare insieme al belzebù au clair de lune in un’innominabile estasi erotica che ricorda quella delle Baccanti, insomma la donna mobile, sfrenata,incostante, su cui applicare un’armatura di misure restrittive- culturali e religiose- che ne violentano il corpo e la psiche, che assicurino che a ereditare la proprietà sia il garante dell’ immortalità genetica, se non spirituale, del padre “legittimo”.

Un processo di proiezione di disvalori non indifferente, vigente in quasi tutte le culture, che innesca il meccanismo vittimale alla base del capro espiatorio; prima la si crocifigge, e poi la si sacralizza, in altre vesti, quelle salvifiche della donna angelo del focolare, della Beatrice figura della teologia, della Vergine-Madre, simbolo ossimorico che è la summa, come sostiene Ida Magli, del sotterraneo e disturbato desiderio maschile, che vorrebbe tenere la propria madre -e la moglie che ne è il clone-, al di qua della sessualità, fare di lei una sorta di santa, perchè ‘certe cose’ con la moglie non si fanno…

Le modalità di utilizzo culturale e quindi psichico della donna è svariato e contraddittorio, quindi inconciliabile:madre, moglie, amante, donna in carriera,angelo,demone, infine la pazza, la morta; un’indefinibile che apre alla colpa, alla follia e quindi alla violenza, al suo annientamento come individuo che esita, di frequente, nella sua eliminazione come corpo.

A sciorinare i dati si rimane allibiti: nel mondo ogni giorno vengono perpetrati circa 137 femminicidi, due dei quali in Italia; nel 2018, le donne ad aver subito violenza dal proprio partner sono state 379 milioni; nel Bel Paese, secondo dati Istat riferiti al 2015, il 31% delle donne tra i 16 e i 70 anni sono state oggetto di abusi e molestie, nel 2017 circa 50 mila si sono rivolte ai centri antiviolenza (e si tratta solo della punta dell’iceberg, perchè la violenza domestica viene per lo più occultata con la complicità della stessa donna). Una moria di genere che supera quella degli incidenti stradali, di una malattia o di qualsiasi altra causa accidentale.

Ci si meraviglia che a questa ‘guerra’ non si sia risposto con una mobilitazione totale, una profonda azione formativa e pedagogica dal basso, che agisca sull’immaginario e sul simbolico, se non con una riscrittura-impossibile da attuarsi in tempi brevi- almeno in direzione di una consapevolezza diffusa. A ciò dovrebbero lavorare le agenzie formative e i mass media, ossia quella rete di diffusione capillare dell’egemonia culturale e quindi simbolica della società. Che a volte invece veicola messaggi esattamente contrari al risultato che si vorrebbe ottenere.

Le leggi ci sono, ma ciò che manca è la loro effettività; il substrato culturale che attribuisce alla donna parte della colpa dell’abuso, dello stupro, dell’abbandono, è troppo profondo per essere sradicato da dispositivi legali.

E allora ben venga il lavoro, e il testo che ne è frutto, di Chiara Gambino e Giampaolo Salvatore “Mai più indifesa” (Altrimedia edizioni), psicoterapeuti da anni impegnati nella lotta alla violenza di genere.

Il libro, con grande delicatezza e chiarezza espositiva,si propone di analizzare le cause psicologiche della vittimizzazione del nostro genere, di indicare soluzioni e percorsi di consapevolezza che, se attuati, siano in grado di mobilitare la parte ancora vitale, le energie represse, e innescare un processo di riscatto e rinascita che strappino il femminile dalla passività di ruoli, anzi schemi, precostituiti e radicati. Perchè, come dimostrano i dati, una donna vittima di abusi, lesa nella propria dignità individuale, sottoposta continuamente a stress di vario tipo, danneggia in maniera devastante non solo se stessa ma anche l’ambiente e le relazioni, fino a indebolire la capacità di accudimento dell’eventuale prole. Che a sua volta ne sarà ferita. Si tratta di un testo che, proponendo in forme narrativa storie di incastri relazionali perversi o malati,di schemi interpersonali maladattivi, suggerisce di partire non tanto dall’esterno, ma dall’immagine distruttiva di sé che alberga in ogni donna maltrattata, abusata in primis da sé stessa, per cui il dolore antico, lo schema guida interiorizzato si concretizza in aspettative negative che trovano immediato riscontro nell’ incontro con l’altro. Sono storie di profondo impatto, dal perfezionismo patologico di Laura, alla dipendenza affettiva di Federica, che fa di sé stessa un oggetto di consumo sessuale pur di essere ‘vista’ e amata, anche solo nel momento del coito, fino a Ginevra minacciata di morte dal padre dei suoi stessi figli, che trova la forza di uscire dal suo inferno quotidiano e chiedere aiuto.

Il percorso di consapevolezza si basa su due concetti: agency e confine. Col primo termine ci si riferisce alla capacità di mettere a fuoco i propri desideri, opinioni, bisogni, quell’area che un rapporto abusante tende a reprimere e confinare nell’inespresso. Il confine è la capacità di mantenere costantemente il senso di un proprio centro come individuo, il senso di sé come un soggetto distinto dagli altri, di un limite che non può essere superato né dai propri vissuti distruttivi né dai bisogni patologici altrui.

I terapeuti sottolineano che è vano agire sulla relazione se non si riconfigura e si consapevolizza lo schema base che ogni volta viene attivato, se non si fanno emergere le paure, il dolore che lo sottendono, i ruoli, traslati dalla famiglia, cui la bimba di un tempo aderì, fino a farli diventare mente e corpo. La terapia proposta infatti fa attenzione anche agli stati corporei, fisiologici, perchè il trauma si inscrive nel corpo, nel respiro, diventa postura: se, ad esempio, ci si sente trasparenti, ciò si tradurrà in un atteggiamento motorio e prassico dimesso, predisporrà le azioni, o promuoverà la passività della vittima potenziale.

Leggere questo testo è un atto non solo di conoscenza, ma di amore per se stesse e di volontà di guarigione, chè la Storia diventa la nostra piccola storia e chè il danno arrecato deve essere curato, pena il contagio perenne del dolore.